1 - TAIWAN: CINA, ESERCITAZIONI INTORNO ALL'ISOLA VANNO AVANTI
(ANSA) - Le esercitazioni militari cinesi intorno a Taiwan vanno avanti. Il Comando del teatro orientale dell'Esercito popolare di liberazione ha reso noto che ha continuato anche oggi a organizzare le manovre congiunte "nel mare e nello spazio intorno all'isola".
L'obiettivo, si legge in una nota postata nel primo pomeriggio sui social media dal Comando, è di "concentrarsi sull'organizzazione di operazioni di contenimento e supporto".
2 - TAIWAN: CINA, MISURE APPROPRIATE, NON C'È LINEA MEDIANA
(ANSA) - La Cina nega l'esistenza di una "linea mediana" nello Stretto di Taiwan, a dividere l'isola dalla terraferma, e definisce "irreprensibili" le misure finora adottate. "Taiwan fa parte del territorio cinese e non esiste una linea mediana", ha detto il vice ministro degli Esteri Ma Zhaoxu al network statale Cctv. Le manovre militari vicino all'isola vogliono "salvaguardare la sacra sovranità e l'integrità territoriale della Cina", ha aggiunto Ma. "Le nostre misure sono pubbliche e appropriate, in linea con il diritto interno e internazionale". La linea mediana, mai riconosciuta, è stata però tradizionalmente rispettata da Pechino.
LA STRATEGIA DEL PORCOSPINO - TAIWAN VS CINA
3 - TAIWAN, TRA CINA E USA ORA PUÒ FINIRE MALE
Stefano Stefanini per “La Stampa”
Nancy Pelosi ha lasciato Taiwan da una settimana. Sulla scia si è aperta una crisi che si durerà ben più a lungo. Le manovre militari cinesi continuano. Fino a quando? Dovevano finire ieri. Pechino non nasconde che "simulino" un attacco. Taipei, più sottotono, mostra le proprie difese. Le due Marine si "esercitano" a una manciata di miglia di distanza. A fuoco vivo. Anche escludendo incidenti, la tensione è al limite del conflitto.
Apparentemente fra Pechino e Taipei; in realtà, fra Cina e Stati Uniti. Ci sono stati errori reciproci ma soprattutto di Pechino che, purtroppo, persevera. Fare adesso la visita era una cattiva idea. In politica come in amore, il tempismo è tutto. Non poteva essere più infelice. Xi Jinping aspetta l'incoronazione da parte del XX Congresso del Partito in novembre. Controlla tutte le leve del Pcc, ma non può apparire remissivo su Taiwan.
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La riunificazione, pacifica o meno, è il suo cavallo di battaglia nazionalista. L'amministrazione Biden vuol tener Pechino distante da Mosca sulla guerra ucraina - e finora ci era riuscita. Non era il momento di mettere un dito nell'occhio a Xi.
La Cina ha ricambiato con una pessima idea: di vietare la visita. Pubblicamente. Non ha nemmeno provato - a quanto ne sappiamo - a fare diplomazia dietro le quinte. Di fronte all'intimidazione, Washington è stata costretta a mettere a tacere le riserve che pur aveva. Soprattutto al Pentagono.
Nancy Pelosi è atterrata a Taipei, accolta dal giubilo taiwanese e dal furore cinese. Pechino si è sentita tradita. Ha visto il venir meno alla politica della "Cina unica" da parte americana. Non è vero. La speaker non aveva titolo per farlo. Nel suo discorso ha riaffermato la "One China policy" e difeso lo status quo.
Sentir parlare di democrazia e diritti umani al largo delle proprie coste è sicuramente sgradito alla Città Proibita, ma Pelosi non ha segnalato alcun cambio di direzione della politica americana. Sul punto centrale - gli Usa riconoscono Pechino e non Taipei - non ha detto nulla che potesse offendere Xi Jinping.
ESERCITAZIONI CINESI SULLO STRETTO DI TAIWAN
Perché' una reazione così rabbiosa - e pericolosa? La mancanza di diplomazia - merce non di moda in questo scorcio di XXI secolo - ha messo entrambe le parti in un vicolo cieco. Come Washington non poteva fermare la visita, così Pechino non poteva non reagire. Fino a che punto vuole arrivare?
Al blocco dell'isola equivalente a stato di guerra e semiparalisi del commercio marittimo internazionale? Per lo stretto di Taiwan passa la metà dei container via nave. Rottura dei rapporti con l'America? Un misto di determinazione, mal riposta sindrome di grande potenza e frustrazione sta spingendo Pechino a perseverare nell'errore.
ESERCITAZIONI CINESI SULLO STRETTO DI TAIWAN
La Cina ha in atto tre tipi di risposta: esercitazioni militari aeronavali che dimostrano la capacità di blocco dell'isola; boicottaggio dei prodotti alimentari di Taiwan, forse preludio a sanzioni economiche che possono colpire le vitali forniture mondiali di semiconduttori, di cui Taipei è leader; interruzione del dialogo bilaterale con Usa sui canali dei contatti militari e dei cambiamenti climatici.
La minaccia militare è la più vistosa ma se rimane un temporaneo sfoggio di potenza non cambia le carte in tavola. Se invece continua, con alto rischio di incidenti, tutto il peggio è possibile. Quella economica mette in ginocchio prosperità dei taiwanesi, forniture di alta tecnologia e fiducia degli investitori stranieri.
Due settimane fa respiravano ottimismo. Oggi, scottati dall'esperienza russa, danno segnali di fuga. Ancor più preoccupante sarebbe la rottura bilaterale con Washington. Per ora tocca solo due dossier, per quanto fondamentali - povero nostro pianeta senza Cina a bordo degli impegni multilaterali sul clima. Ma cosa succede alla stabilità e sicurezza, regionale e internazionale, se le due maggiori potenze mondiali non si parlano?
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La visita a Taipei della speaker della Camera Usa era simbolicamente importante. La reazione cinese non è simbolica; è inquietante. Che bisogno di lanciare missili nelle acque territoriali giapponesi? Certo che poi Tokyo prende le parti di Taiwan e degli Stati Uniti. Lo scenario di scontro aperto con gli Stati Uniti, politico-economico se non militare, è ad alto rischio per tutti.
Ci perde l'Occidente che vede Pechino spinta nelle accoglienti - ma magre - braccia di Mosca. Le conseguenze per la Cina sono disastrose: più armi americane a Taiwan per aumentarne la deterrenza; fronte regionale anticinese, India compresa, accelerato e rafforzato; affossamento della globalizzazione cui Pechino - oggi con un'economia stagnante se non in recessione - deve le sue fortune. La visita di Nancy Pelosi ha fatto cocci. A Pechino la scelta fra raccoglierli - evidentemente Taipei, Usa e Occidente devono dare una mano - farne altri più difficili da rimettere insieme.
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