L'AVVENTO DEL MESSIAS - IL 30ENNE BRASILIANO, EROE DEL MILAN NELLA NOTTE DI CHAMPIONS CONTRO L'ATLETICO MADRID, È PROFESSIONISTA SOLO DA TRE ANNI, GRAZIE AL CROTONE - ARRIVATO IN ITALIA NEL 2011, A TORINO FACEVA IL MURATORE E IL FATTORINO, FINO A QUANDO GLI OFFRIRONO 1.500 EURO PER GIOCARE AL CASALE, IN ECCELLENZA - I PROBLEMI CON L'ACOL E LA FEDE IN DIO: "LUI MI HA SALVATO, POTEVO ESSERE MORTO. QUELL'INCIDENTE IN MACCHINA…" - VIDEO
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Andrea Sereni per www.corriere.it
La notte magica di Madrid
Al posto giusto nel momento giusto: per tanti anni Junior Messias in quel posto non c’è mai stato, sempre a rincorrere, prima ancora del grande calcio, una vita normale, documenti regolari, un equilibrio interiore, uno stipendio adeguato nell’Italia che lo ha ospitato dal 2011 quando è arrivato per seguire il fratello che già viveva qui da anni.
Poi la svolta nel 2019: calciatore professionista a 28 anni col Crotone, la promozione in serie A e poi il passaggio in prestito al Milan in estate e la notte di Champions a Madrid, il 24 novembre 2021.
Ingresso dalla panchina e gol dell’1-0 che sbanca il Wanda Metropolitano e tiene vive le speranze di qualificazione del Milan agli ottavi. Troppo spesso, e a sproposito, nello sport si usano parole come sogni o favola o riscatto, ma in questo caso ci stanno benissimo.
E la storia di Junior Messias — 30enne attaccante brasiliano di Ipatinga nel Minas Gerais, sposato con Thamyrys (anche lei calciatrice) e papà di Miguel e Emanuel — raccontata da lui stesso qualche tempo fa lo dimostra alla perfezione. Perché dietro questo gol in una notte madrilena c’è una straordinaria esperienza di vita che lo ha reso possibile.
«Potevo essere morto»
«Troppo forte Mico. Rallenta. E invece acceleravo, sempre di più. La macchina era un rottame, il volante tirava tutto da una parte, dovevo imprimere forza per mantenere la rotta dritta. Stavo percorrendo una strada sterrata, meno di un chilometro e sarei arrivato all’ingresso della statale. Ero stato al matrimonio di mio fratello ed ero completamente sbronzo, troppo alcol in corpo e zero minuti di sonno. Ho chiuso gli occhi per un istante, uno solo, non me ne sono nemmeno accorto. Poi un tonfo, sono finito fuori strada in mezzo ai campi. Potevo essere morto, ma qualcuno mi ha salvato».
Parte così il racconto che Junior Messias ha scritto qualche tempo fa per «Cronache di Spogliatoio». Una lettera in cui parla a cuore aperto del suo passato, in Brasile, dell’arrivo in Italia e degli anni da muratore. Fino al professionismo e la serie A, con il Crotone contro Cristiano Ronaldo e Ibrahimovic e poi il Milan. La sua è «una storia bellissima», parole dell’ex allenatore del Crotone, Giovanni Stroppa. Ci sarebbe da aggiungere anche «esemplare».
La fede in Dio
«Il bello del Brasile è fare festa. Si fa sempre festa, troppa festa. Tanto che di cazzate nella vita ne ho fatte. Come quella volta al matrimonio di mio fratello, quando qualcuno mi liberò dal fango —continua l’attaccante, parlando della sua fede —. È stato Dio a salvarmi.
E lì, in quella notte fra le campagne brasiliane mentre stavo perdendo me stesso, ho conosciuto per davvero il Signore. Sono credente, nel modo più vero che esista. Tutto quello che faccio ha un senso e lui mi ha protetto con le sue mani. Per anni prendevo la moto, uscivo, bevevo, e mi perdevo. E ancora Dio a prendersi cura di me»
Muratore a Torino
Dalle partite a piedi scalzi tra le strade polverose di São Cândido, sud-est del Brasile, non lontano da Belo Horizonte, al Piemonte, la sua prima casa italiana, a 20 anni: «Ricordo quando sono arrivato in Italia. Fu mio fratello a convincermi a partire. Torino, quartiere Barriera di Milano. Mille culture, opportunità. Lavoravo nel cantiere di un italo-argentino, pulivo i mattoni che i suoi carpentieri staccavano dagli edifici demoliti. Io li rimettevo a nuovo, uno a uno. Mi dava 20 centesimi per ogni mattone tirato a lucido. Ho messo da parte i primi soldi e sono riuscito a restare qui. Non era tanto, ma era abbastanza.
Sono rimasto per anni nei cantieri, diventando successivamente muratore. A me piaceva andare a lavorare, non sono uno di quelli che si piange addosso. Credo che il lavoro sia una di quelle cose che ci salva, niente arriva a caso. Quella era ed è l’unica strada».
Il calcio, insomma, era solo un modo per staccare la spina: «Dite che speravo di diventare un calciatore professionista? Assolutamente no, guardate che ero già abbastanza grande, ero un fuori quota a tutti gli effetti. A dir la verità pensavo di non essere all’altezza neanche per fare l’Eccellenza. Io il calcio lo amavo, ma non era mai stato un piano per la vita. Era uno svago, uno dei motivi, non il punto d’arrivo del mio tragitto».
