CHIEDIMI CHI ERA GABER – OMBRETTA COLLI RACCONTA IL GRANDE AMORE CON IL 'SIGNOR G': "ABBIAMO ATTRAVERSATO LE GIOIE E I DOLORI DI UNA COPPIA NORMALE. CERTO QUANDO CI SONO L’INNAMORAMENTO, L’ATTRAZIONE E IL DESIDERIO TUTTO È PIÙ FACILE, MA NON È TUTTO. È INUTILE TENTARE DI SCAPPARE DALLA SOFFERENZA CON I COLPI DI TESTA, LE SBANDATE E I PICCOLI O GRANDI TRADIMENTI. È SOPRATTUTTO LÌ CHE SI CRESCE, CHE SI DIVENTA ADULTI" - "MOLTI AMICI DI SINISTRA NON MI PERDONAVANO LA SCELTA DI FORZA ITALIA E DICEVANO CHE GIORGIO AVREBBE DOVUTO LASCIARMI...” - VIDEO
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Ombretta Colli è una donna molto simpatica, ironica, fortunata. E lo sa. In tanti, da tempo le chiedevano di scrivere un libro su lei e Giorgio Gaber, sul loro amore, sul loro sodalizio artistico sentimentale, ma lei - un po’ superstiziosa - ha sempre pensato che «portasse iella». Poi «un giorno mi hanno beccato in un momento buono e ho detto sì».
Si è messa al lavoro con Paolo Dal Bon, amico storico, e hanno scritto Chiedimi chi era Gaber, 153 pagine che si leggono con grande piacevolezza tra aneddoti, ricordi, confessioni. Ombretta, dopo aver letto il suo libro (in uscita il 21 aprile) cosa le piacerebbe si dicesse? «Ah però Ombretta, alla fine ha avuto i suoi problemi anche lei .
È una donna normale».
Curiosamente le piace la definizione di donna normale, eppure se c’è una donna che è sempre stata fuori dagli schemi, è proprio lei. Del resto se uno come Giorgio Gaber l’ha amata così tanto, l’ha sposata, l’ha voluta sempre vicino, è perché ha visto in lei un essere speciale. Quando le chiedevano, anni fa, quando lei era bellissima, esuberante e provocante (qualità difficilmente perdonate a una donna) «facile eh, essere la moglie di Gaber?» Lei rispondeva candida: «Se uno ce la fa...».
Libertà e pregiudizio
Ci sono due parole che legano la storia di Ombretta a quella di Giorgio: libertà e pregiudizio. Entrambi, ciascuno con la propria personalità, e insieme come coppia, hanno fatto della libertà la loro bandiera e della lotta contro ogni tipo di pregiudizio la loro cifra. Per questo forse il loro amore ha resistito così tanto.
Nell’ultimo capitolo del libro c’è un passaggio intenso, che riassume il senso della loro unione: «Credo che alla fine la nostra sia stata per il pubblico una coppia, se non eternamente felice, quantomeno solida. E in effetti è stato così. Abbiamo attraversato le gioie e i dolori di una coppia normale. (..) Certo quando ci sono l’innamoramento, l’attrazione e il desiderio tutto è più facile, ma non è tutto. È inutile tentare di scappare dalla sofferenza con i colpi di testa, le sbandate e i piccoli o grandi tradimenti. È soprattutto lì che si cresce, che si diventa adulti.
Sì, con Giorgio abbiamo costruito qualcosa di solido, di cui essere orgogliosi. L’abbiamo capito e davvero realizzato il giorno in cui Dalia ci ha comunicato che aspettava un bambino».
Effettivamente non c’è nulla di più normale in questa sintesi. Un amore, una figlia, Dalia, altre vite che nascono. Ombretta dice che il suo amore per Giorgio è durato 40 anni, più i 16 anni da quando lui non c’è più, perchè «la mattina quando mi sveglio io mi sento sposata con Giorgio». La scintilla scoppia in un elegantissimo ristorante milanese dove lui, gentiluomo, la invita per la prima volta. Anche se poi dimentica a casa il portafoglio ...
