“INZAGHI DEVE SAPERE CHE NEL CALCIO SE VINCI SEI UN BRAVO RAGAZZO, SE PERDI UNA TESTA DI CAZZO” – IVAN ZAZZARONI APPLICA LA TEORIA DEL MITOLOGICO GUIDO MAZZETTI, EX TECNICO DI PERUGIA E DEL PRIMO MONZA DI GALLIANI, AL TECNICO DELL’INTER, SCONFITTO 11 VOLTE IN CAMPIONATO, MA SEMIFINALISTA IN CHAMPIONS E COPPA ITALIA. “E’ ANDATO IN DIFFICOLTÀ AL MOMENTO DI SCEGLIERE DUE ATTACCANTI TRA DZEKO, LAUTARO, LUKAKU E CORREA. MA ADESSO È IN SEMIFINALE. “SPIAZE” PER CHI VOLEVA FARLO FUORI...”
-Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport
Quest’anno c’è (già) un’italiana in finale di Champions. Ci sono tuttavia due Inter, due Barella, due Lautaro, due Brozovic, due Dimarco, due Dumfries e soprattutto due Inzaghi. C’è un’Inter al momento fuori dalle prime quattro in campionato e un’Inter meritatamente in semifinale nella coppa dalle grandi orecchie che dopo sei anni riascoltano la lingua del calcio italiano. In altre parole, c’è un’Inter capace di rovesciare i punti di vista e i giudizi nel giro di due o tre giorni, una squadra che - volente o nolente - alterna i più vari registri emotivi.
Dedico questo spazio a Simone Inzaghi, il bersaglio unico: e adesso cacciatelo! Lui sa lavorare e l’ha dimostrato in questi anni, vincendo qualche coppa; Inzaghi che per i giustizieri di ‘sta cippa, velenosi e velinati, è l’anello debole del gruppo perché parla troppo semplice, ogni tanto eccede nella difesa di se stesso, ha una storia breve e non chiede aiuto mai: è abituato a fare da solo, ad arrangiarsi, anche a subire.
Pensando a lui, m’è tornato inevitabilmente in mente Mazzetti, la sua formuletta applicata alla seconda, isterica stagione interista di Simone: sconfitto undici volte in campionato, ma semifinalista in Champions e coppa Italia. Cosa diceva il signor Guido, bolognese, uomo di ineguagliabile profondità, una lunga carriera da allenatore tra Perugia, Parma, Livorno, Catania, Monza - era il primo Monza di Galliani -, Taranto e San Benedetto, morto il giorno di San Valentino di ventisei anni fa? «Nel calcio» ripeteva «se vinci sei un bravo ragazzo, se perdi una testa di cazzo».
Secondo la teoria mezzettiana, negli ultimi mesi Simone avrebbe dovuto affrontare ripetute crisi di nervi e di identità: testa di c… da esonerare nel weekend e bravo ragazzo da conservare dal martedì al sabato: un’insopportabile altalena di giudizi sommari, l’offesa personale sfiorata più volte. E le spiegazioni, poi…: è troppo tenero, sempre la stessa partita e gli stessi cambi, non possiede un piano b, il gruppo si è rotto, le frizioni tra i giocatori sono evidenti, alcuni pensano soltanto a sé stessi, lui non sa tenerli, la società è alla canna del gas e via discorrendo.
Conoscendo Simone da sempre, e avendolo seguito da vicino nel suo percorso laziale, non sono sorpreso dal fatto che anche all’Inter abbia puntato sui giocatori più esperti, di (sua) garanzia, e che sia andato in difficoltà al momento di scegliere due attaccanti tra Dzeko, Lautaro, Lukaku e Correa. Alla Lazio non si era mai potuto porre problemi di abbondanza: ha sempre fatto con il solo Immobile, a Caicedo e in seguito a Muriqi concesse i resti di Ciro.
Simone adesso è in semifinale. “Spiaze” per chi voleva farlo fuori.
Il campo ha voluto riconsegnarci dopo vent’anni il derby di Milano al penultimo atto. Solo il campo sa essere definitivo. Giusto?, ingiusto? Definitivo: le punizioni le fa scontare a giochi fatti. Non come la giustizia sportiva che prima ti colpisce in corso d’opera, poi sospende la sentenza, si prende i suoi tempi impossibili e insomma fa di tutto per trasformarsi nel trionfo della provvisorietà. E dell’ingiustizia.