“EGONU? E’ COME MARADONA E TOTTI. IL PROBLEMA È CHE LE SI DANNO TROPPE RESPONSABILITÀ” – JULIO VELASCO PARLA DI PARIGI 2024 E DELL’OBIETTIVO DI DIVENTARE IL PRIMO CT A PORTARE L’ITALVOLLEY FEMMINILE SUL PODIO OLIMPICO: “IL TRAGUARDO DI UNA MEDAGLIA È RAGGIUNGIBILE” - EGONU HA RAPPRESENTATO SUI SOCIAL LA SUA VITA FLUIDA: “MOLTE DONNE SI RICONOSCEVANO IN QUESTA IDENTITÀ ANCHE 30 ANNI FA, QUEL CHE È CAMBIATO È IL CONTESTO CULTURALE” - "LE DONNE, RISPETTO AGLI UOMINI, TENDONO PIU' A COLPEVOLIZZARSI. VA COMPRESO CHE L'ERRORE FA PARTE DEL PROCESSO. VINCE CHI SBAGLIA MENO"
-Mattia Chiusano per “la Repubblica” - Estratti
Ha spinto il volley italiano dove si trova adesso. Con la Generazione dei fenomeni ha vinto due Mondiali, alle azzurre ha spiegato che potevano contare anche a livello internazionale. Ha girato il mondo, Iran compreso, ha abbandonato la panchina per poi tornarci, ha scoperto che 71 anni è l’età giusta non per andare in pensione, ma per realizzare un sogno lasciato a metà: allenare la Nazionale femminile alle Olimpiadi.
Tra quattro mesi Julio Velasco spiegherà a Paola Egonu e compagne la mentalità con cui provare a vincere una medaglia a Parigi. Ma intanto, si gode la quiete prima della tempesta. Nella sua casa bolognese dove è esposta una prima pagina del quotidiano O Globo datata 1990: in apertura c’è una sua foto mentre viene lanciato in aria dagli azzurri. «L’hanno scattata quando abbiamo vinto il primo Mondiale in Brasile. È stato bello, però è passato troppo, troppo tempo. Nella mia casa c’è un po’ di tutto, gli amici, la famiglia, la mia squadra del cuore: l’Argentina del calcio».
Velasco, come sta vivendo l’avvicinamento a un’estate caldissima?
«Sono molto tranquillo, rilassato, guardo le partite dell’Italia e delle altre nazionali. Vedo allenamenti, parlo con gli allenatori. Gestisco il momento che sto vivendo, non penso al dopo. A dicembre sono stato a Buenos Aires, in un appartamento in affitto nel barrio di Belgrano. Vicino alla stadio Monumental del River Plate, al centro del volley dove ho allenato la nazionale e a un amico carissimo che è stato il mio primo allenatore. Sto leggendo Nosotros dos en la tormenta di Eduardo Sacheri, un romanzo argentino che parla del colpo di stato in maniera molto romanzata: quando sono buoni il film o la letteratura, il personaggio è sempre contraddittorio».
Ci pensa che potrebbe diventare il primo tecnico a portare l’Italia sul podio olimpico?
«Lo stimolo è evidente, l’obiettivo è quello. Avrei accettato anche una squadra meno competitiva, ma questa è una Nazionale davvero forte. Il traguardo di una medaglia è raggiungibile, ma anche molto difficile quando arriverà il momento decisivo dei quarti di finale: magari contro Cina, Serbia, Turchia, Stati Uniti. Nel volley non esistono più i cicli di una sola nazione».
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Le sue prime parole sono state interpretate così: Egonu titolare se starà alle regole del gruppo. Conferma?
«Quando io dico che non tutti i giocatori sono uguali non significa che ognuno fa come gli pare. Ma allo stesso tempo ribadisco che non siamo tutti uguali. Certe cose anche i più grandi giocatori devono farle insieme ai compagni, come hanno fatto Maradona, Messi, Totti».
