“MA LEI E’ QUELLO DEL TENNIS?” – VITA, OPERE E "GESTI BIANCHI" DI GIANNI CLERICI, SCOMPARSO A 91 ANNI – "IN VITA MIA HO SCRITTO 21 LIBRI, DI CUI SOLO 5 SUL TENNIS. MA ORMAI SONO SOMMERSO DA UN’IDENTITÀ DI “RACCATTAPALLE”. SONO CRESCIUTO OLTRE CHE CON IL MARCHIO DI INFAMIA DEL GIORNALISTA SPORTIVO, CON QUELLO DELL’OMOSESSUALE. QUESTA TENUE VOCINA NON HA AIUTATO" - IL RAPPORTO CON BRERA, GLI AMBIENTI LETTERARI CHE LO GUARDAVANO CON FASTIDIO, LE PAROLE DI ITALO CALVINO - “CLERICI È UNO DEI PIÙ GRANDI SCRITTORI CHE ABBIA MAI CONOSCIUTO. PURTROPPO SCRIVE DI SPORT” - VIDEO
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Da https://www.cinquantamila.it – La storia raccontata da Giorgio Dell’Arti
• Como 24 luglio 1930. Scrittore. Giornalista. Famoso commentatore del tennis (su Repubblica e, fino a Wimbledon 2011, su Sky con Rino Tommasi). Dal 15 luglio 2006 nella Hall of Fame del tennis di Newport (California), primo giornalista europeo ad avere questo onore, secondo italiano in assoluto dopo Nicola Pietrangeli. Motivazione: «Per il suo contributo alla diffusione del tennis, per aver seguito 170 tornei del Grande Slam in più di 40 anni di attività, per aver scritto oltre seimila articoli seguendo a bordo campo le gesta degli eroi della racchetta».
• Nonni materni tessili, paterni vinai, «l’amore di Clerici per il tennis comincia con l’immagine di un bambino di nove anni, Giovannino. È il protagonista del suo romanzo Alassio 1939, parte della trilogia I gesti bianchi edita da Baldini e Castoldi. Il Giovannino di buona famiglia gioca al Tennis club Alassio, presieduto da un gentiluomo inglese, Daniel Hanbury, fratello di quel Thomas Hanbury che diede il nome ai celebri giardini presso il confine francese. Giovannino non vuole fare il balilla né partecipare al sabato fascista. “All’orbace preferivo la flanella bianca”, racconta oggi il vero Gianni Clerici: “Mi piacque subito il mondo degli inglesi, imparai a bere il tè, a dire ‘ready’ prima del servizio. Mi attrasse quello spirito sportivo che era un’etica di comportamento”» (Enrico Arosio).
• «Sarà stato il 1953 o il 1954. Nonostante la diagnosi di morte per disturbi epatici fattami dall’esimio professor Frugoni, mi ritrovo numero 10 in Italia nel periodo in cui eravamo primi in Europa con Gardini, Merlo, Pietrangeli, Sirola. Ero un giocatore modesto, ma con un bel record giovanile di 13 vittorie su 15 incontri. Ho l’occasione di andare a Wimbledon con Antonio Maggi, che però rinuncia: “Mia mamma sta male, non vengo”. “Ma ti hanno ammesso!”. Niente, parto da solo, un venerdì mattina, con una 500 giardinetta color marroncino, quella con il legno sulla carrozzeria. Il rimborso previsto era di cinquanta sterline. Ci ho messo due giorni. La domenica mattina arrivo a Londra e voglio allenarmi. Poco dopo sono davanti ai cancelli di ghisa nera, le Doherty Gates di Wimbledon, Doherty sono i fratelli che hanno vinto lì nove tornei. E i cancelli sono chiusi. Sì. Era domenica. Una perfetta figura da provinciale. Nel pomeriggio mi allenai al Queen’s club. Al torneo mi ritrovai al campo 16 contro uno jugoslavo: fuori per crampi al quarto set, non ero abituato all’erba».
