“DIVENTARE UN GRANDE ALLENATORE È NEL DESTINO DI DANIELE DE ROSSI, POI CI VUOLE ANCHE CULO” – DOTTO SULLA "GAZZETTA" ESALTA IL NEO-TECNICO DELLA SPAL:  "DA PICCOLO ERA UN CAGASOTTO, ORA E’ UN DURO CHE PENSA FORTE E PROFONDO E VA DRITTO AL CUORE DELLE COSE. UN LEADER ANOMALO, DA GIOCATORE HA DATO TUTTO PER I COMPAGNI SPOSANDO IN PIENO LA CAUSA. DA TECNICO LO FARÀ ANCHE DI PIÙ. GLI SI CHIUDE OGNI TANTO LA VENA? VERO, MA CHI SE NE FREGA. "DELIRAI ESSENDO" È, DEL RESTO, IL SUO ANAGRAMMA…" - IL VIDEO IN CUI "DDR" GORGHEGGIA "TANTO PE' CANTA'"

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Giancarlo Dotto per la Gazzetta dello Sport

 

DE ROSSI SPAL

Diventare un grande allenatore è nel destino di Daniele De Rossi. Il che non vuol dire che lo diventerà. Tante cose sono scritte ma non per questo diventano. Era scritto che Paolo Maldini diventasse un'icona del Milan anche da dirigente, ma quasi non succedeva. Abbiamo rischiato di buttarlo nel secchio un totem del genere. Un granchio enorme. Un appuntamento mancato, uno dei tanti. Le cose stanno scritte nelle stelle, ma è carta velina, inchiostro a scomparsa. Bisogna essere all'altezza del proprio destino. Bisogna caricarselo addosso. Farselo amico. E poi ci vuole fortuna, grandi strappi di cosiddetto culo. Sperando che mediocri, zelanti e ruffiani abusivi non prendano nel frattempo il tuo posto. Daniele De Rossi non è mai stato ruffiano.

 

DE ROSSI TACOPINA

Prima dote. Vedremo se avrà fortuna. Calciatore pensante, seconda dote. Pensa rapido, forte e profondo, va dritto al cuore delle cose. Sente più forte e più profondo di quanto pensa. Terza dote, questa forse la più importante. Senza forse. Sposa la causa, ama la maglia che porta addosso e più di ogni altra cosa ama i compagni che fanno con lui l'impresa. Era così da giocatore, sarà così più che mai da allenatore. Ci potete giurare. La sua emotività lo danna, è il suo dono più grande. Gli si chiude ogni tanto la vena? Vero, ma chi se ne frega. Se ne frega lui per primo. È la sua vena, più o meno chiusa, che lo ispira ogni volta. A raccogliere i compagni mano nella mano e a portarli davanti alla Sud vuota, il tributo più lirico mai visto in uno stadio.

de rossi

 

A prendere le loro difese quando serve, a brutto muso, quando la piazza esagera feroce. Farsi sputare addosso dalla Sud piena e imbestialita o capire quando non è il caso, prendere i compagni uno a uno e sparire nel tunnel a fine partita. Sempre nel suo stile, il ragazzo di Ostia, mica twittando, facebookeggiando e cazzeggiando da casa propria all'ora dell'aperitivo. Ci ha messo la faccia, si dice, ma non tutti possono dire di avere una faccia. Daniele ha una faccia imbarazzante per quanto è faccia.

 

Anomalo Daniele è un leader anomalo. Non s' impone, non sbraita, non invade. Preferisce parlare alle persone più che ai gruppi. I più giovani lo hanno sempre venerato come si venera un esempio. Col tempo è diventato il leader di tutti, ma a modo suo. Quando serve e quando capisce che i compagni hanno bisogno di lui. Da calciatore gli piaceva condividere, non si è mai tirato indietro, ma se ha bisogno di starsene solo un giorno, un mese, un anno, a interrogare il mare, non c'è gruppo che tenga. Oggi, da allenatore, è tutta un'altra storia. Lui è pronto. Se ci sono venti o trenta ragazzi che pendono dalle sue labbra, non avrà labbra che per loro. Capitan Futuro nella nomenclatura da bar, ma capitano sempre presente nella realtà, presente in tutti i sensi possibili.

Le qualità La sua quarta virtù.

 

DE ROSSI TACOPINA

Daniele De Rossi è un duro. Non lo è sempre stato.. «Da piccolo ero un cagasotto, avevo paura di tutto», quando sgambettava allo Sporting di Ostia, dentro una casacca della Roma sponsorizzata Barilla, due taglie più grandi, la scodella bionda alla Nino D'Angelo. Nessuna dote calcistica rilevante. Poi, crescendo, il suo sistema ghiandolare ha cominciato a produrre più adrenalina del normale. Questo ha fatto di lui un ragazzo eccessivo, uno che ha sempre le dita infilate nella presa di corrente. Ha scelto bene con chi identificarsi, la sua maglia e i suoi idoli. Roy Keane, maglia numero 16. Fulminato, appassionato, ma anche ironico e inverosimilmente gentile. Ora, marito e padre felice, si è fatto anche saggio ma non conciliante.

