AI FONDI AMERICANI INTERESSA SOLO UNA COSA: MONEY! – FATE SAPERE AI TIFOSI DELL'INTER CHE IL FONDO OAKTREE, NEO PROPRIETARIO DEL CLUB, CONSIDERA LA SOCIETA' COME UN ASSET CHE DEVE FRUTTARE. SONO FINITI I TEMPI IN CUI UN RICCO INDUSTRIALE (COME BERLUSCONI O MORATTI) "BUTTAVA" I SOLDI PER FAR CRESCERE I CLUB PER LA FELICITÀ SUA E QUELLA DEI TIFOSI - DI CHI È OAKTREE, CHE GESTISCE 192 MILIARDI? APPARTIENE AL 72% AL FONDO CANADESE BROOKFIELD...
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Qualcuno spieghi ai tifosi dell’Inter che i fondi (Oaktree) non sono lo zio d’America, conta solo l’utile. C’era una volta lo zio d’America. C’è ancora, almeno nella percezione del medio tifoso italiano, e della stampa che non si stanca di coccolarlo come può.
Lo zio d’America è una metafora stanziale, nel calcio italiano: può essere l’emiro, o il vecchio industriale brianzolo con la fabbrichetta, poco cambia.
Stavolta si chiama Oaktree. Il fondo che ha appena preso possesso dell’Inter, il club d’elite del calcio italiano raccolto al banco dei pegni (si dice “escussione” tecnicamente, che fa più figo, ma quello è). Ma no: non è come sembra.
Tanto per cominciare la tanto contrabbandata nuova avventura Usa dell’Inter non lo è: l’Inter da oggi è canadese. Ed è passata ad Oaktree solo sulla carta, perché in realtà per una banale proprietà transitiva appartiene a Brookfield, un fondo canadese che a sua volta possiede il 72%, delle azioni di Oaktree, e che dovrebbe arrivare ad una quota del 100% entro il 2029. Perché i fondi sono scatole, ce n’è sempre una più grande.
Ora, è davvero complicato estirpare dalla testa del suddetto tifoso l’idea romantica del mecenate che “butta” i suoi soldi per la felicità sua, del tifoso. È un feticcio culturale, molto più prosaicamente una puttanata. Giacché va irrimediabilmente chiudendosi la stagione dei nomi e cognomi, dei Massimo e dei Moratti, delle facce di quelli che la faccia ce la mettevano (i soldi non sempre…), andrebbe invece spiegato che i fondi vengono da un altro pianeta. Sono alieni.
Ragionano con un altro schema. Gestiscono asset per farli fruttare, e l’Inter (come il Milan) è un asset. La vittoria sportiva è un mezzo, non il fine: serve ad aumentare il valore della risorsa.
E’ una roba fredda, distaccata. Ricordiamo con una certa tenerezza quando la stessa Gazzetta dello Sport se ne rese conto, commentando il mercato del Milan lo scorso ottobre così: “C’è poco da stupirsi: il profitto è la ragione sociale di un fondo d’investimento, il margine che ne garantisce l’esistenza“. Tra qualche mese, a mercato concluso, se ne stupiranno nuovamente.
Prendiamo Oaktree: al 31 marzo aveva oltre 192 miliardi di asset in gestione, con 65 dei 100 più grandi piani pensionistici statunitensi, più di 500 società in tutto il mondo, 39 dei 50 piani pensionistici statali negli Stati Uniti, 275 fondi di dotazione e fondazioni a livello globale e 15 fondi sovrani.
Più di 1.200 dipendenti tra le sedi di Los Angeles, New York, Londra, Parigi, Dubai, Hong Kong, Tokyo, Pechino, Shanghai e Sydney. Sentimentalmente l’Inter, per Oaktree, vale MBE Worldwide (Mail Boxes Etc), Marini Impianti, Banca Progetto Stand By Me o, per restare nel suo portafogli sportivo il Caen, serie B francese.
Non c’è più alcun mister Zhang che nella disperazione arriverà ad ipotecare la società per un prestito con interessi da usura legalizzata. I fondi combattono sull’altro fronte. E così Brookfield Asset Management, il “gigante” alle spalle di Oaktree, è uno dei principali gestori patrimoniali alternativi a livello mondiale con oltre 900 miliardi di dollari di asset tra immobili, infrastrutture, energia rinnovabile, private equity e credito. Tra i maggiori azionisti ci sono anche investitori istituzionali, come la Royal Bank of Canada. L’Inter sta toccando il “fondo”, quello vero. Gli zii d’America sono al banco dei pegni.