“LA NAZIONALE È MODESTA: PRIMA CE NE RENDIAMO CONTO, MENO SOFFRIAMO” – RONCONE INFILZA ANCHE MANCINI: “C’È QUALCOSA DI IRRAGIONEVOLE, DI MOLTO OSTINATO E PRESUNTUOSO, NELL’ATTEGGIAMENTO TATTICO AZZURRO, C’È QUEL CERTO MODO DI VEDERE LA VITA E IL CALCIO CHE A ROBERTO MANCINI PIACE UN SACCO” - "RASPADORI NON E' UN'ALA, BERNARDESCHI SI MARCA DA SOLO E LAZZARI E SCAMACCA...
-Fabrizio Roncone per corriere.it
Siamo dentro un’amarezza forte, intensa, difficile da controllare. È un problema che dobbiamo risolvere: fatichiamo ad accettare l’idea di avere una Nazionale modesta. Il calcio è divertente anche perché puoi sempre credere alla bugia che preferisci. Certo è un po’ dura farlo a bordo di un ascensore impazzito: prima lassù nel cielo d’Europa, e ora sprofondati giù, introvabili, inguardabili, perdenti.
Ma siamo questi.
Prima riusciamo a percepirci nel modo giusto, meno soffriamo.
È inutile osservare con rimpianto martellante l’Argentina che, adesso, fa festa sul prato di Wembley dove ballammo noi appena un’estate fa. Fu un incantesimo. Possibile lo stia pensando anche Giorgione Chiellini, il capitano che ha giocato l’ultima partita con questa maglia, occhi liquidi, non è pianto ma potrebbe diventarlo all’improvviso. Donnarumma scuote la testa. Bonucci si avvicina e gli dice, brusco, qualcosa. Ma cosa c’è da dire?
Qui si scrive con una coperta di malinconia pelosa addosso, con l’efferata consapevolezza di doverci vedere i Mondiali davanti alla tivù e stasera di aver solo allenato l’Argentina, i campioni del Sud America che ai Mondiali, invece, andranno.
Dov’è Roberto Mancini? Eccolo laggiù (parlotta con Lele Oriali): tutti sappiamo di doverci affidare a lui, non abbiamo altra possibilità che farci portare — ancora una volta — nel suo mondo pieno di presunzione e arroganza, vincente per destino, ferocemente ottimista. Ma è francamente dura.
È mortificante anche rileggere gli appunti. C’è scritto che gli argentini forniscono, subito, la sensazione di una qualità inarrivabile per i nostri. Giocano quasi sempre a un tocco, pallone sul filo dell’erba, traiettorie come colpi di rasoio. Chiellini annusa pericoli ovunque e, al solito, ci mette mestiere, gomiti, tibie. Urla a Jorginho di prendere Messi, che in realtà cammina. Quindi dovrebbe essere piuttosto facile. Solo che quello è Messi. Sparisce e ricompare. Così arriva Barella, e lo frulla nell’aria: Messi però riatterra, si rialza e riparte. Gira intorno a Di Lorenzo, che racconterà ai nipoti di averlo visto dal vivo solo per qualche istante, entra in area e l’appoggia facile a Lautaro, che la spizza in rete.
Scarabocchio sulla Moleskine: dev’esserci scritto che l’Argentina è in vantaggio e l’Italia, con cupa ostinazione, cerca di palleggiare. Chiaro che andiamo a sbattere. Ci mettiamo corsa, sprazzi di rabbia, confusione. Certezze: Raspadori chiaramente non è un’ala, Bernardeschi con i suoi dribbling gnè gnè si marca da solo, Belotti è Belotti. C’è qualcosa di irragionevole, di molto ostinato e presuntuoso, nell’atteggiamento tattico azzurro: c’è — va detto — quel certo modo di vedere la vita e il calcio che a Roberto Mancini piace un sacco.
Si alza: dice a Emerson di salire sulla fascia. Ma Emerson lo guarda: ho Di Maria che mi punta, mister.
Di Maria è uno spettacolo. Un’ala come dev’essere un’ala. Il gol del raddoppio è suo ed è delizioso (anche il lancio di Lautaro, in verità). Dybala galleggia tra i nostri centrocampisti. Intontiti, letteralmente. Mancini torna dagli spogliatoi e usa il materiale umano che ha: fuori Bernardeschi, Belotti e Chiellini, dentro Locatelli, Lazzari e Scamacca. Sono i cambi che si merita il calcio italiano (per capirci: Lazzari e Scamacca qui in Premier non giocherebbero in nessuna delle prime sei squadre).
Il terzo gol è di Dybala (Santo Cielo come tratta il pallone, ma come può la Juve fare a meno di un calciatore con tanta classe?).
Appunto finale sulla Moleskine: ricordarsi di celebrare bene Giorgione, un grande calciatore, rispettato anche dai calciatori avversari, e soprattutto dai tifosi avversari.
Fatto.
Non c’è altro.
L’ultimo articolo spedito da questa tribuna stampa, la notte dell’11 luglio scorso: con una febbrile euforia, con i whatsapp che arrivavano dall’Italia, e noi cronisti al seguito della Nazionale a farci selfie spalle al campo, il pensiero eccitante di un mondiale al sole del Qatar.
Stasera, queste ottanta righe amare.