Fattorino e le chiacchierate con gli anziani
«In un secondo momento diventai anche fattorino — prosegue nel racconto Messias — portavo i pacchi e facevo le consegne di elettrodomestici. Questo lavoro me lo trovarono gli amici peruviani, che poi erano i miei compagni di squadra nello Sport Wariqe, nel campionato Uisp di Torino.
Il momento più bello della giornata era quando qualche anziano mi chiedeva di entrare per parlare o prendere un caffè. Non consegnavo solo in città, ma anche nelle zone limitrofe: Chieri, Pino Torinese, tutti posti dove l’età media è più alta. E gli anziani, si sa, molto spesso si sentono soli. Un po’ come me, che avevo la famiglia distante e lottavo senza qualcuno che mi abbracciasse la sera sul divano.
Capitava di stare anche quaranta minuti nelle case di signori o signore che volevano scambiare quattro chiacchiere, condividere i racconti di quando erano giovani, ascoltare i miei. Questo è quello che facevo in Italia fino a poco tempo fa. Il calcio era solo una passione da coniugare nel tempo libero con il lavoro».
La svolta: calciatore a tempo pieno
Stava per chiudere definitivamente con il calcio: «Volevo smettere di giocare a calcio. Mi fa effetto scriverlo adesso. Misi la mia storia nelle mani di Dio. Ero seduto con il pastore della Chiesa che frequentavo: voglio dire basta, ma voglio che sia il Signore a darmi un segnale. Non voglio farlo di mia spontanea volontà, voglio che ci sia qualcosa che mi faccia dire: “Ok, Junior, basta”.
Da quel momento si sono aperte tutte le porte. Non avevo documenti, erano anni che cercavo di riceverli e regolarizzarmi. Accadde che un giorno mi arriva la comunicazione: “Puoi venire in Questura a ritirarli”.
E il giorno dopo Ezio Rossi, ex calciatore che avevo conosciuto alla fine di una partita Uisp, mi chiamò per dirmi che aveva finalmente trovato una squadra da allenare. Mi aveva proposto di andare al Fossano, da un suo amico, ma mi proponevano 700 euro al mese e io non sarei mai riuscito a farmeli bastare. Con un figlio e una moglie in Brasile, come fai?
Ne guadagnavo 1200 lavorando. Ma poi Ezio a Casale poteva cambiarmi la vita. «Senti Junior, vieni qui. Fai qualche giorno di prova e, se va tutto bene, parlo io col presidente». Non trascorsero neanche due giorni che mi disse: «C’è un contratto da 1500 euro al mese per te. Non dovrai pensare a nient’altro, solo al calcio».
La serie A col Crotone
Il Casale, in Eccellenza, vince il campionato con Messias autore di 20 gol. È l’inizio dell’ascesa: passa al Chieri, in serie D, lo vuole la Pro Vercelli in serie B ma non ha il passaporto comunitario. Riparte allora dal Gozzano che lo porta in serie C.
E così arriva la telefonata del Crotone, fino alla promozione in serie A: «Sapete quando ho capito di essere diventato un calciatore vero? Quando sono entrato nella sala riunioni per la seduta video prima dell’allenamento in vista della partita contro il Milan. Iniziamo a studiarli e la mia mente comincia a realizzare. Vuoi per i successi, vuoi per i brasiliani, è la squadra che ho ammirato fin da piccolo. Cafu, Kakà, Serginho, Ronaldo, Ronaldinho. Hanno fatto la storia».
Poi la sfida alla Juventus: «Sono negli spogliatoi di uno degli stadi più importanti del mondo. Ho appena giocato contro Cristiano Ronaldo e il gruppo WhatsApp con i miei amici brasiliani ingoia dieci notifiche al secondo. «Guarda Mico con CR7!», «Mico, pazzesco, sei accanto a Chiellini».
Si stanno inviando le fotografie della partita che hanno trovato su Internet. Anche io devo capire bene ciò che è accaduto. Ho appena visto i più forti al mondo sul mio stesso prato. Ci ho fatto l’abitudine quest’anno alle cose incredibili, però questo è troppo anche per me: perché sì, ho affrontato i migliori, ma ricevere i loro complimenti è stato qualcosa fuori dalla norma».
Il segnale
Il percorso di Messias ha ancora tanti capitoli da scrivere, seguendo una strada ben precisa: «L’anno scorso — raccontava ancora il brasiliano — ho iniziato a soffrire di ansia. Quando non va bene, ti fermi a pensare. Avevo attacchi improvvisi che non mi facevano dormire per tutta la settimana. Pensavo, ad esempio, a quando avrei dovuto prendere l’aereo per andare in trasferta. E non dormivo. Notti insonni trascorse a fissare il soffitto, a girarmi nel letto e non soffocare. Credo che sia tutto motivato.
Il mio primo gol tra i professionisti lo ricordo bene. Calcio di punizione, grande mischia in area. Batto, la traiettoria attraversa un mucchio di persone e termina in rete. Andate a vedervi la mia rete contro il Bologna. Volevo lasciare il calcio per predicare la parola di Dio. Ma lui mi ha dato un segnale. Quello che aspettavo. Eccomi qui».
Al Milan. A segnare un gol decisivo in Champions. A sognare e a fare sognare, non a caso i compagni, per comodità, lo chiamano Messi, con una «as» in meno. Perché, come ha scritto lui stesso in un post su Instagram con la maglia del Milan, «tutti i traguardi che raggiungiamo dipendono dalla nostra perseveranza».