“GARELLA? È IL MIGLIOR PORTIERE SENZA MANI” – UNO DEI MOLTI ANEDDOTI SU “PAPERELLA”, MORTO IERI A 67 ANNI, È LA DICHIARAZIONE DELL’AVVOCATO AGNELLI, A CUI REPLICÒ COSÌ: “UN GROSSO ONORE PER ME, PERCHÉ NON È DA TUTTI FINIRE TRA GLI AFORISMI STORICI DELL’AVVOCATO. LA PALLA TUTTAVIA DEVE ESSERE PRESA IN TUTTE LE MANIERE, NON SI PUÒ ANDARE TROPPO PER IL SOTTILE QUANDO TI RITROVAVI DAVANTI CAMPIONI COME PAOLO ROSSI O ROBERTO PRUZZO, BASTAVA RIMANERE NELL’AMBITO DEL REGOLAMENTO” – LE “GARELLATE”, GLI SCUDETTI E QUELLA FOTO CON L’AUTORADIO SOTTOBRACCIO…
-Lorenzo Nicolao per www.corriere.it
Garella, un‘icona degli anni 80
Ricordato tanto per i suoi errori quanto per le sue parate e i suoi successi, Claudio Garella è sempre stato oggetto di lunghe discussioni nei bar sportivi. L’ex portiere — scomparso il 12 agosto 2022 a 67 anni — ha giocato dal 1972 al 1991, vincendo anche due scudetti con Verona (1985) e Napoli (1987), era tanto criticato per lo stile poco elegante negli interventi quanto apprezzato per la sua efficacia.
Nessuno dei portieri moderni somiglia né può essere paragonato a lui: molti commentatori hanno fatto ironia sulle sue prestazioni, ma tanti tifosi lo hanno identificato come un idolo, anche per i successi ottenuti in piazze che fino a quel momento non avevano mai messo in bacheca trofei significativi. Indimenticabile anche l’aneddoto dell’autoradio, che portava sottobraccio ascoltando, e cantando Toto Cotugno.
«Paperella» e le «garellate»
Nato a Torino nel 1955 e cresciuto nelle giovanili granata, l’esordio in prima squadra arriva nella stagione 1972-73, ma dopo una sola presenza si trasferirà prima allo Juniorcasale, squadra di Casale Monferrato, poi al Novara (38 presenze e 29 reti subite) e alla Lazio (29 partite giocate in campionato e 36 gol subiti). Proprio con la maglia dei biancocelesti colleziona tanti errori fino a guadagnarsi malauguratamente il soprannome di «Paperella». Per i suoi interventi naif il giornalista Beppe Viola coniò addirittura il termine «garellate».
La carriera di Garella
Anche per le sue prestazioni altalenanti Garella non riuscirà mai a giocare in una grande o all’estero, ma saprà farsi strada: dopo la Lazio passa così alla Sampdoria, poi a Verona, Napoli, Udinese e Avellino dove chiuderà la carriera nella stagione 1990-91 all’età di 36 anni. Le esperienze più significative saranno naturalmente con la maglia dell’Hellas dall’81 all’85 (oltre allo scudetto una promozione in serie A nel 1982) e con il Napoli dall’85 all’88 (con, oltre allo scudetto, anche una Coppa Italia nel 1987): li ricorderà sempre come i fasti della sua carriera sportiva.
Gli scudetti di «Garellik»
Hellas Verona e Napoli, due realtà molto diverse dove il tricolore non si era mai visto, riescono a vincere lo scudetto per la prima volta nella loro storia proprio con Garella in porta, che nel frattempo da «Paperella» era diventato «Garellik».
Un’autentica impresa per chi parò i tiri di campioni Milan, Inter e Juventus con i piedi, con le ginocchia, con tutte le parti del corpo: un modo forse brutto da vedere ma decisamente efficace, promosso anche da una leggenda come lo stesso Maradona, che lo volle come suo portiere, convincendo anche il presidente del Napoli di allora, Corrado Ferlaino. Un portiere dalle caratteristiche uniche, che in più di un’occasione è tornato sul tema del suo stile: «Questo mito che paravo solo con i piedi non è vero: paravo con un po’ di tutto, ma evidentemente sapevo usare i piedi più di altri, addirittura una volta parai pure in rovesciata... (in Udinese-Cremonese nella stagione 1988-89 in serie B, ndr)».