«Sarà il 1950 e viene a Sanremo per seguire un torneo dove giocavo Luigi Gianoli della Gazzetta dello Sport, allora diretta da Brera. Un grande, Gianoli. Diplomato al Conservatorio, espertissimo di cavalli e vivamente omosessuale, ciò che gli creava non pochi problemi nell’ambiente del giornalismo sportivo. Io gli ho dato una mano, non capiva di tennis. Legge gli articolini che pubblicavo gratuitamente su Il Tennis Italiano, fra parentesi la rivista esiste dal 1928, e dice: “Però, tu devi scrivere sulla Gazzetta”. Dubbio: gli sarò piaciuto io? Ma no, a Gianoli piacevano i maschioni. Brera mi fissa un appuntamento al giornale: non c’è e mi indigno: “Non scriverò mai per questo giornale”.
La sera stessa mi telefona e riusciamo poi a vederci in galleria a Milano, dove studiavo all’università. Sono laureato in Storia delle religioni, ho anche fatto un master alla Sorbona: volevo diventare monaco buddista. Scrivevo sulla Gazzetta degli elzeviri in terza pagina, ricordo i disegni di Ottorino Mancioli, un artista. Quando Brera mollò, lo seguii a Sport Giallo, un quotidiano che aveva fondato per far concorrenza al Guerino. Durò poco. Nel 1956 nacque Il Giorno e da Sport Giallo ci travasammo tutti lì. Una vita al Giorno, con Brera, Giulio Signori, Mario Fossati, Pilade Del Buono, il fratello di Oreste. Eravamo amici, goliardi anche, quasi un club, ma lavoravamo duro. L’ho lasciato quando non ho potuto farne a meno, erano alla frutta, con certe firme...».
• «Autore di romanzi, commedie teatrali e un volume, 500 anni di tennis, semplicemente indispensabile. Il poeta Clerici rimanda ad Ariosto, Leopardi, Saba. Rilegge l’odi et amo di Catullo, ed è un bel leggere. E rileggere. Pure sotto questa pudica veste, lo “Scriba” mostra quello sconfinato bagaglio di conoscenze e guittezze che solo una critica miope può non vedere. “Quando avevo 27 anni, accompagnandomi al Premio Strega, Soldati e Bassani mi dissero che, se volevo continuare con il giornalismo sportivo, dovevo inventarmi un nom de plume. Avevano ragione.
Negli ambienti letterari vengo ancora guardato con un certo fastidio: ‘Ma lei è quello del tennis?’”. Non distante Italo Calvino: “Clerici è uno dei più grandi scrittori che abbia mai conosciuto. Purtroppo scrive di sport”. Un “vizio” che non gli ha fatto smarrire la propria grandezza. E unicità» (Andrea Scanzi).
• Ultimi libri: Wimbledon. Sessant’anni di storia del più importante torneo del mondo (Mondadori, 2013), Australia felix (Fandango, 2012), Il suono del colore (Fandango, 2011).
• «In vita mia ho scritto ventuno libri, di cui solo cinque sul tennis. Ma ormai sono sommerso da un’identità di “raccattapalle”. Ho un contratto con Repubblica per 100 articoli all’anno, ma sono stanco di seguire i protagonisti della racchetta. Ho in cantiere un romanzo con cui spero di vincere il premio Nobel! Si tratta di un libro rivoluzionario sulle donne, ma non posso fornire altre anticipazioni. Una cosa è certa: non scrivero mai più un libro sul tennis».
• «Sono cresciuto oltre che con il marchio di infamia del giornalista sportivo, con quello dell’omosessuale. Questa tenue vocina non ha aiutato. Certe frequentazioni poi - Zeffirelli, Visconti, Arbasino, Luigino Gianoli il più grande scrittore di cavalli - neppure. Con loro, a volte si mangiava assieme, discutevamo. Ero accettato, sebbene non fossi omosessuale».