Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
Il 9 agosto del 2017 era una bella giornata estiva, e il presidente Trump si godeva qualche ora di vacanza nel suo National Golf Club di Bedminster, in New Jersey.
Non sappiamo se verso le sei del pomeriggio abbia sollevato lo sguardo al cielo, ma se lo avesse fatto, magari con l' aiuto di un potente cannocchiale, avrebbe potuto intravedere un Tupolev Tu-154M che gli passava sopra la testa a 4.000 piedi di altezza, per poi alzarsi fino a 5.000 piedi e virare verso New York.
DONALD TRUMP VLADIMIR PUTIN CORONAVIRUS
Di sicuro c' è che il capo della Casa Bianca era stato poi informato di quella missione, e l' aveva presa come un troll dell' amico Putin. Da allora aveva iniziato a meditare l' uscita dal trattato Open Skies, che consente quel genere di voli di ricognizione, per garantire che nessun Paese stia preparando offensive militari. La decisione è stata annunciata ieri, giustificandola con l' accusa che Mosca non ha rispettato le regole dell' intesa. Trump l' ha presentata come il tentativo di spingere il Cremlino a negoziare un nuovo accordo più solido, includendo la Cina.
Ma dopo l' abbandono dell' Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty, e davanti alla minaccia di lasciare anche il New START a febbraio, è forte il rischio che queste scelte finiscano in realtà per innescare una nuova corsa globale al riarmo.
L' idea di Eisenhower Il trattato Open Skies era stato immaginato dal presidente Eisenhower all' inizio della Guerra Fredda, ma i sovietici lo avevano bocciato perché troppo intrusivo. Un altro capo della Casa Bianca repubblicano, Bush padre, lo aveva ripreso in mano dopo la caduta del Muro di Berlino, convincendo Mosca a firmarlo il 24 marzo del 1992. L' intesa consente di condurre voli di ricognizione con aerei disarmati nei cieli dei Paesi firmatari, per rassicurarsi a vicenda che nessuno prepari offensive militari. Gli apparecchi usano sensori, telecamere, scanner a raggi infrarossi, radar, per osservare il terreno e lo spazio. Tra i 35 membri c' è anche l' Italia, e infatti dal 4 al 9 novembre scorso un Antonov-30B è decollato da Ciampino per pattugliare il nostro Paese.
Gli americani si lamentavano da tempo delle violazioni russe, e non solo per il sorvolo strategicamente non indispensabile del campo da golf di Trump. Il capo del Pentagono Esper, ad esempio, aveva notato che Mosca non consentiva i pattugliamenti sopra Kaliningrad, Königsberg quando ci era nato Immanuel Kant, dove sospettava l' installazione in corso di armi atomiche puntate sull' Europa. Le missioni nei cieli americani, poi, potevano essere usate anche per individuare gli obiettivi di attacchi digitali.
L' uscita degli Usa da Open Skies preoccupa più noi che Washington, perché oltre l' 80% dei voli avviene tra Europa e Russia, e quindi serve soprattutto a garantire la nostra sicurezza, in particolare quella dei Paesi baltici. Il rischio è che Mosca risponda bloccando tutte le missioni Nato, e anche se gli americani replicano che ci sono i satelliti per continuare la sorveglianza, la protezione del Vecchio Continente è quella che si indebolisce di più.
L' intesa allargata Trump ieri ha detto che «con la Russia abbiamo un ottimo rapporto, ma quando uno viola gli accordi devi uscire. Ora contiamo sul fatto che torneranno al tavolo, per negoziare un' intesa migliore», magari allargata anche alla Cina. Questa sembra essere la preoccupazione principale del presidente, ormai impegnato in un braccio di ferro globale con Pechino, da cui dipende buona parte della sua campagna per la rielezione a novembre. Infatti già all' ultimo vertice Nato di Londra aveva detto che voleva rivedere tutti i trattati nucleari, per rinegoziarli includendo la Repubblica popolare.