 

daniele de rossi nazionale

Non gli piacciono per niente i social, De Rossi è un uomo che parla solo se ha da dire e, quando succede, potrebbe andare avanti una notte intera. Prima di diventare la sigla più amata di Roma, DDR, ha sopportato senza fiatare bassezze di ogni tipo. Quando certa parte della piazza aveva preso a diffamarlo un giorno sì e l'altro pure. Per le sue storie di famiglia e le presunte frequentazioni alcoliche. Alla prima occasione non esita un secondo a chi dedicare la sua prima doppietta in azzurro al suocero Massimo, assassinato con un'esecuzione in stile mafioso. Uno sparo in bocca, l'altro sulla schiena. «La dedico a mio suocero che non c'è più, a cui volevamo tanto bene, a lui, alla sua, alla nostra famiglia».

 

daniele de rossi fotografato da simone cecchetti

Le parole del ragazzo ai microfoni straniti della Rai. Cedevole più che mai a quello che gli detta il cuore. Da ogni sbaglio, e ne ha fatti tanti, da ogni ingiuria, e ne ha subito tante, è riemerso più forte di prima. L'altra virtù che farà di lui un grande allenatore. Impossibile immaginarlo incagliato in dogmi inalterabili.

 

Ha una testa maledettamente funzionante, quando l'ipersensibilità non lo imbroglia. Sarà interessante vederlo in panchina, nella titanica lotta tra ciò che lo illumina e ciò che lo confonde. Ha avuto, per sua ammissione e riconoscenza, grandi maestri. A cominciare dal padre, Alberto, che è sempre stato lì, come a tenere calda la panca del destino di suo figlio. Che farà invece un cammino più tortuoso, ma forse giusto e necessario. Mauro Bencivenga, il suo allenatore negli Allievi della Roma «che mi ha cambiato la vita. Un tipo tosto. Uno che quando urlava faceva paura anche a Mazzone». Danielino frivoleggiava da attaccante nell'Ostiamare, la squadra locale. Lui lo prende da parte e gli fa: «Senti a me, da attaccante non sarai nessuno, tu sei un centrocampista o non sei niente».

totti de rossi

 

Lui si fida e si adatta. E poi gli altri in ordine sparso. Luis Enrique, forse su tutti. Luciano Spalletti, Antonio Conte e oggi Mancini. La Nazionale, il suo fondamentale apprendistato. Un solo allenatore è riuscito a non amarlo. L'enigmatico boemo. Daniele non ha mai frignato per questo. Ha sofferto, ma se n'è fatta una ragione. «Nessun allenatore è masochista. Se non mi fa giocare è perché pensa che ci sono altri migliori di me». Thatchidis era migliore di lui, secondo Zeman.

 

de rossi

Con Francesco non sono mai stati amici. Troppo diversi. Ma si rispettano. E il rispetto, in certi casi, vale più dell'amicizia. Anche chi non trova le parole per dirlo avverte oscuramente che uno come Daniele De Rossi va rispettato. Lo avvertono anche i suoi nemici. Ha fatto impressione. Le curve di Juve e Lazio mostrare uno striscione omaggio, il giorno del suo addio al calcio. Ma lo striscione più bello non poteva che essere dei tifosi amici: "Danie' caricaci ancora sulle spalle .., dove il tempo non esiste!". Uno striscione gigantesco nel suo assurdo lirismo, spuntato dal nulla sotto la casa del ragazzo, che resta di Ostia anche quando abita altrove, di fronte a Castel Sant' Angelo, nel cuore di Roma.

 

I tifosi della Spal possono cominciare a sognare come non gli capita da secoli. Comunque andrà, con lui sapranno cosa vuol dire dedizione e appartenenza. Intelligente, leale, empatico, forte e visionario. La capacità di delirare. La sua ultima, definitiva dote. Il ragazzo per cui Ostia "è meglio di Copacabana". Potenza della trasfigurazione, tipica dei grandi. "Delirai essendo" è, del resto, il suo anagramma. Amerà perdutamente la sua Spal, potete giurarci anche qui, ma nello sfondo sarà, vedrà, aspetterà, il suo arcobaleno, la sua Ostia calcistica, la sua storia perfetta, la sua Roma. È scritto anche questo, da qualche parte, nel destino. Se non accadrà, sarà solo uno dei tanti appuntamenti mancati. Imperdonabile. Perché lui e la Roma resteranno per sempre l'uno il braccio amputato dell'altra.

roberto d agostino giancarlo dotto foto di bacco