VOLETE CAPIRE LO STATO D'ANIMO DI MATTARELLA? LO SVELA MARZIO BREDA: "QUESTA CRISI LO HA MESSO MOLTO A DISAGIO. NON SOLO PER LO SPETTACOLO DI INTRIGHI, PROVOCAZIONI, TATTICISMI, MENZOGNE, TRASFORMISMI, AZZARDI E SABOTAGGI CHE HANNO RAFFORZATO L'IDEA DI ESSER DOMINATI DA POTERI TRIBALI, MA PERCHÉ ALLA FINE NE ESCE LESIONATO IL PRESTIGIO DELLE ISTITUZIONI. TUTTE. ARRIVANDO DI FATTO A LAMBIRE PERFINO IL QUIRINALE, IL CUI INQUILINO DA SETTIMANE VIENE STRATTONATO DAI PARTITI SENZA RISPETTO"
-Marzio Breda per il "Corriere della Sera"
Ha un'espressione tirata ed è scuro in volto, Sergio Mattarella, quando a tarda sera annuncia che farà un governo «di alto profilo e che non debba identificarsi con alcuna formula politica». Un governo del presidente. Dunque suo. Guidato da Mario Draghi, l'estrema e la più autorevole risorsa del Paese, atteso già oggi a mezzogiorno al Quirinale.
La crisi aperta 20 giorni fa con il ritiro della delegazione di Italia viva dalla maggioranza si chiude nel peggiore dei modi, per le attese di stabilità cui il capo dello Stato sperava di non dover rinunciare. O meglio, nel migliore dei modi soltanto per Matteo Renzi, il rottamatore in servizio permanente, che a questa tabula rasa mirava fin dall' inizio. E che ha fatto di tutto per vanificare le consultazioni sul Colle e la successiva esplorazione di Roberto Fico.
A questo punto a Mattarella restavano solo «due strade tra loro alternative» e le spiega puntigliosamente davanti alle telecamere, per far capire com' è maturata la sua scelta e sgombrare eventuali recriminazioni. La prima strada era quella di «dare immediatamente vita a un governo adeguato a fronteggiare le gravi emergenze, sanitaria, sociale ed economico-finanziaria».
L' altra era quella di «immediate elezioni anticipate... Una strada che va attentamente considerata perché le elezioni rappresentano un esercizio di democrazia». Era però controindicata perché avrebbe creato un quasi-vuoto di potere di almeno quattro mesi. Un periodo troppo lungo per galleggiare nel piccolo cabotaggio, dato che incombono urgenze e scadenze inderogabili, che gli italiani ben conoscono perché riguardano la loro salute (terza ondata di pandemia, vaccinazioni) e la tenuta economica e sociale del Paese (Recovery plan, ecc.).
Ecco perché tocca a Draghi, una scelta obbligata. Sul cui nome il presidente rivolge già adesso un appello «a tutte le forze politiche», affinché gli conferiscano piena fiducia. Appello sillabato con un'enfasi per lui inusuale, perché anche se il nome dell'ex capo della Banca centrale europea è stato evocato quasi unanimemente nelle ultime settimane, non è poi detto che, alla prova dei fatti, il sostegno del Parlamento sia davvero scontato. Otterrà subito un incarico pieno. Il che significa che sarà Draghi stesso a scrivere il programma di governo e a tracciare l' elenco dei ministri, che ancora non si sa se saranno tecnici o politici.
Una prova di forza devastante, questa crisi, che ha messo molto a disagio Mattarella. Non solo per lo spettacolo di intrighi, provocazioni, tatticismi, menzogne, trasformismi, azzardi e sabotaggi che hanno rafforzato nella comunità nazionale l' idea di esser dominati da poteri tribali, ma perché alla fine ne esce lesionato il prestigio delle istituzioni. Tutte.
Arrivando di fatto a lambire - di riflesso, certo - perfino il santuario più alto, il Quirinale, il cui inquilino da settimane viene strattonato dai partiti senza rispetto.
Perciò non sembra casuale che Mattarella abbia proprio ieri fatto diramare un ricordo di Antonio Segni a 130 anni dalla nascita, in cui ci sono un paio di passaggi eloquenti. Il primo, per sottolineare ancora una volta che la rielezione non rientra fra i suoi progetti, lo fa citando un messaggio alle Camere del suo predecessore, nel 1963.
In quel testo Segni esprimeva «la convinzione che fosse opportuno introdurre in Costituzione il principio della non immediata rieleggibilità del presidente della Repubblica», definendo «sette anni sufficienti a garantire una continuità nell' azione dello Stato»...Quella riforma della Carta, scriveva lo statista sassarese, «vale anche a eliminare qualunque, sia pur ingiusto, sospetto che qualche atto del capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione».
Come sappiamo la proposta fu inascoltata, e con essa anche il suggerimento subordinato che conteneva: l'abolizione del cosiddetto semestre bianco, durante il quale i poteri dei presidenti vicini alla scadenza si affievoliscono al punto che non è consentito loro di sciogliere il Parlamento. E in quest'ultimo passo risuona un richiamo alla responsabilità dei partiti, in modo che abbandonino le strategie faziose degli ultimi tempi e si impegnino a dar vita a un governo in grado di durare almeno fino al prossimo anno, senza dover rimettersi ancora una volta all' arbitrato del Colle.