L' operazione di smantellamento dell' architettura globale del disarmo nucleare è cominciata da tempo. L' 8 maggio del 2018 Trump si era ritirato dall' accordo con l' Iran, lasciando soli europei e russi. Il 2 febbraio del 2019 aveva sospeso la partecipazione all' Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty (INF), ossia il trattato firmato da Reagan e Gorbaciov l' 8 dicembre del 1987, allo scopo di bandire tutti i missili con gittata compresa tra 500 e 5.500 chilometri. Anche qui, da tempo Washington accusava Mosca di violarlo, ma la vera ragione strategica non confessata per compiere questa mossa era la volontà di avere le mani libere per contrastare il riarmo cinese in corso nel Pacifico.
Il nodo delle testate nucleari Il prossimo banco di prova sarà il New START, negoziato dai presidenti Obama e Medvedev, ed entrato in vigore il 5 febbraio del 2011. L' obiettivo di questa intesa era limitare le testate nucleari dei due Paesi a 1.550 ciascuno, più 700 missili balistici intercontinentali e 800 sistemi di lancio. L' accordo era decennale, e quindi scadrà il 5 febbraio prossimo, un paio di settimane dopo l' Inauguration presidenziale americana. Le parti potrebbero rinnovarlo per cinque anni senza passaggi parlamentari, ma Trump ha già lasciato intendere che non è convinto. Anche qui vorrebbe coinvolgere la Cina, che però resiste, perché il suo arsenale è circa un quinto di quello russo e americano.
Partecipare all' intesa vorrebbe dire per Pechino scolpire nella pietra questo svantaggio, oppure riceverebbe il permesso di salire anche lei dalle attuali 300 testate a 1.550?
Sullo sfondo, poi, la Casa Bianca sta considerando di abbandonare pure il Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty, cioè il trattato che vieta i test delle armi nucleari, firmato all' Onu nel 1996, però mai ratificato. Ciò le consentirebbe di riprendere gli esperimenti necessari a sviluppare nuovi ordigni, e se lo facesse confermerebbe l' intenzione di rilanciare la corsa al riarmo.
Per la verità, questa direzione è stata già indicata nel bilancio pubblicato a febbraio, che destinava 19,8 miliardi di dollari alla National Nuclear Security Administration, ossia l' agenzia del dipartimento all' Energia che gestisce e sviluppa l' arsenale atomico. Pochi spiccioli, rispetto agli oltre 700 miliardi stanziati per il Pentagono, che però rappresentano un aumento del 50% rispetto al 2017. Di questi fondi, 15,5 miliardi sono stati assegnati allo sviluppo delle nuove strutture della Space Force, ossia le forze spaziali appena create da Trump.
Una parte dei finanziamenti poi serve per costruire missili a raggio intermedio, non più vietati dopo l' abbandono del trattato INF, mentre 2,3 miliardi verranno investiti nelle armi ipersoniche. Il bilancio punta a sviluppare due nuove armi atomiche; la testata per i sottomarini W93, che andrà in produzione nel 2034; e la 87-1, bomba termonucleare per i missili basati a terra, attesa per il 2030. Non sono dietro l' angolo, ma la strada è tracciata.
esplosione base sottomarini nucleari in russia 7
Trump non ha mai fatto mistero di puntare al riarmo, pur dicendo di voler negoziare nuovi trattati con Putin, ma anche la Russia non è senza responsabilità. Uno studio della Nuclear Threat Initiative pubblicato a novembre da Jill Hruby ha confermato che Mosca sta sviluppando almeno sei sistemi nucleari molto minacciosi: i missili Sarmat, con raggio di 16.000 chilometri; gli ipersonici Kinzhal, Avanguard e Tsikron; il siluro Poseidon per i sottomarini, capace di navigare per oltre 5.000 chilometri; e il vettore subsonico a propulsione atomica Burevesnik, che con la gittata di 23.000 chilometri può fare il giro di mezzo mondo.
Putin dunque ha già lanciato la sfida a Trump, a cui va aggiunta quella di Xi, che ambisce a diventare il leader tecnologico mondiale, e dispone di mezzi economici simili a quelli della Casa Bianca,decisamente più ricchi di quelli del Cremlino.
Lo scenario è questo, condiviso negli Usa dagli analisti su base bipartisan. Se Biden vincesse a novembre cambierebbe la tattica, rilanciando l' alleanza con gli europei, ma non la strategia.
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