“NAPOLI NON È PIÙ UNA CITTÀ CON UNA SQUADRA DI CALCIO. È UNA SQUADRA DI CALCIO CON ANNESSA UNA CITTÀ” - OSIMHEN SEGNA IL PAREGGIO, IL MARADONA ESPLODE, LA CITTÀ BALLA E CANTA MENTRE PAOLO SORRENTINO FILMA TUTTO QUANTO. IL RACCONTO DELLA FESTA SCUDETTO BY RONCONE - "A CASTEL DI SANGRO, LA SCORSA ESTATE, LA DIGOS CONSIGLIÒ A DE LAURENTIIS DI NON ANDARE ALLO STADIO. E A LUCIANO SPALLETTI ERA GIÀ STATA RUBATA LA PANDA: “TE LA RESTITUIAMO, BASTA CA TE NE VAJE” – VIDEO
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Estratto dell’articolo di Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera
È necessario consegnare l’anima a questa città e abbandonarsi, immergersi nell’impazzimento che dilaga sotto i lampi dei fuochi d’artificio, il golfo illuminato a giorno, una battente felicità di popolo adesso sceso nelle strade e nelle piazze, gli anziani ai balconi, i bambini sulle spalle dei papà, Diego che lassù, stanotte, è chiaramente molto più d’una stella.
Guardate: è davvero difficile spiegare quello che sta succedendo qui .
Non c’è racconto possibile.
Ci sono solo immagini e rumori, le lacrime di chi ha ostinatamente aspettato 33 anni e gli abbracci esausti di chi torna da quel luogo di speranza diventato lo stadio collegato in streaming con Udine, il profumo della pizza fritta in via Speranzella, ai Quartieri, e l’odore acre dei fumogeni azzurri (...) e quel genio di Sorrentino che infatti sta filmando tutto, tutto quello che è successo e che succede, la squadra non s’è mai disunita e la realtà può non essere scadente, a Napoli: ma piena di bellezza e di forza, di amore e di grandiose verità.
Perché almeno una cosa certa si può scrivere: dopo decenni, questo è il primo scudetto italiano economicamente sostenibile in un calcio sempre più feroce e sleale, che falsa bilanci e resta sull’orlo della bancarotta. Il presidente Aurelio De Laurentiis ha programmato, organizzato, perseverato. Lucido, talvolta cinico e spietato, ma onesto e vincente. Ha saputo costruire con lentezza in una città che vive di eccitazioni e frenesie: partendo dalla serie C, nel 2004, e arrivando ad allestire una squadra che, quest’anno, per lunghi tratti della stagione, è sembrata francamente perfetta.
Non è stato facile.
Non è stato capito.
Non è stato amato.
A Castel Di Sangro, la scorsa estate, la Digos gli consigliò di non andare allo stadio per assistere all’amichevole. E all’allenatore che aveva scelto per compiere l’impresa, Luciano Spalletti, era già stata rubata la Fiat Panda: «Te la restituiamo, basta ca te ne vaje». Città irrequieta, diciamo così. Troppo abituata all’arte dell’arrangiarsi e del tutto e subito e poi si vede, per immaginare cosa potesse celare l’ultimo, clamoroso mercato.
Via — di botto — Insigne, Mertens, Koulibaly, Fabian Ruiz e Ghoulam; dentro Kvaratskhelia (sconosciuto), Kim (dileggiato: «Kim, Camel e Marlboro morbide: 3 pacchetti, 10 euro»), Ostigard, Ndombélé, Raspadori, Simeone e Olivera. C’è — anche e soprattutto — la mano del direttore sportivo Cristiano Giuntoli. A Corrado Ferlaino, l’ultimo grande presidente, fu necessaria quella di Dio.
Fondamentale far apparire il più forte calciatore di sempre per riuscire a vincere due scudetti: Maradona, talento superdotato, fragile e commovente, che un’intera città ancora venera e non è un caso se chi viene a visitare la città, prima va a vedere il murales a lui dedicato, ormai diventato luogo di puro culto, e poi il Cristo Velato.
Intanto arrivano notizie dalla Dacia Arena: danze negli spogliatoi e calciatori che stappano spumante, Spalletti innaffiato e finalmente sorridente, lui che — a 64 anni e con oltre 550 panchine addosso — ha sempre quel ghigno amaro, quello sguardo un po’ così di uomo in lotta perenne, dilaniato dalle scosse elettriche di un carattere a dir poco complesso e da certi intuiti tattici di fascino furioso, da autentico maestro di calcio.
(...)
Negli ultimi giorni è stato molto citato il New York Times. Che ha tirato fuori questa frase: «Napoli non è più una città con una squadra di calcio. È una squadra di calcio con annessa una città». Complicato stabilire, dentro un frullatore di emozioni così forti, quanto il concetto sia vero: certo sarà interessante capire se la città, guidata da un gentiluomo della politica come il sindaco Gaetano Manfredi (lasciate stare che è tifoso della Juve, non è sera), saprà farsi trascinare dall’esempio virtuoso e trionfale della società calcistica. Però davvero può essere un’occasione per cercare di andare oltre Gomorra, dopo aver già strappato le cartoline con la pizza e il mandolino.
Ci sarà tempo.
Anche perché adesso nel bar tutti cominciano a cantare «Un giorno all’improvviso/ m’innamorai di te… ».
E tutti saltano, e si tengono per mano. Ed è vero che, certe volte, la felicità degli altri può essere la tua.
È bellissimo stare qui, stanotte.