“IL CALCIO HA TOCCATO IL FONDO. COSÌ IL SISTEMA NON VA, LA A FATTURA 2,5 MILIARDI E CONTA POCO E NIENTE” – J’ACCUSE DI BEPPE MAROTTA: "ZHANG NELLA POLEMICA CON DAL PINO CI AVEVA VISTO LUNGO. LA SERIE A È STATA MESSA DIETRO LA LAVAGNA DALLA GOVERNANCE DELLA FIGC. NON SI PUÒ FARE UN CONSIGLIO FEDERALE DOVE SU 21 VOTI NE HAI SOLO 3: COSÌ NON PUOI INCIDERE” – E POI LAUTARO (“NON ABBIAMO NECESSITA’ DI VENDERLO”), ICARDI E ERIKSEN…
-DANIELE DALLERA,GUIDO DE CAROLIS per corriere.it
Beppe Marotta è uno dei più navigati dirigenti della serie A e, da un anno e mezzo, amministratore delegato dell'Inter. Un uomo che si mette in gioco. Siede nel Consiglio della Lega serie A e in quello federale. Nel calcio è tra chi decide o cerca di farlo.
Sono stati tre mesi duri con questo maledetto virus, come li ha vissuti a livello umano e professionale?
«Difficili, di grande sofferenza, ho perso amici e conoscenti: momenti drammatici».
L'esperienza più dura della sua vita?
«Non c'è dubbio, i miei cari ed io non ci siamo ammalati, ma impossibile non restare coinvolti dai tanti drammi vissuti. Ho lavorato a Bergamo, a Torino, ora a Milano: molte le testimonianze di dolore. Pur vivendo in un mondo dorato come il calcio, poi ti ritrovi indifeso».
Cosa ha significato lavorare per la ripresa del calcio? L'Inter era a favore?
«Siamo stati in silenzio non per paura di esternare, ma perché lo scenario cambiava ogni giorno. La preoccupazione era tutelare la sicurezza del mondo Inter: un obiettivo cui teneva molto la proprietà. Il calcio avrebbe dovuto cercare un dibattito più sereno, obiettivi comuni, evitare individualismi, esibizioni muscolari, suggerire soluzioni senza lesinare sforzi, ragionando su un orizzonte più ampio della singola stagione, considerati anche gli impegni internazionali dei prossimi due anni».
Il presidente Steven Zhang è stato tra i primi ad attaccare il presidente della Lega serie A, Paolo Dal Pino. Non pensa abbia esagerato?
«Zhang ci aveva visto lungo. La polemica è stata forte, dettata da un sentimento di paura e protezione verso dipendenti e giocatori. Non dimentichiamo che saremmo andati a giocare Juventus-Inter a porte aperte».
La Figc ha disconosciuto le proposte della Lega serie A.
«La serie A è stata messa dietro la lavagna dalla governance della Federcalcio. Questo sistema non funziona. Serve una legge quadro sullo sport. La serie A è un fenomeno imprenditoriale, ha un fatturato di 2,5 miliardi: come tale va governato. Non si può fare un consiglio federale dove su 21 voti ne hai solo 3: così non puoi incidere».
È stata una vittoria del presidente della Figc Gravina?
«No. È un dirigente esperto e preparato che può dare molto al sistema. Ma oggi quel che non funziona non sono gli uomini, è la governance».
Non è l'ora di accelerare il cambiamento?
«Abbiamo toccato il fondo. Le società devono essere più coinvolte e attive, come accade con Uefa e Eca. Oggi abbiamo tante componenti (calciatori, allenatori, arbitri), meritano rispetto, ma onestamente poco hanno a che fare con un'attività imprenditoriale. Massimo rispetto per la Federazione nell'ottica di un incremento dell'attività politica, un po' meno in quello delle regole del gioco, della gestione».
Serve un altro modello?
«Bisogna rifarsi alla Premier League: autonomia gestionale e regolamentare».
Cosa cambierebbe?
«Lì c'è un organismo, il Professional Game Board, con un rapporto continuo tra calcio professionistico e federazione. Però la Premier è autonoma su calendario, ripartizione delle risorse e rappresentanti. La serie A non ha forza decisionale».
Si continuerà così?
«Ci sono forze interne cui va bene questo sistema. Non dobbiamo fare come ne Il Gattopardo : cambiare tutto per non cambiare nulla».
Cosa le ha dato più fastidio di tutte queste discussioni?
