ATTACCO DI "CHOLITO" - LA STRANA CARRIERA DEL FIGLIO DI SIMEONE, PASSATO DA GIOVANE PROMESSA IN ARGENTINA A FLOP IN ITALIA FINO A DIVENTARE IL MATTATORE DI SARRI – PER LA SECONDA VOLTA IN CARRIERA GIOVANNI SIMEONE HA "BUCATO" CON ALMENO UNA TRIPLETTA LA SQUADRA DEL TECNICO TOSCANO (ERA SUCCESSO IN UN FIORENTINA-NAPOLI) – GRAZIE AL POKER CONTRO LA LAZIO, SIMEONE ENTRA NEL CLUB DEI 18 GIOCATORI CHE SONO RIUSCITI A FARE ALMENO QUATTRO GOL IN UNA PARTITA DI SERIE A...
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Claudio Savelli per “Libero quotidiano”
Giovanni Simeone non ha più l'età per essere una promessa del calcio. Ventisei anni sono semmai la soglia della maturità, il momento in cui stai offrendo il meglio e qualcuno è pronto a coglierlo. Invece, nel caso di Simeone, nessuna grande squadra si è fatta avanti, anzi, la parabola della sua carriera è una linea.
Piatta, impantanata in una zona di comfort di metà classifica. Dopo gli inizi tra River Plate (era un prodigio nelle giovanili) e Banfield (accettato al posto del Palermo), Simeone approda in Italia, su suggerimento di papà Diego, al Genoa che, Milito insegna, per gli attaccanti argentini ha il tocco. Grazie a 12 gol in 35 presenze nel 2016/17 compie il primo salto verso la Fiorentina, arrotondando a 14 reti in 38 apparizioni (2017/18, miglior annata finora).
Ma la seconda stagione in Viola, quella dell'attesa svolta, si consuma nell'anonimato personale e della squadra (6 reti in 36 apparizioni), così Simeone diventa un incompiuto, oltre che un attaccante spesso incompreso.
RIPARTENZE
Scende di grado - con tutto il rispetto - verso il Cagliari, dove di nuovo alterna un primo anno discreto, in linea con le abitudini (12 gol in 37 presenze) ad uno grigio (6 reti in 33). E così, in estate, il Verona maestro di occasioni l'ha colto in prestito (1,5 milioni) con un diritto di riscatto (12 milioni): la stessa cifra spesa dal Cagliari, poco meno dei 17 versati dalla Fiorentina al Genoa, a conferma che la valutazione nei suoi confronti è lineare. Pure troppo.
Sulla linearità ha fondato sia la carriera da giocatore sia quella di allenatore papà Diego El Cholo, la cui filosofia è abbracciata da Giovanni: «Gli altri parlano, tu allenati», recita un suo post. Simeoncino è cholismo puro ma guai a chiamarlo Cholito: preferisce emanciparsi, essere solo e soltanto Simeone «diventando più forte di papà».
Impresa ardua per la quale serve in campo la costanza che Giovanni ha nella vita - è rigoroso, attentissimo all'alimentazione (anche grazie alle schede "prestate" dall'Atletico Madrid del papà), praticante della meditazione e uomo di casa con Coco e Marvel, un cane e un gatto, e Giulia, fiorentina, prima sua fidanzata e da quest' estate sua moglie- mai che sia sopra le righe.
La quadripletta alla Lazio di Sarri, con cui entra nell'esclusivo club dei 18 pokeristi in A, è uno dei picchi della sua carriera, poi spesso disattesi («Da tempo non vedevo un attaccante giocare così», ha ammesso mister Tudor: domani con l'Udinese l'occasione per confermarsi). Lo scorso anno iniziò con 5 reti nelle prime 6 presenze, segnandone solo un altro nelle restanti 27.
Tre anni fa chiuse la miglior stagione nella Fiorentina e in Italia con una tripletta al Napoli di Sarri, sempre lui: sì, quella dello scudetto «perso in albergo a Firenze», sempre nella giornata del Derby d'Italia e sempre a Reina. Il problema di Simeone è che il pregio diventa un difetto.
È un attaccante d'area - tre dei quattro gol alla Lazio sono da centravanti d'altri tempi, più l'imprendibile tiro dal limite - relegato in squadre che non portano lì il pallone (il Verona ambisce a farlo) e che infatti quando vanno in difficoltà (vedi ogni seconda annata del Cholito) lo spingono in panchina come soluzione di tutti i mali. Così, in quella dimensione di metà classifica, Simeone finora è rimasto. Chissà quanti gol farebbe in una grande. Chissà se esiste un direttore sportivo che se lo sta chiedendo.