Ride ancora adesso Ombretta : «Un uomo generoso, ma distratto. Quella sera mi colpì subito la sua forza di carattere incredibile e il suo umorismo. Su ogni argomento si poteva ridere, sempre». È vero, avevano la capacità di far finire tutto in una risata. Anche quando si raccontano le reciproche infanzie, non certo facili. Lui colpito a 9 anni da poliomielite che gli lascerà danni permanenti nella parte sinistra del corpo, prima alla gamba e poi alla mano; lei con un’infanzia difficile a Genova, poverissima nel dopoguerra, costretta a vivere in una casa tra le macerie e a trascorrere interi pomeriggi dalle suore o negli spazi della Cgil. Ricordi che fanno capire tante cose: la profonda sensibilità di Giorgio, la capacità di Ombretta di sentirsi a suo agio in qualunque ambiente.
Giorgio e Ombretta si frequentano, si conoscono. Lui un uomo «che va a corrente alternata», che detesta viaggiare (ogni estate lei chiede: «Dove si va?» E lui risponde smarrito: «Perché ? Stiamo così bene a Milano») ma con una capacità innata di farsi voler bene da tutti. Lui è un Acquario e lei adora l’astrologia di cui ancora oggi è una appassionata “seguace”, dunque lo studia e riconosce in Giorgio tutte le doti degli Acquari: uomini sensibili e solidali con il prossimo, sinceri e leali. Lui è anche timido e determinato. Parlando di sé, una volta Gaber disse: «Vivo a corrente alternata, oggi mi entusiasmo enormemente, domani sono in piena assoluta depressione». Del resto il temperamento di un artista è spesso così.
Gli inizi con Jannacci e Celentano al Santa Tecla di Milano. Il provino con Mogol, il suo primo disco Ciao ti dirò dove da Garberscik diventa Gaber. Da quel momento è un successo dopo l’altro. Dopo anni di grandi successi televisivi, Giorgio comincia a sentire un disagio rispetto alla tv che con l’inizio del ‘68 non riesce più a farsi portavoce delle istanze culturali del periodo storico.
Giorgio si butta nel teatro per seguire i sogni dei ragazzi. Ed è amore a prima vista, passione irrefrenabile. «Ecco di chi davvero potevo essere gelosa - confida Ombretta - del teatro». In questa girandola di emozioni artistiche, nasce e cresce il loro amore. Una sera a Milano Giorgio le dice: «Credo che io e te potremmo andare davvero lontano sai?». E non si riferisce certo a un viaggio... Dopo un solo anno di fidanzamento si sposano il 12 aprile 1965, di lunedì mattina, all’abbazia di Chiaravalle. Poi la loro quotidianità, certo non noiosa. «Avevamo trovato il nostro equilibrio di coppia, costretti spesso a stare lontani per lavoro. Così si teneva accesa la passione. Però ci eravamo dati una regola: se per lavoro eravamo distanti da Milano non più di 150 km, dovevamo tornare a casa a dormire». Una regola che ha funzionato nel tempo.
Come ha funzionato la loro diversità caratteriale: «Un po’ diversi bisogna esserlo, se si è uguali è una noia mortale. Quando ho capito che per lui viaggiare era una tortura, ho cominciato a viaggiare con le amiche». Dunque autonomi e indipendenti, ma capaci di starsi vicini: lei che lo supporta in un momento di difficoltà quando Giorgio, nei primi tempi del teatro, ha un periodo duro; lui che, anni dopo, la supporta nella sua scelta politica, quando amici e conoscenti le gettano la croce addosso («molti amici di sinistra non mi perdonavano la scelta di Forza Italia e non la perdonavano neppure a Giorgio! Secondo loro avrebbe dovuto lasciarmi per questo»). La verità è che c’è anche tanta stima reciproca. «L’ho amato molto e ho imparato tantissimo da lui, dal suo buon senso e dalla sua acutezza di analisi, dal suo sospetto verso estremismi, dietrologie e idee in voga».Perché la verità è che Giorgio non amava essere anti conformista ma semplicemente non conformista. Era contro il pensiero massificato. In questo esattamente come Ombretta.
La svolta
Nel gennaio del 1966 nasce Dalia e insieme alla gioia immensa arriva anche lo sconvolgimento professionale. Nonna Franca (mamma di Ombretta) si trasferisce nella loro casa milanese diventando a tutti gli effetti il terzo genitore di Dalia. Ombretta è senza dubbio una madre amorevole, ma non certo devota al focolare. Sceglie il parto indolore, e per questo viene fortemente contestata.
