L'ODISSEA DI FILIPPO TORTU, DAL COVID ALL'ORO NELLA STAFFETTA 4X100, RACCONTATA DAL PADRE: "L'HA PATITO TANTO. A GENNAIO HA PERSO 3-4 CHILI, A MARZO ABBIAMO RICOMINCIATO LA PREPARAZIONE DA CAPO. DURANTE IL LOCKDOWN CI SIAMO ALLENATI IN UN BOSCO ACCANTO A CASA E NON PUOI PREPARARE UN'OLIMPIADE COSÌ. SAPEVO CHE LE PRIME GARE NON AVREBBERO CORRISPOSTO ALLE ASPETTATIVE. E ORA..."
-Gaia Piccardi per il "Corriere della Sera"
«Siamo all'imbarco del volo per Roma, ho la medaglia d'oro di mio figlio in tasca: sono un allenatore felice».
Il lanciato di 8"84 di Filippo Tortu nell'ultima frazione della staffetta 4x100 che ha battuto Gran Bretagna e Canada rimarrà uno dei momenti più iconici dell'Olimpiade giapponese. Salvino Tortu, papà-coach di Piè Veloce in una stagione in salita fino al botto di Tokyo, c'era.
Filippo ha stupito anche lei?
«No, conosco lui e conosco i suoi tempi in allenamento. So che in gara dà tutto e può correre decontratto. Ci è riuscito nel momento più importante: il suo lanciato è la mia Olimpiade».
Perché fino ai Giochi non era riuscito ad esprimersi al livello del suo talento?
«Il Covid è una brutta bestia, Filippo l'ha patito tanto. A gennaio ha perso 3-4 chili, a marzo abbiamo ricominciato la preparazione da capo. Il progetto iniziale della stagione era puntare alla finale olimpica dei 200. Succede sempre qualcosa che ci costringe a cambiare i programmi. Durante il lockdown ci siamo allenati in un bosco accanto a casa e non puoi preparare un'Olimpiade così. Sapevo che le prime gare non avrebbero corrisposto alle aspettative».
Il 10"30 di Ginevra a giugno, in effetti, era troppo brutto per essere vero.
«Filippo ha gareggiato poco per privilegiare l'allenamento però è arrivato in forma all'Olimpiade, che è quello che conta. Ha fatto 10"10 in batteria nei 100, poi in semifinale ha sbagliato il secondo appoggio: come dice Carl Lewis, se sbagli un metro te ne rimangono 99 per imprecare. Non sarebbe andato in finale comunque, ma non avrebbe fatto 10"16».
L'oro nella staffetta ripaga di tutto?
«Ci sarà sempre qualche scienziato che ci rimprovererà di non aver corso i 200. Sono stati due anni difficili per tutti: per il Mondiale di Eugene li prepareremo».
L'oro di Jacobs nei 100 è stato un elettrochoc positivo?
«Non lo definirei uno choc, Filippo non l'ha vissuto così. È stato di stimolo».
E avere perso il record italiano, abbassato da Jacobs, è pesato in qualche modo?
«I record sono fatti per essere battuti. Restano le medaglie e i piazzamenti».
Che cosa c'era nel pianto di suo figlio dopo il traguardo della staffetta?
«Gioia, e questa per me è la cosa più bella. Ho visto realizzarsi il suo sogno e il mio».
L'esperienza olimpica insegna la condivisione, a non isolarsi troppo?
«Collaboro con Di Mulo e Frinolli da anni, mi confronto in continuazione. Se fossi chiuso nel mio mondo, come dicono, nel giro di un anno sarei vecchio. Penso di essere aperto allo scambio come pochi».
Come prosegue il resto della stagione?
«Si va in Sardegna, perché lì abbiamo condizioni ideali. Le opzioni ora sono tre: cercare un 200, ma con zero preparazione, fare dei 100, oppure niente. Va assorbita l'emozione di Tokyo: tornare a correre per fare 10"30 non avrebbe senso. Filippo tra l'altro a Tokyo si è consumato, è scavato in viso, ha perso un paio di chili. Tornare sui blocchi potrebbe non essere scontato».
Perché, dal suo punto di vista di tecnico, l'Italia ha vinto la 4x100?
«Tra i quattro compagni scorre una fiducia profonda e reciproca. È l'oro della squadra, incluse le riserve che hanno contribuito a qualificare la staffetta per Tokyo. Filippo darebbe tutto per la Nazionale: quando Desalu gli ha passato il testimone da portare al traguardo, semplicemente, l'ha fatto».