“I BUROCRATI DELLA FIFA MI HANNO FATTO FUORI. INFANTINO E CEFERIN? NON HANNO MAI GIOCATO AL CALCIO. LORO, COME BLATTER, SONO IMPORTANTI SOLO NEI PALAZZI” – PARLA “LE ROI” MICHEL PLATINI - "LE OFFERTE DEGLI ARABI? I GIOCATORI SONO UCCELLI, MIGRANO DOVE SI STA MEGLIO – A PABLITO RUBAVO LE SIGARETTE, QUANDO MORÌ FUI IO A AVVISARE GLI EX COMPAGNI - LA PRESIDENZA DELLA JUVENTUS? NON MI CHIAMANO…” – POI PARLA DI QUEL GOL ANNULLATO CONTRO L’ARGENTINOS JUNIORS NELLA FINALE DI COPPA INTERCONTINENTALE: “L’ARBITRO? L’AVREI AMMAZZATO”

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Estratto dell'articolo di Walter Veltroni per il Corriere della Sera

 

Michel Platini, la intervisto il 10 agosto alle ore 10. Cosa significa quel numero sulle spalle di un giocatore di calcio?

michel platini

«Quel numero ha quella magia perché identificava, fin dall’inizio della storia del calcio, tutti i più forti: Puskas, Pelè, Rivera. I leader delle squadre, tecnici e carismatici, avevano quel numero. Nel sogno dei bambini della nostra epoca c’erano due stelle: il numero dieci e il portiere, ruoli totalmente differenti. Ho passato il mio tempo a cercare di fregarli, i portieri, per cui non posso capire l’amore per quel ruolo. Ma la gente gli voleva bene...».

 

(…) Il suo rapporto con l’Avvocato...

«Non era certo un amico, non era una persona con cui mi prendevo a pacche sulle spalle, aveva tanti anni più di me e la sua indiscutibile autorevolezza. Io direi così: ho reso orgoglioso l’Avvocato. È lui che mi ha voluto. Credo pensasse, tra sé, che era stato lui, non Boniperti o altri, a scegliermi e ciò che avevo fatto era la conferma che lui capiva di calcio e quindi nessuno poteva rompergli le scatole sul tema. Lui mi ha consentito di avere la massima libertà, in campo e fuori. Sì, credo di averlo reso orgoglioso. E questo fa felice me».

 

Tardelli mi ha raccontato di aver saputo della morte di Paolo Rossi al mattino da una sua telefonata.

michel platini infantino ceferin

«È vero, ho chiamato Marco, Antonio Cabrini, Zibi Boniek. Avevo visto Paolo poco tempo prima a Forte dei Marmi e non mi era sembrato che stesse male. È stata una terribile sorpresa, un autentico choc. Paolo era davvero una brava, bella persona. Lui non era matto di calcio, con lui si poteva parlare di tutto. Io gli rubavo le sigarette, lui si arrabbiava moltissimo. Sono stati anni speciali, ci siamo divertiti tanto e abbiamo vinto tanto. Giocavo non solo con grandi calciatori, ma con uomini speciali, molti dei quali sono restati miei amici. E quel mattino ci siamo ritrovati ancora insieme, per condividere l’assurdità della scomparsa di Paolo».

 

Che ricordo ha dell’Heysel?

infantino michel platini

«Brutto, bruttissimo. Un bruttissimo ricordo. I momenti successivi alla partita sono stati tremendi. Sono andato con Gaetano Scirea due giorni dopo a visitare i feriti all’ospedale di Bruxelles. È stata una cosa bruttissima. Quando pensi che delle persone erano venute fin lì per vederti e non sono più tornate a casa, dalla propria famiglia... Io non mi sono quasi mai espresso su quel giorno, non mi piace parlare del dolore altrui, ma è stato davvero terribile. Mia madre, che era molto cattolica, mi ha sempre parlato della fatalità come di un arbitro dell’esistenza di ciascuno. E per me è stato così, sempre. La morte fa parte della vita, lo so. E so che bisogna sempre rialzarsi e ripartire. Queste sono le cose che mi hanno insegnato, che ho nella mia testa dura di piemontese della Lorraine. Ho fatto così, anche in quei giorni orribili che porto sempre con me».

 

Quanto ha sofferto per la vicenda che l’ha riguardata per gli scandali Fifa e che si è conclusa con la sentenza a suo favore del Tribunale svizzero?

ceferin michel platini

«Io niente, sapevo di non avere nulla da rimproverarmi, ho sempre fatto tutto correttamente. Ho visto la sofferenza della mia famiglia e delle persone che mi sono vicine. La battaglia che ho condotto era contro l’ingiustizia.

 

L’obiettivo di quella campagna era di farmi fuori dalla Fifa. Mi hanno messo sotto accusa le commissioni della Fifa che gestiscono “loro”. Appena si è usciti dal mondo dei funzionari del calcio, che volevano impedirmi di diventare presidente, la giustizia ordinaria mi ha dato ragione. E per me, ovviamente, conta quello. Fuori dagli apparati del calcio ho vinto, dentro ho perso.

