“JACOBS STA BENE, IL PROBLEMA AL GLUTEO E’ RISOLTO” – IL COACH DEL CAMPIONE OLIMPICO PAOLO CAMOSSI ANNUNCIA CHE MARCELL CORRERA’ I 100 METRI AI MONDIALI: “MI DISPIACE CHE QUALCUNO ABBIA MESSO IN DUBBIO LA SUA PRESENZA A EUGENE. PAURA DEGLI AMERICANI? NO, SIAMO PRONTI. IL MONDIALE È APERTISSIMO. COMUNQUE RICORDO AGLI AMERICANI CHE LA RIVINCITA NON SARÀ QUI, MA ALL'OLIMPIADE DI PARIGI TRA 2 ANNI”

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Gaia Piccardi per il Corriere della Sera

 

camossi jacobs

«Sta bene». Le due parole che volevamo sentire arrivano da Beaverton, training camp della Nike, la bolla immersa nel verde dove da 12 giorni Marcell Jacobs sta curando il gluteo «infastidito» che gli ha impedito di scendere in pista nella tappa della Diamond League di Stoccolma. Le pronuncia coach Paolo Camossi, la persona più vicina al campione olimpico, a tre giorni dal debutto nelle batterie dei 100 al Mondiale di Eugene.

 

Paolo come avete lavorato a Beaverton?

«Tutti i lavori che erano da fare sono stati fatti. In un ambiente immerso in una tranquillità assoluta, Marcell ha svolto la sua routine di terapie e allenamenti. La check list è spuntata».

 

Gluteo a posto, quindi.

«Non sente più niente, il problema è risolto. Certo poi il corpo ha i suoi tempi per riabituarsi all'alta intensità».

 

Per chiarirci: esiste uno scenario in cui Jacobs venerdì non sia sui blocchi dei 100?

«No. Uno scenario in cui Marcell non corre non esiste. E mi dispiace che qualcuno abbia messo in dubbio la sua presenza a Eugene».

 

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L'avvicinamento al Mondiale non è stato ideale, per usare un eufemismo.

«Dopo l'Olimpiade ha vinto tutte le gare indoor e l'oro al Mondiale di Belgrado. All'aperto ha gareggiato meno di quanto avremmo voluto, è vero. Ma quello che ha corso (Savona in 10"04 e Rieti in 10"12, ndr ), ha vinto».

 

L'Oregon era il luogo ideale per il recupero.

«Abbiamo usato la pista nel bosco che tutti sognano di calcare: con il fisio Alberto Marcellini e il chiropratico Renaud Dejean, abbiamo smaltito il protocollo di lavoro post Stoccolma, dove Marcell mi aveva detto: Paolo, non andiamo nemmeno alla pista di riscaldamento sennò dovrai strapparmi le scarpe per non farmi correre. L'intensità è stata gradualmente alzata: ieri abbiamo fatto buone partenze dai blocchi».

 

L'ultima risonanza?

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«Vista sia dai medici della Fidal che dallo staff medico americano di Beaverton. La visione è comune: Marcell è pronto».

 

È una belva in gabbia?

«Abbiamo vissuto momenti di difficoltà: lo sprinter si allena per gareggiare, vuole correre e, quando non può, si intristisce. Saltare Eugene, il Golden Gala e Stoccolma è stato un dispiacere enorme. Ma da quando siamo in Oregon, ho visto Marcell ogni giorno più sereno».

 

Come coach, avrebbe voluto qualche giorno in più prima delle batterie dei 100?

«No. Per come è andata, sono contento così. È arrivato il momento di andare sui blocchi».

 

Come vi siete intrattenuti in ritiro nel poco tempo libero?

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«Il massimo divertimento è stato cercare su google il ristorante dove andare a cena. Qui in Oregon alle dieci chiude tutto, zero tentazioni. Allenamento, terapie, chiacchiere, cena, nanna».

 

È la vigilia più tesa che lei e Jacobs abbiate mai vissuto?

«È normale: davanti agli imprevisti l'atleta si dispiace e il coach deve rivedere tutti i programmi. A Tokyo avevamo avuto un avvicinamento ben diverso. Qui a Eugene è come se fosse il debutto stagionale all'aperto, o quasi. E quando un campione olimpico scende in pista, beh, è sempre un giorno importante».

 

Gli americani pensano che Jacobs abbia paura di loro: cosa risponde?

«Né paura né sudditanza, non avverto nulla di tutto ciò. Se libero di correre, Marcell può fare grandi cose. E comunque ricordo agli americani che la rivincita non sarà qui, ma all'Olimpiade di Parigi tra due anni».

 

Chi è il favorito dei 100?

«A Tokyo si scommetteva sull'oro di Bromell, che non è arrivato. Kerley ha qualcosina in più: ha corso in 9"76 ma io guardo più al 9"92 di Roma. È una fase della velocità senza dominatori: un predestinato all'oro di Eugene non c'è».

 

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Ha rimpianti o rifarebbe tutto, dal Kenya in poi?

«Ci ho ragionato tanto, la responsabilità è mia. Marcell si è portato il virus a Nairobi dall'Italia: sfortuna, in allenamento stava benissimo. Poi, a Savona, sul primo appoggio in uscita dal blocco un contro movimento ha scatenato l'elongazione e i problemi a cascata. Rifarei tutto, sì. E molto ancora c'è da fare».

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