CON ERIKSEN STIAMO CORRENDO UN PO' TROPPO - IL DANESE, TORNATO A GIOCARE IN PREMIER LEAGUE, È STATO CONVOCATO DALLA DANIMARCA NOVE MESI DOPO L'ARRESTO CARDIACO NEL CORSO DELL'EUROPEO. IL CARDIOLOGO FABRIZIO CORGHI: "DA MEDICO SPORTIVO LA CONSIDERO UNA FORZATURA, IO NON MANDEREI IN CAMPO UN ATLETA TRA SFORZI E TRAUMI, INCIDONO TROPPE VARIABILI. LA TROVO UNA RISCHIOSA FUGA IN AVANTI" - IL DEFIBRILLATORE SOTTOCUTANEO NON GLI PERMETTE DI GIOCARE IN ITALIA...

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Lorenzo Longhi per “Avvenire

 

eriksen torna in campo 2

La convocazione di Christian Eriksen da parte della nazionale danese per le partite amichevoli con Olanda e Serbia (26 e 29 marzo), nove mesi dopo l'arresto cardiaco nel corso di Danimarca-Finlandia allo scorso Europeo, ha tutti i crismi della buona notizia.

 

Ed è senz'altro una bella storia che, tuttavia, va letta senza dimenticare un dato fondamentale: Eriksen, oggi tesserato del Brentford in Premier League, vive con un Icd, un defibrillatore cardiaco sottocutaneo e può giocare solo perché in alcuni Paesi, come appunto fra gli altri Regno Unito, Paesi Bassi e Danimarca, questo è possibile.

 

In Italia no: già dal 1982, con la legge sulla tutela della salute degli agonisti e i successivi aggiornamenti, un caso come quello del danese non può essere autorizzato.

 

CHRISTIAN ERIKSEN BRENTFORD

«In Italia siamo all'avanguardia in questo senso - spiega il dottor Fabrizio Corghi, cardiologo e medico sociale del Modena - e, se è vero che la tutela prevede delle restrizioni, è vero anche che qui si tratta di un aspetto di medicina preventiva che deve essere considerato un patrimonio.

 

Altrove non è così e infatti, se si pensa ad esempio al caso di Kanu qualche anno fa, non è un caso che il grave problema cardiaco di cui soffriva sia stato scoperto qui, e questo vale per tutti coloro che fanno sport agonistico.

 

eriksen

Magari genitori e figli sbuffano al momento di fare la visita, la considerano una perdita di tempo, ma una regolamentazione completa e stringente come questa può salvare la vita».

 

christian eriksen torna ad allenarsi 1

Ora, magari, con il ritorno di Eriksen non solo in campo ma addirittura in nazionale, il rischio dell'equivoco diventa più alto. «Distinguerei due aspetti. Da cardiologo, dopo l'operazione e le cure dico che Eriksen è giusto che faccia quello che vuole, e ciò per i cardiopatici è qualcosa di positivo nell'ottica di vivere quanto più normalmente possibile.

 

christian eriksen ad appiano gentile

Da medico sportivo devo però porre dei limiti: la considero una forzatura, io non manderei in campo un atleta soprattutto in situazioni nelle quali, dallo sforzo sopra massimale ai traumatismi, incidono troppe variabili. La trovo una rischiosa fuga in avanti».

 

Eriksen ha ottenuto l'idoneità in Inghilterra e può giocare dove gli è consentito, dopo tutto il defibrillatore sottocutaneo svolge anche funzioni di monitoraggio («Faccia conto che si tratti di una Ferrari in circuito con tutti gli ingegneri presenti ai box», la metafora di Corghi) ed evidentemente non vi sono stati segnali contrari nel suo caso, ma prudenza e tutela suggerirebbero altro.

 

eriksen

Il rischio è che passi un messaggio di sottovalutazione del rischio, non tanto tra gli agonisti quanto tra chi fa sport a livello amatoriale. Vincenzo Castelli, medico romano padre di Giorgio, 16enne calciatore dilettante che nel 2006 mentre si allenava con la sua squadra, fu vittima di un arresto cardiaco, da allora con la Fondazione Giorgio Castelli onlus ha donato oltre 260 defibrillatori e formato oltre 15 mila persone attraverso i corsi sulle manovre di riabilitazione cardiopolmonare: «Lo scorso giugno quanto accadde a Eriksen - dice - fu uno spot importante per capire che, se si interviene con competenza, conoscenza e rapidità, l'arresto cardiaco non è qualcosa di ineluttabile; ma se allo stadio di Copenaghen non si fosse agito bene nell'immediato, non avrebbe avuto possibilità di sopravvivenza.

 

danimarca eriksen

Bisogna però tenere conto di un dato: l'85% degli arresti cardiaci nella pratica dello sport avviene in soggetti che svolgono attività amatoriale, solo nel 15% dei casi si tratta di tesserati. Quello è il vero dramma, e lì non può passare l'idea che con un defibrillatore sottocutaneo tutto sia risolto. Il progresso scientifico ha permesso cose impensabili, ma equilibrio e raziocinio devono essere alla base».

 

Com'è la situazione a livello di prevenzione in Italia? «Ora c'è più sensibilità sul tema, ma la realtà è a macchia di leopardo: vi sono aree nelle quali i defibrillatori sono presenti, detenuti e gestiti come si deve, altre nelle quali ci sono carenze. Bisogna ancora lavorare molto, ma la cardioprotezione è vitale nell'attività sportiva, nelle scuole, in ogni luogo affollato. Servono i defibrillatori e serve sapere cosa fare da subito».

 

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