 

Per questo non mollerò, è stata un’ingiustizia. C’è gente che mi ha fatto del male, molto. Non mi interessa tanto dell’universo Fifa. Per Infantino, Ceferin quel mondo è tutto perché non hanno vissuto niente prima e, fuori da lì, sono nessuno. Non hanno mai giocato al calcio. Loro, come Blatter, sono diventati importanti là, dentro quei palazzi, e sono importanti solo là. Ho sofferto per dieci giorni, mi sono battuto per difendermi ma poi ho presto capito che la verità era solo che volevano farmi fuori, e basta».

 

PLATINI GIANNI AGNELLI

Per paradosso lei sarebbe stato, nella storia della Fifa, l’unico giocatore di calcio a diventare presidente. Era una colpa?

«Non so se fosse una colpa, certo è che l’amministrazione della Fifa si è schierata contro di me. I presidenti delle federazioni nazionali mi volevano presidente, gli apparati della Fifa no. Si può capire perché. E hanno cercato qualcosa per bloccarmi. Hanno trovato un pagamento fatto cinque anni prima e qui è l’ironia della cosa: la Fifa prima mi paga per il mio lavoro e poi mi punisce per avermi pagato. Assurdo, questo è il massimo. Il calcio mi voleva, la politica del calcio no».

 

Cosa pensa di questo spostamento dell’asse del calcio verso il mondo arabo?

«I calciatori, i migliori calciatori, sono come uccelli che migrano cercando i luoghi dove vivere meglio. E dove sono attesi dalla gente e quindi ci sono più soldi. Io sono venuto in Italia, all’inizio degli anni Ottanta, perché era il Paese che pagava di più, era il cuore del calcio mondiale. Maradona, Falcao, Zico giocavano qui.

 

diego armando maradona pele michel platini

Erano gli anni di Mantovani, di Berlusconi, dell’Avvocato, gli azzurri avevano vinto il campionato del mondo, l’economia andava bene, il terrorismo stava finendo. Si sentiva un’aria di ripresa, di entusiasmo nella società italiana. E quindi anche nel calcio. Oggi i calciatori vanno dove gli danno più soldi. Io credo che ci sia stato un errore della Commissione Europea nello sposare integralmente la Bosman senza un disegno complessivo per lo sport europeo. Ora i ricchi possono comprare chi vogliono. E quei Paesi sono ricchi, molto ricchi».

 

Ma questo sistema regge? Le società calcistiche, non solo in Italia, sono piene di debiti...

pele platini

«Il sistema è fatto per produrre debiti. Il sistema è: tanti soldi arrivano e tante persone li prendono. Il meccanismo dei trasferimenti è questo. Tu prendi dei calciatori sperando che due anni prima della scadenza del contratto vengano venduti per fare soldi. Io negli anni Settanta ho fatto sciopero per consentire ai calciatori di scegliere loro, a fine contratto, dove andare a giocare. Sono andato al Saint Etienne quando ero libero e lo stesso alla Juve. Deve essere il calciatore a scegliere, è la sua vita. Poi attorno al mondo del calcio c’è tanta gente... Dove circolano tanti soldi arrivano quelli a cui i soldi piacciono tanto, troppo».

 

I procuratori sono parte della malattia del calcio moderno?

«Non penso, no. I procuratori finalmente difendono i calciatori che si sono fatti fregare per tanti anni».

 

(…) Oggi ho 68 anni, sono segnato da quarant’anni di pressione, di costante esposizione. Mi hanno fatto diverse proposte, ma ho sempre rifiutato. Ora sto godendo la mia vita». Farebbe, per esempio, il Presidente della Juventus?

«Nessuno me lo ha mai chiesto...».

 

PLATINI

Un’ultima cosa, Michel. Quell’immagine a Tokyo, lei sdraiato, sul prato verde, appoggiato su un gomito, che guarda uno sciagurato arbitro che le ha annullato uno dei gol più belli che si possano immaginare nella finale della Coppa intercontinentale tra Juventus e Argentinos Juniors...

«Tokyo era il punto di arrivo di una generazione di giocatori che avevano vissuto insieme anni bellissimi. Avevamo vinto tutto e ci mancava solo di conquistare la Coppa del mondo per club. Quel giorno c’era a Tokyo anche il figlio dell’Avvocato, Edoardo. Era una partita decisiva. Arriva un arbitro che mi annulla quel gol. Quel gol: palla fatta passare sulla testa del difensore e tiro al volo nell’angolo. L’avrei ammazzato. Quel gesto era un atto di disperazione.

 

Che faccio: gli vado addosso, gli rifilo due sberle, lo ammazzo, lo strangolo? Mi faccio espellere e lascio la squadra in dieci? Ma come, mi annulli un gol così, nella finale della Coppa del mondo? Sono quei gol che già se ti vengono in allenamento... Ma in una finale... Come quello di Van Basten nella partita decisiva dell’Europeo 1988. Sono reti che girano il mondo, che restano nella storia. Quel giorno faccio un gol così bello e tu me lo annulli per un fuorigioco passivo segnalato da un guardialinee di Singapore? Era da ammazzarlo. Mi sono sdraiato a terra, mi sono appoggiato su un gomito, l’ho guardato. Era un gesto di protesta non violenta. Non era per la televisione, era pura disperazione».

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PAOLO ROSSI MARCO TARDELLI ANTONIO CABRINI GAETANO SCIREA MICHEL PLATINI
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diego armando maradona e michel platini
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