JENA: “MATTARELLA LO SA CHE SE L'ITALIA VINCESSE GLI EUROPEI SAREBBE COSTRETTO A RESTARE AL QUIRINALE A FUROR DI POPOLO?” – COME DAGO-RIVELATO LA PRESENZA DEL CAPO DELLO STATO A WEMBLEY SARÀ UN DETERRENTE PER EVENTUALI PASTETTE, DOPO IL RIGORINO REGALATO CONTRO LA DANIMARCA – L'ASSE DRAGHI-MERKEL VS BORIS JOHNSON - LO SCRITTORE FRANCESCO PICCOLO: “MATTARELLA SARÀ IN TRIBUNA A TIFARE ITALIA CON COMPOSTEZZA, CON LA SUA EMOTIVITÀ CASTRATA CHE GLI È SERVITA A…”
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1 - FUROR
Jena per "la Stampa"
Ma Mattarella lo sa che se l' Italia vincesse sarebbe costretto a restare al Quirinale a furor di popolo?
2 - MATTARELLA UN SIMBOLO A WEMBLEY
Francesco Piccolo per "la Repubblica"
L' 11 luglio il presidente della Repubblica assisterà alla finale. È la notizia di questi giorni e riguarda lo stadio di Wembley agli Europei; ma è anche la stessa notizia di quasi quarant' anni fa, sempre 11 luglio, finale dei Mondiali al Santiago Bernabeu di Madrid. Sappiamo come finì quella, eravamo ragazzi increduli e Sandro Pertini si agitava e poi disse la frase ripresa dalla tv sul 3 a 1: "Non ci prendono più". Due presidenti molto diversi, opposti: uno scomposto, vicino agli italiani per questo; e l' altro, Mattarella, che ha fatto della compostezza un mezzo razionale e rassicurante per gli italiani nei momenti difficili.
Lo sport ha questa potenza simbolica che esprime sempre, e nel calcio, che è così popolare, diventa di continuo significato di qualcosa. Tutti quelli che amano lo sport sanno, o sono convinti (che è lo stesso) che non stanno assistendo soltanto a una partita, ma a qualcosa di più, sempre, che ha a che fare con storie individuali o romanzi collettivi.
Quanto sia vero, è una domanda oziosa che si fanno soltanto quelli che al cinema dicono che quello non è sangue ma succo di pomodoro. Quarant' anni fa stavamo uscendo dagli anni di piombo, c' era un' aria tesa che non si scioglieva mai, e avevamo bisogno di una spinta. E la Nazionale di calcio la interpretò, filtrando conflitti ideologici in un' euforia collettiva, sia pur occasionale. È successo molte volte, dappertutto, non solo in Italia, ovviamente.
Ma in Italia è successo perfino in un momento di tensione fortissima nel 1948, sempre a luglio, quando quattro colpi di pistola raggiunsero Togliatti, il segretario del Pci, che fu salvato da un' operazione fatta in fin di vita. Ma non si sapeva se ce l' avrebbe fatta, cominciarono episodi di guerriglia in tutto il Paese e si temeva sul serio che sfociassero in una guerra civile. E poi giunse la notizia che Bartali aveva staccato tutti e vinto il Tour de France, e le tensioni si trasformarono in un rito di entusiasmo condiviso.
Non fu Bartali a evitare la guerra civile; non fu la vittoria dell' Italia a chiudere gli anni di piombo; non sarà la finale di Wembley a decretare la fine dell' emergenza della pandemia. Ma questi eventi hanno contribuito simbolicamente a rendere gli animi positivi e hanno incanalato un sentimento oppositivo alla tragedia. È questo che fa lo sport. Non è il compito che si è dato, ma è successo così tante volte, e domenica succederà ancora (a prescindere da come andrà a finire). Avevamo bisogno, eravamo alla ricerca di uno sfogo collettivo dopo restrizioni e tensioni e spavento, e l' Italia di Mancini si è trovata a interpretare il ruolo. Così come la Nazionale inglese risponderà alla paura della nuova variante con la loro finale, con quel primo ministro brutto, sgraziato e con una maglia di calcio troppo aderente. E anche i danesi e gli spagnoli ne avrebbero avuto bisogno.
E invece questa serata ce la prenderemo noi e gli inglesi (noi o gli inglesi) per costruirne un mito - e a questo punto sembrerà anche un simbolico scontro tra chi rappresenta lo spirito europeo e chi si è voluto sfilare. Il calcio fa sempre questi brutti scherzi, come quando mise di fronte Inghilterra e Argentina dopo la guerra delle Falkland (e i due gol di Maradona, uno con la mano e l' altro scartando tutti per tutto il campo), o le due Germanie una di fronte all' altra ai Mondiali.
O americani e russi che si giocano all' ultimo secondo la finale di basket alle Olimpiadi del 1972, nel pieno della guerra fredda. Ma di esempi del genere, in cui ci si chiede com' è possibile che il destino sportivo si sia mischiato alla storia reale, ce ne sono tantissimi.
Mattarella sarà in tribuna a tifare Italia con compostezza, con la sua emotività castrata che gli è servita a essere lucido quando nessun altro lo era; e tutti avremo a che fare con una partita di calcio che però rappresenta simbolicamente la fine di una paura gigantesca, il ritrovamento dei riti collettivi, la realizzazione della leggerezza di un evento che non potrà essere tragico e che insieme alla sua epicità romanzata avrà una particolare caratteristica, diversa da quell' 11 luglio 1982: a quei tempi fu quella partita a unire persone su fronti opposti o confuse sulla loro appartenenza al Paese.
Qui invece veniamo da un anno e mezzo di improvviso e inaspettato senso di appartenenza a una comunità, nel bene e nel male, come forse non avevamo mai sentito prima; e la finale degli Europei sarà soltanto l' epilogo esplicito di quell' appartenenza.
Siamo già pronti e allenati a sentirci italiani, eravamo già stati molte volte tutti davanti alla tv per sentire in che modo bisognava comportarci, ci siamo già ritrovati nei luoghi delle vaccinazioni con estranei solidali e uno scopo condiviso; quel che verrà in più, se verrà, sarà un modo per festeggiare un senso di liberazione, con la consapevolezza profonda che ci è stato tolto molto, moltissimo. Ma che in qualche modo siamo vivi, e siamo qui.