ZUPPA DI CASALEGGIO – A 5 ANNI DALL’ADDIO AL LENIN DIGITALE DEL M5S COSA RESTA DEL SUO MOVIMENTO? ALLA COMMEMORAZIONE NON SONO STATI INVITATI NE’ CONTE NE’ DI MAIO (CI SARANNO INVECE GRILLO E DI BATTISTA). I RAPPORTI TRA IL FIGLIO DAVIDE E IL MOVIMENTO SONO GELIDI – PANARARI: "DOV'È FINITA L'ANTIPOLITICA DI CASALEGGIO NEL M5S FATTOSI IMPRESCINDIBILE PARTITO DI SISTEMA (E DI ESTABLISHMENT) DELLA LEGISLATURA CORRENTE?" - LA DEMOCRAZIA DIRETTA MAI NATA
-Massimiliano Panarari per la Stampa
Nel giorno in cui Beppe Grillo, Alessandro Di Battista e Virginia Raggi si uniscono alla richiesta della piattaforma Rousseau di istituire una «Giornata nazionale della partecipazione e della cittadinanza digitale» per commemorare ogni anno Gianroberto Casaleggio cosa resta del "suo" Movimento?
Una domanda tutt' altro che oziosa, visto che l'idea coincide con il momento in cui i rapporti tra il vertice del Movimento 5 Stelle e il figlio Davide hanno raggiunto il punto più basso e travagliato della loro storia. Il 12 aprile del 2016 è stato un giorno (letteralmente) ferale per il Movimento.
Quello della morte di Gianroberto Casaleggio, il creatore, demiurgo e dominus di un'originalissima organizzazione politica dopo la quale nulla sarebbe stato più come prima nella politica nazionale (come l'essere riuscito a scassare, giusto per dirne una, il già di suo piuttosto problematico bipolarismo all'italiana).
Se l'«Elevato» Beppe Grillo ha identificato il megafono del M5S, fino al momento della sua scomparsa Casaleggio è stato, senza dubbio, il suo "onnipotente" pantocratore, la mente onnisciente (in virtù delle sue intuizioni sulle tecnologie facilitanti, e pure sorveglianti e manipolanti), lo stratega supremo e lo spin doctor per antonomasia (da cui hanno appreso le "tavole della legge" della persuasione neuropolitica Rocco Casalino e le schiere dei comunicatori pentastellati).
La prima edizione interamente digitale del «Sum» prevederà così una lunga celebrazione intitolata «La settimana di Gianroberto»; e oggi irrompe nel dibattito politico anche l'istanza rivolta ai parlamentari grillini di approntare un disegno di legge per l'istituzione della "sua" giornata nazionale. E, quindi, nel nome di uno dei due leader carismatici assoluti (a diverso titolo) di quello che è stato anche, sotto molti punti di vista, un «partito (bi)personale» si moltiplicano i cortocircuiti e le contraddizioni. Pienamente in linea, d'altronde, con un partito-movimento che di paradossi (anche per effetto di una precisa strategia casaleggiana di marketing) si è nutrito.
Ma, adesso, i nodi vengono tutti al pettine e, paradosso al quadrato, proprio in relazione alla figura che ha concepito il Movimento, dopo una sequenza di prove, esperimenti e tappe di avvicinamento - tra le quali, per vari versi, va annoverata anche l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, tra i protagonisti infatti delle celebrazioni del «Sum 05» di quest' anno.
Dietro i ripetuti omaggi dell'intero gruppo dirigente e questa riedizione in salsa grillina della «guerra delle investiture» su chi meglio ne custodisce l'eredità, pare di vedere, in verità, un M5S irriconoscibile alla luce del verbo "rivoluzionario" e antisistemico di Casaleggio.
Nei capi pentastellati affiora una gamma di sentimenti sicuramente sinceri di devozione, lealtà e affetto nei confronti della figura fondativa del Padre (e anche un po' padrone, attraverso la Casaleggio Associati) di questo movimento postmoderno che, ennesimo paradosso, era l'incarnazione fortissima del principio di interdizione (agli antipodi della genitorialità debole della nostra età ipermoderna, come viene raccontata anche su queste pagine da Massimo Recalcati). Ma la loro «emancipazione» da papà Gianroberto si è consumata in tutto e per tutto, e praticamente in termini di rovesciamento.
E, così, si delinea in controluce un'immagine che evoca quasi le adunanze rituali davanti al Mausoleo di Lenin di quella nomenklatura sovietica che il leninismo lo aveva già archiviato da tempo, a dispetto degli immancabili ossequi formali. E, forse, non è appunto casuale che i primi a dichiararsi favorevoli alla beatificazione laica della giornata annuale siano stati il suo "compagno d'arme" per eccellenza e due figure di figlia e figlio prediletti che hanno vissuto - con approdi differenti - una stagione della disillusione nei confronti del Movimento partitizzato e semi-istituzionalizzato.
Perché - per dirla in dipietrese, narrazione politica tangente (o, forse, proprio secante) alla parabola della "creatura" di Casaleggio - che «c'azzecca» più tanto di quello che è successo in questi ultimi anni con lui? Cosa c'entra il Movimento duro e puro del Siamo in guerra - come da titolo del suo libro a 4 mani con il dioscuro Beppe (e il nemico era ovviamente il «Sistema», tentacolare ombrello di caste, lobby e partiti) - con l'apertura ai contributi del 2 per mille fatta da Giuseppe Conte nel suo recente discorso da neo-leader? Dov' è finita l'antipolitica di Casaleggio nel M5S fattosi imprescindibile partito di sistema (e di establishment) della legislatura corrente?
E che ne è della sua vena di antiparlamentarismo (tipica dell'ideologia populista) a fronte della ricerca da parte dei "suoi ragazzi" di una forma-partito che consenta loro di restare dentro i palazzi del potere? A tal punto che il primato della democrazia diretta teorizzato dal web guru Casaleggio rimane più come mitologico richiamo della foresta (e formula di storytelling) che reale modalità decisionale e organizzativa di quello che ha effettivamente smesso di essere il suo movimento-azienda. Certo, il taglio per via referendaria dei parlamentari ha rappresentato una sua indiscutibile vittoria. Tuttavia, alla fine - obtorto collo finché si vuole -, l'ammaccata democrazia rappresentativa è riuscita a riassorbire e neutralizzare le pulsioni antipolitiche delle sue falangi. Per parafrasare (indegnamente) Orazio, ancora una volta, la Roma conquistata conquistò il rude vincitore.
Dentro cui il profeta dell'ingegneria sociale e rabdomante dello spirito del tempo Casaleggio aveva inserito un software da Ideologia californiana, non contemplando la possibilità di fare prigionieri. Insomma, da Gaia (il suo inquietante video visionario sulla politica del futuro) alle umane, troppo umane preoccupazioni dei suoi ex «portavoce» di preservare le poltrone dalla tagliola (un tempo, dogma incontestabile) del limite dei due mandati: sic transit gloria mundi. E, difatti, in questo "transitare",pochissimo (ed è pure un eufemismo) rimane dell'originario disegno casaleggiano.