«Che la pandemia sia stata trasformata da alcuni in una finestra mediatica di notorietà per creare solo frizioni».
Giusto ripartire sì o no?
«Non abbiamo voluto riprendere, ma dovuto. Bisognava essere logici. Il calcio, come dicevo, è un'impresa».
Che rischi vede?
«Capisco la laboriosità con cui il governo è arrivato a una decisione nel rispetto della salute. La quarantena così rigida è l'unica criticità per arrivare all'obiettivo finale. La base di tutto però è la lealtà, spero che i dirigenti rispettino il concetto e nessuno nasconda nulla. Poi certo le 5 sostituzioni avvantaggiano la squadra con la panchina più forte».
Ad Appiano che atmosfera ha percepito nell'Inter?
«A maggio c'era preoccupazione. Poi i giocatori hanno capito che la società li ha messi in condizioni di massima sicurezza: sono più sereni».
L'obiettivo dell'Inter?
«Quello di prima, essere protagonista: con 13 gare può succedere di tutto».
Icardi venduto per 58 milioni: non è un po' poco?
«Icardi non faceva più parte del nostro progetto. Dovevamo trovare una sistemazione soddisfacente per lui e noi: è stato fatto. Il finale è stato assolutamente gradevole».
Lo «sconto coronavirus» non si poteva proprio evitare?
«Toglietevi dalla testa operazioni alla Neymar dove tra cartellino e ingaggio spendi 500 milioni. Quelle sono situazioni oggi utopistiche».
Perché parla di Neymar e non di Ronaldo?
«L'operazione Ronaldo, in quel momento, aveva una grande logica di mercato».
Ci sarà un'operazione Lautaro-Barcellona?
«Lautaro rappresenta un punto di riferimento importante per l'Inter, non abbiamo necessità di venderlo. C'è una clausola di 111 milioni che scade il 7 luglio: è l'unico strumento per arrivare a una cessione. Il giocatore può aspettare e crescere con l'Inter».
Lautaro vuole il Barça.
«Ci confronteremo con lui, dobbiamo fargli capire che una possibilità del genere si può ripresentare in futuro, quando sarà più pronto».
A che punto è l'Inter che ha in mente Marotta?
«Abbiamo aggiunto pedine importanti: l'allenatore e alcuni giocatori, a gennaio anche Eriksen. L'Inter ora ha grande visibilità e fascino. Abbiamo l'appeal degli anni migliori».
Eriksen resta un punto di domanda.
«Non è un interrogativo, è un buon giocatore. Conte troverà la giusta collocazione».
Nainggolan, Perisic, Sensi. Chi va, chi resta?
«Abbiamo un obbligo: non possiamo deprezzare il valore dei nostri giocatori. Valutiamo tutto con l'allenatore. Sensi vogliamo tenercelo».
Coppa Italia e Europa League: si possono vincere?
«Partecipiamo per essere protagonisti. La Coppa Italia è più vicina come visione, l'Europa League più ambiziosa».
Si è parlato molto di Cavani, Chiesa, Tonali. Che tipo di giocatori cerca l'Inter?
«Calciatori pronti, ma i giovani italiani sono un obiettivo importante. Poi ci sono le valutazioni di mercato. Chiesa ne ha una impegnativa, siamo distanti. Su Tonali c'è più facilità di confronto».
Il suo sogno nemmeno segreto resta Dybala?
«È uno dei più grandi talenti. L'anno scorso c'erano sensazioni per poterci arrivare. Oggi è proiettato a diventare un grande leader della Juve».
Conte è così impegnativo anche per un dirigente esperto come lei?
«È un grande professionista, dedica tutto al lavoro, ha passione, amore e ha doti eccelse. Con queste premesse è tutto più semplice. Le dinamiche le indica lui. Ha sempre avuto rispetto per me, il club e la proprietà: ci darà grandi soddisfazioni».
L'anno prossimo l'obiettivo dell'Inter è spodestare la Juve e vincere lo scudetto?
«Vogliamo alzare l'asticella e il livello qualitativo del gruppo Inter».
Le ambizioni e i valori di Marotta e dell'Inter?
«Ho lavorato in tanti posti, se guardo le ultime due esperienze ci sono principi che uniscono Agnelli e Zhang: il grande senso di appartenenza, della vittoria, della cultura del lavoro e c'è passione. Anche l'Inter oggi li ha: l'ambizione è tornare più in alto».