Marco Mensurati per “la Repubblica”
L' abisso del parastato conoscerà questa mattina profondità mai viste. Succederà al Palazzo H del Foro Italico, ovvero la sede del Coni - il carrozzone che si nutre annualmente di 411 milioni di soldi pubblici dove sono in programma le elezioni per la poltrona di presidente. Elezioni è un termine molto generoso. Si tratta più che altro di una plateale messa in scena a vantaggio della politica che, in questo modo, potrà continuare a trascurare la grande anomalia della governance dello sport italiano. Di fatto, per il Coni c' è un unico candidato: Giovanni Malagò. Cioè l' attuale presidente.
MALAGO' RAGGI PIETRANGELI ABETE BINAGHI
Il suo (non) avversario è poco più di un' illusione ottica: un ingegnere che risponde al nome di Sergio Grifoni, produttore di vino in provincia di Arezzo, nonché ex presidente della Federazione italiana sport dell' orientamento (non è una federazione ma una disciplina associata). Secondo i più attenti osservatori, l' unico obbiettivo reale di Grifoni, sarebbe quello di completare in pubblico il discorso da dieci minuti che le procedure elettorali concedono ai candidati. Dopodiché, il campo sarà di nuovo tutto per Malagò.
Ma come mai, nonostante il Coni sia uno dei "ministeri" più ricchi e potenti del paese, un movimento così vasto non riesce a produrre una competizione elettorale se non decente almeno degna di questo nome? Secondo una lettura filo governativa, il mestiere di presidente è ingrato.
Richiede competenze specifiche a fronte di uno stipendio di "soli" 190mila euro lordi. Secondo una lettura più critica l' assenza di una candidatura alternativa è dovuta a una carenza di democraticità interna, all' impossibilità di scalare le posizioni all' interno, e all' incapacità di una classe dirigente giurassica di rinnovarsi.
A questa seconda scuola di pensiero appartiene il responsabile per lo sport del M5s, Simone Valente (il punto di vista dei grillini è piuttosto rilevante, perché rischiano di essere il principale problema del prossimo quadriennio olimpico, per Malagò: nella loro visione il Coni dovrebbe occuparsi esclusivamente di preparazione olimpica).
«L' iter con cui si è arrivati a queste nuove elezioni » dice Valente, «è stato travagliato, pieno di inciampi e di irregolarità che hanno finito per svilire il reale valore di queste elezioni ». Il riferimento è ai numerosi pasticci combinati in questi mesi dalle Federazioni sportive. Mentre Malagò era distratto dalla candidatura olimpica di Roma - finita come è finita anche a causa di una paradossale incapacità del re dell' Aniene di fare lobbying in Italia - alle sue spalle i galletti del grande pollaio delle federazioni ne hanno fatte di ogni colore. Per dire del clima che si respira, alla Federazione bocce e a quella della danza, la gente gira con i registratori accesi sotto le giacche - per evitare, o propiziare, non si è ben capito bene - ricatti di vario genere.
Ed è proprio a causa di questa situazione che, dopo la sua elezione, si sa già anche che dovrebbe avvenire con 60-65 voti, praticamente all' unanimità, per Malagò dovrebbe arrivare però la parte meno semplice della partita.
Perché non avendo più debiti da saldare con nessuno il nuovo presidente del Coni dovrà affrontare con coraggio una fase di riordino complessivo dello sport italiano, cercando di ridurre (se non azzerare) i conflitti di interesse, e smontare le tante piccole caste.
Un compito durissimo, quasi impossibile, che Malagò affronterà da vecchio navigatore: se dovesse passare la legge sul rinnovo dei mandati, la Federcalcio o la Formula 1 potrebbero essere delle valide alternative. Da percorrere ancor prima della scadenza del quadriennio.
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