Comincia un rapporto difficile spesso con le giornaliste che sembrano non amare i suoi paradossi, non gradire le sue provocazioni. È una vera femminista, donna autodeterminata che decide le regole del gioco. Tanto da stilare un decalogo proprio per risultare odiosa al pubblico: «Non farsi mai fotografare con i figli», «Indossare abiti appariscenti e provocatori», «Essere a favore del divorzio», «Dichiarare di essere contrari alla maternità», «Affermare di essere disposta a sacrificare la famiglia per la carriera».
Si può immaginare a metà degli anni Sessanta un atteggiamento simile... Ma non indietreggia di un millimetro, anzi. Spavalda, gira le balere la sera a cantare e il pubblico la ama perché lei cerca il contatto con la gente vera. Canta La mia mama, Lu primmo ammore, Salvatore brani leggeri, divertenti, ma dai testi certo non maschilisti, anzi. È molto attraente, tra scollature e minigonne, e i complimenti, anche pesanti e volgari, da parte del pubblico maschile non mancano.
E lì Ombretta si infuria e fa volare i microfoni («quelli pesanti» ) in testa al «molestatore» di turno, arrivando a liti furibonde. Sul rispetto non transige Ombretta e il suo attivismo femminista è molto intenso in quegli anni. Una riflessione sul femminismo, signora Colli, ieri e oggi. «Il Femminismo ancora oggi lo intendo come essere sé stessa, con il proprio carattere, forte delle proprie scelte. Purtroppo ancora oggi ho amiche che si fidanzano, si sposano e poi mi dicono “Sai lui non vuole che io faccia l’avvocata”. Amiche con tante potenzialità, con una intelligenza vivace, che finiscono per accasarsi facendo bambini. Finché è una scelta propria va bene, ma quando non è così... L’indipendenza soprattutto economica non andrebbe barattata con niente».
Siamo ancora messe male, dice? «Meglio di una volta, ma c’è ancora tanta strada da fare. Manca il sostegno tra le donne. Non c’è solidarietà. Quando sento dire: “Sai lei è andata a letto con Tizio, mi cadono le braccia! Ma chissenefrega. Avrà avuto voglia di farlo. E allora?» Allora a un certo punto lei si sgancia da Giorgio Gaber e prova la sua strada di artista come Ombretta Colli. Non è facile all’inizio - viene bombardata di domande «Giorgio è d’accordo?», «Gaber è geloso?» - ma lei tira dritto con la sua forza.
Una forza che emerge chiaramente nel racconto di un episodio tremendo che nel ‘73 colpisce la loro vita: una minaccia di rapimento dell’allora piccola Dalia. Trovano un biglietto: se non ci date i soldi, prendiamo la bambina. Un capitolo del libro dedicato a quell’evento «che ci ha segnato profondamente e che per anni mi ha fatto vivere nella paura». Poi per fortuna la sua vitalità torna a vincere. Gli inizi degli anni Settanta sono anche gli inizi del teatro-canzone di Gaber-Luporini «il periodo piu felice della vita di Giorgio» e l’inizio della sua carriera di artista autonoma. Lo spettacolo a cui Ombretta è legatissima ancora oggi è Una donna tutta sbagliata, due ore e mezza di show da sola al Teatro Sistina di Roma «che non è un palcoscenico, è un colosseo. Ancora adesso quando ripenso a quella meravigliosa esperienza, forse la più bella della mia vita, penso che quando tu credi molto in una cosa, molto probabilmente ti riesce bene».
Il dolore
La fine degli Anni 80 per Giorgio significa malattia ed è costretto a rallentare; per Ombretta significa la decisione di buttarsi in politica. Giorgio non votava dal ‘75, ma va a votare per sua moglie. Un grande gesto d’amore. Crede in lei e nelle sue doti. In molti non glielo perdonano. Ombretta le hanno chiesto scusa? Ha messo a posto le cose con quanti vi hanno attaccato allora? «Sì» risponde lei con un filo di noncuranza. E con una punta di sano cinismo: «Poi quando sono diventata presidente di Provincia tanti (ex) amici di sinistra sono venuti a chiedermi favori». Del resto la sua grande dote è sdrammatizzare sempre. Tranne la malattia di Giorgio, il dolore, la morte precoce il primo gennaio 2003. Lei è lì al suo fianco, nella loro casa di Camaiore, La Padula, un luogo incantato, tra campagna e mare. Lo guarda, prima che lui chiuda gli occhi, e gli dice: «Saremo sempre insieme»