Guardando certe statistiche, Egonu sembra la giocatrice più dotata al mondo.
«Ci sono anche Boskovic, Vargas, però sì, lei è una delle migliori, non c’è dubbio. Il problema è che a questa ragazza si danno troppe responsabilità. Che sia così forte non significa che debba averne così tante. Non puoi vincere tutte le partite da solo, andando su tutti i tipi di palloni continuamente: ci sono cose che vanno sistemate dal punto di vista tecnico e tattico».
La mancata convocazione di “Moki” De Gennaro sembrava aver tolto a Egonu un punto di riferimento, quasi una sorella maggiore.
«Nelle giocatrici punto a sviluppare l’autonomia e l’autorevolezza. Fa parte della cultura del patriarcato credere che le donne debbano sempre dipendere da qualcun altro.
Tutti dipendiamo dalle nostre mogli, dalla mamma, però un giocatore, anche se è giovane, non deve dipendere né dall’allenatore né da un compagno. Voglio così le mie giocatrici: autonome e autorevoli».
Si parlava di un cambio di ruolo di Antropova per aumentare il potenziale offensivo dell’Italia.
«Mi sembra inopportuno trasformare un opposto in una schiacciatrice in così poco tempo. Quale giornalista si prende la responsabilità di dire pubblicamente chi togliere per fare giocare Antropova? Giocatrici esperte come Pietrini e Sylla? Antropova sia pronta per l’emergenza, non per fare la schiacciatrice titolare. Ma vogliamo parlare della sua età?».
Venti anni.
«È molto più matura di quanto sembri, ma ha vent’anni, ce ne rendiamo conto? Quante cazzate ho fatto io alla sua età? Questo è un altro errore che si fa nello sport, soprattutto negli sport di squadra, nel calcio in modo clamoroso. Ragazzi di 22 anni vengono giudicati come uomini maturi, sono star e guadagnano tanti soldi, ma questo non dà loro anni di esperienza».
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Ormai è naturale che una pugile come Irma Testa o una nuotatrice come Rachele Bruni si dichiarino Lgbt, e la stessa Egonu ha rappresentato sui social la sua vita fluid.
«Molte donne si riconoscevano in questa identità anche venti-trenta anni fa, quel che è cambiato è il contesto culturale. Pensiamo al Primo ministro francese Gabriel Attal che ha 34 anni ed è apertamente gay. Il cambiamento definitivo avverrà quando nemmeno parleremo dell’orientamento sessuale: ognuno fa quello che gli pare, ovviamente in modo corretto. Il mondo sta cambiando vertiginosamente».
Maurizia Cacciatori racconta che lei le diceva in continuazione di “essere come una cameriera” per la squadra: si può ripetere lo stesso messaggio anche al giorno d’oggi?
«Parlavo alla palleggiatrice che era lei. Quel concetto me lo spiegò un grande palleggiatore di Parma, il coreano Kim Ho-chul: diceva che se uno chiede whisky con ghiaccio, l’altro senza ghiaccio, l’altro gin tonic o caffè, non puoi dargli quel che ti pare. Così funziona per le palle in campo, chi la vuole più veloce, chi meno veloce». In quel ruolo non è messo male, con Alessia Orro. «Non sono messo male in nessun ruolo. Il problema che si fa fatica a capire è che neanche gli altri sono messi male».
Riproporrà un pilastro dei suoi insegnamenti, la lotta agli alibi?
«Gli alibi non li accettavo: che so, del fuso orario non parlavamo. Ma credo che ci sia una differenza tra l’uomo e la donna, che tende di più a darsi la colpa. Giusto dire “ho sbagliato” perché serve per sbagliare meno, ma colpevolizzarsi no. Magari tra cinquant’anni non parleremo più di questo tema, ma intanto, più che gli alibi, va combattuto questo: l’errore fa parte del processo, tutti in fondo sbagliano, vince chi sbaglia meno».
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