LO CHIAMAVANO "PIZZAIOLO" MA PARLAVA SETTE LINGUE – MINO RAIOLA RIUSCI' A CONQUISTARE IBRAHIMOVIC DANDOGLI DELLO "STRONZO" AL LORO PRIMO INCONTRO, DICENDOGLI CHE NON POTEVA PIU' FARE IL FIGHETTO E DOVEVA LAVORARE DURO - A CHI GLI RIMPROVERAVA DI APPARIRE TRASANDATO REPLICAVA "IO DISCUTO DI SOLDI, NON DI MODA. E POI COSI' MI SOTTOVALUTANO E RIESCO A OTTENERE DI PIU'..."
-Antonio Barillà per “la Stampa”
Cinquantaquattro anni soltanto. L'incredulità che si somma al dolore. La percezione violenta della fragilità di fronte al destino. Quando s' abbatte niente ha più senso, né il potere né il denaro. Mino Raiola li possedeva entrambi e non era grazia ricevuta, aveva costruito un impero partendo dal nulla, dal ristorante aperto ad Haarlem, due passi da Amsterdam, da papà e mamma emigrati da Angri, provincia di Salerno, quando lui aveva appena otto mesi.
Lo chiamavano "Il pizzaiolo" e il tono tradiva il senso: ammirazione per un self made man o richiamo sprezzante alle origini umili. Giurava di non aver mai sfornato una Margherita, ma d'averle sì portate ai tavoli: ne andava fiero perché quella era stata la sua scuola, più del liceo e dell'università interrotta.
Aiutando i genitori, contabile e non solo cameriere, scoprì la vocazione imprenditoriale e l'inclinazione per le lingue, passepartout del successo: ne parlava sette, l'italiano delle radici e l'olandese della seconda patria, l'inglese imparato da bambino guardano Disney in originale, il tedesco, il francese, lo spagnolo e il portoghese.
Amava il pallone, aveva fatto qualche gol nelle giovanili dell'Haarlem, me le prime mediazioni non c'entravano: i commercianti olandesi e italiani avevano modi e metodi opposti negli affari e Mino, all'anagrafe Carmine, smussava, avvicinava, trovava il punto d'intesa. Il calcio arrivò poco dopo, chiacchierando con il presidente dell'Haarlem che tutti i venerdì andava a cena nel suo locale: fu così convincente, o sfacciato, da essere nominato, ventenne, responsabile del settore giovanile e poi direttore sportivo.
Imparò in fretta i trucchi del mercato, ottenne dal sindacato calciatori l'incarico di rappresentante degli olandesi all'estero, portò Bryan Roy al Foggia, Dennis Bergkamp e Wim Jonk all'Inter, poi superò l'esame di agente Fifa e diede inizio alla scalata.
Tra i primi assistiti Pavel Nedved, trasferito dallo Sparta Praga alla Lazio per 9 miliardi di vecchie lire e, cinque stagioni dopo, alla Juventus per 75. Bianconero diventò anche Zlatan Ibrahimovic, amico fraterno prima che punta di diamante della scuderia, conosciuto da piccolo narciso all'Ajax e trasformato in gladiatore: raccontava d'averne conquistato la fiducia dandogli al primo incontro dello str..., spiegandogli bruscamente che per diventare il migliore non doveva più fare il fighetto ma lavorare duro.
Zlatan capì e la pessima impressione iniziale finì in frantumi: quello «gnomo ciccione» in t-shirt che aveva «divorato cibo per cinque» sarebbe diventato il suo guru. Il look a Mino interessava, a chi gli rimproverava d'apparire trasandato replicava che lui discuteva di soldi e non di moda e che anzi l'apparenza era un'arma così lo sottovalutavano e strappava di più, difatti per anni ha spostato top player e milioni in bermuda e camicia hawaiana: Paul Pogba, Erling Haaland, Mario Balotelli, Matthijs de Ligt, Gigio Donnarumma, Stefan De Vrij, Marco Verratti, Ryan Gravenberch, Moise Kean. Tutti legatissimi.
Mino ha cambiato il ruolo del manager, ha difeso i loro interessi contro tutto e tutti, fregandosene di inimicarsi dirigenti, colleghi e politici. Dissacrante, d'altronde. Provocatorio, spregiudicato, sfrontato. E di chi poteva avere soggezione uno capace di tacciare pubblicamente di mafia le maggiori istituzioni sportive e dare dell'incompetente a uno dei suoi più alti rappresentanti? Era tra gli agenti più discussi, ma anche tra i più bravi e ricchi: quarto al mondo per Forbes nel 2020 con un fatturato di 84,7 milioni di dollari e un giro di affari di 847,7, il patrimonio non è stimato con precisione ma si dice sfiori i 500 milioni di euro.
Tutto è impallidito di fronte alla malattia, affrontata con coraggio ma purtroppo più forte: «Mino ha lottato con tutte le sue forze proprio come faceva per difendere i suoi calciatori - recita l'annuncio social della famiglia -. È stato parte delle vite di tanti calciatori e ha scritto un capitolo indelebile della storia del calcio moderno. Ci mancherà per sempre e il suo progetto di rendere il mondo del calcio un posto migliore per i calciatori sarà portato avanti con la stessa passione».