L’ironia dell’Avvocato Agnelli
Tra le critiche ricevute fu indimenticabile la dichiarazione dello juventino Gianni Agnelli, sempre pungente con la sua brillante ironia e un certo sarcasmo: «È il miglior portiere senza mani».
La replica del portiere fu in parte una precisazione e in parte un ringraziamento: «Un grosso onore per me, perché non è da tutti finire tra gli aforismi storici dell’Avvocato. La palla tuttavia deve essere presa in tutte le maniere, non si può andare troppo per il sottile quando ti ritrovavi davanti campioni come Paolo Rossi o Roberto Pruzzo, bastava rimanere nell’ambito del regolamento». Risposta di chi era cresciuto professionalmente anche con il sostegno di Italo Allodi, general manager del Napoli, che gli diceva sempre: «L’importante è parare, non importa come».
Un portiere «vero»
Ma lui naturalmente non condivideva tutte queste critiche un po’ semplicistiche. A Repubblica una volta raccontò: «Mi dispiacque lasciare Verona ma volli fortemente giocare con il calciatore più forte di tutti i tempi, Diego Armando Maradona.
Ma gli altri non è che fossero scarsi, anzi se a Verona feci 100 parate nell’anno dello scudetto a Napoli ne feci 10. Non chiedo giustizia alla critica, faccio parlare i risultati, che devo dividere con tutti i compagni, certo, ma per qualcosa c’entrerò pure io. Voi dite che sono brutto, grasso, sgangherato, clownesco, antiatletico, un portiere da hockey eccetera. Io invece dico che sono un portiere vero e non invidio nulla a nessuno».
L’autoradio
Garella era sposato con Laura: hanno avuto due figlie, Claudia (classe 1975) e Chantal (classe 1985). La sua figura è rimasta nell’immaginario di un calcio che non c’è più anche per certi stili e immagini tipiche di quegli anni. Indimenticabile, e spesso rievocata dai nostalgici di quell’epoca, la sua immagine con l’autoradio sottobraccio ascoltando e cantando Toto Cotugno.
Gli ultimi anni
Tecnico e dirigente sportivo diplomato a Coverciano, dopo l’addio al calcio giocato, Garella si era dedicato alla professione di allenatore. Per circa quattro anni, sia come guida tecnica, sia come preparatore dei portieri o delle squadre giovanili, ha assistito i giocatori di piccole realtà calcistiche come il club torinese del Barracuda, della Pergolettese (allora Pergocrema) e della Cit Turin, un’associazione sportiva dilettantistica. A San Giusto Canavese, sempre nel torinese, è stato anche osservatore ed esperto di mercato del club che militava in Serie D.
La gioielleria
Un vero B piano post calcio Garella lo aveva: «Sì, una gioielleria a Verona che poi ho dovuto chiudere per ragioni familiari», raccontò sempre a Repubblica. Allora tornò in campo ad allenare il Barracuda, squadra di II categoria («Volevo sfatare il tabù che i portieri non sono dei bravi allenatori. In ogni caso non sarei mai riuscito a stare sul divano a casa, io devo andare su un campo di calcio qualunque esso sia»), di cui fino a due anni fa è stato anche dirigente.
Il calcio passione e delusione
Un elemento che i tifosi hanno apprezzato quando giocava e anche nella sua esperienza lavorativa nel calcio dilettantistico è stato il suo scarso interesse per i vantaggi economici che potevano derivare da un settore come il calcio: «Non mi sono mai inginocchiato a nessuno», disse una volta Garella, specificando quanto gli piaccia rimanere a contatto con il mondo del calcio senza necessariamente rimanere sui grandi palcoscenici, ma preservando la genuinità di questo sport.
Molta passione e denaro «quanto basta per campare». Un approccio alla vita «alternativo» per il quale viene tuttora ammirato ma che gli ha provocato nel tempo più di un’amarezza: «Da quando mi sono diplomato a Coverciano, come direttore sportivo aspetto spesso una telefonata per una chiamata che non arriva mai. Non frequento i giri giusti forse, anche se non rinuncerò mai alla mia integrità morale», disse una volta. Negli ultimi tempi aveva scelto la via della riservatezza: l’ultima intervista risale a due anni fa, deluso dal calcio che non lo ha più cercato.