CUSIN È (SE VI PARE) – STEFANO CUSIN, L’ALLENATORE GIRAMONDO NATO A MONTREAL DA GENITORI ITALO-FRANCESI CHE HA ALLENATO IN TRE CONTINENTI DIVERSI, PASSATO, TRA GLI ALTRI, PER IRAN, PALESTINA, INGHILTERRA, CIPRO, FINO IN SUDAN, DOVE ORA È C.T. DELLA NAZIONALE – “IL POSTO DEL CUORE? MI SENTO UN PO' PALESTINESE. QUANDO SIAMO ANDATI A GIOCARE A GAZA, HA VOLUTO INCONTRARMI PERSINO IL LEADER DI HAMAS ISMAIL HANIYEH” – LA NUOVA AVVENTURA IN AFRICA, DOVE ALLENERÀ UNA NAZIONALE GIOVANISSIMA (IN CAMPO DAL 2011), SOGNANDO LA QUALIFICAZIONE ALLA COPPA D’AFRICA 2023…

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Paolo Tomaselli per il "Corriere della Sera"

 

«Sono nato a Montreal in Canada, cresciuto nell'Alta Savoia nei quartieri popolari e multietnici e ho la famiglia in Toscana. Oltre all'italiano parlo francese, inglese e me la cavo con l'arabo. Ma ho capito che l'unico linguaggio universale, che apre tutte le porte, è quello del pallone». Stefano Cusin parla - con cadenza toscana e una leggera inflessione francese - per esperienza personale: unica nel suo genere, perché da pochi giorni è il c.t. del Sud Sudan, nazionale giovanissima (in campo dal 2011) con il sogno della qualificazione alla Coppa d'Africa 2023. 

 

nazionale calcio sudan

E nel suo lungo curriculum ci sono Iran, Camerun, Libia, Sudafrica, Congo, Palestina, Inghilterra, Bulgaria, Cipro, Libia, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Qatar. Una sorta di Bruce Chatwin delle panchine, con il gusto di seminare la sua idea di calcio, ma anche quello della scoperta di nuovi mondi, visti dal campo. 

 

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«Il posto del cuore? A livello di sentimenti e per la traccia del lavoro che ho lasciato, mi sento un po' palestinese, anche se quando sono arrivato ero abbastanza scettico: è stato un salto nel buio perché del loro calcio non ci sono informazioni o video sul web. Allenavo a Hebron e quando siamo andati a giocare a Gaza, ha voluto incontrarmi persino il leader di Hamas Ismail Haniyeh, che mi ha fatto domande sensate su come sviluppare il calcio nella città. In seguito ho incontrato anche Abu Mazen». 

 

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Il percorso di Cusin, cresciuto come calciatore in Francia con l'esperienza più significativa al Tolone in serie A, ha conosciuto un salto di qualità dopo un altro incontro, quello con Walter Zenga, quando allenava in Bulgaria. Da lì l'esperienza negli Emirati, in Arabia, nella B inglese, l'allargamento dei confini, tra alti e bassi come l'esperienza in Sudafrica, poco appagante, fino al sogno realizzato di sedersi sulla panchina di una Nazionale africana. 

 

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La pandemia lo ha sorpreso dopo poche settimane di lavoro in Iran, Paese all'avanguardia calcistica in Asia: «Ho preso l'ultimo volo da Teheran per l'Italia e sono tornato dalla famiglia, che spesso negli anni mi ha seguito nel lavoro, compatibilmente con le strutture e le scuole. Adesso sono in Marocco, dove stiamo giocando un quadrangolare: l'1-1 con la Sierra Leone per noi è stato come una vittoria. Il presidente, che è anche un generale dell'esercito, mi ha spiegato che il calcio serve al Sud Sudan per unire le persone, è importante al di là del risultato. 

 

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Vogliono che la squadra combatta, giochi bene, rifletta lo spirito del Paese, che è composto da dieci stati: io vivo nella capitale Juba, ma dovrò viaggiare molto e creare una rete, perché abbiamo cento giocatori sparsi nel mondo. La Coppa d'Africa è un sogno, stiamo programmando il lavoro, ci vogliono pazienza e visione, ma c'è grande disponibilità e ci sono i mezzi, grazie anche al petrolio. Il Paese è in pieno sviluppo, c'è fervore. Dobbiamo fissare obiettivi immediati per crescere e il fatto che a gennaio avremo uno stadio nuovo per la Nazionale ci aiuterà». 

 

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Cusin ha studiato da vicino i migliori tecnici, ha un debole per Zeman, ha imparato tanto dalla collaborazione con Zenga e si è diplomato a Coverciano con una tesi che risponde a una domanda chiave, per chi deve fare i conti anche con folklore, usanze religiose, interessi politici: le singole culture calcistiche vanno preservate o è necessario portare elementi innovatori? 

 

«Prima si deve capire ed esaminare la situazione, poi si può iniziare un percorso che porti ad alto livello: se ci chiamano da fuori è per dare qualcosa di diverso. E per convincere i giocatori che il nostro lavoro li può migliorare».

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