LA “VOCE DELL'ATLETICA” APPENDE IL MICROFONO AL CHIODO - IL 65ENNE FRANCO BRAGAGNA, STORICO TELECRONISTA SPORTIVO DELLA RAI, FA SAPERE CHE QUELLA DI PARIGI SARA’ LA SUA ULTIMA OLIMPIADE ESTIVA DIETRO AL MICROFONO: "DOPO L'EDIZIONE INVERNALE COSA FARÒ? FORSE DELLE CONSULENZE O LEZIONI DI GIORNALISMO. NON CI HO ANCORA PENSATO" - L'INCIDENTE IN RAI NEL 1991, DOPO UN ANNO DALL'ASSUNZIONE: "CADDI DALLE SCALE E PERSI 10 ANNI DI MEMORIA. L'INFERMIERA TENTAVA DI..."
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Estratto dell'articolo di Cesare Monetti per www.avvenire.it
Tra pochi giorni saranno 65 anni di vita e quasi cinquanta di sport raccontato davanti a un microfono, da trenta la voce dell’atletica leggera per la Rai. Madre veronese, padovano di nascita perché il padre, infermiere, lavorava lì in quegli anni, quello stesso padre poi venuto a mancare a soli 42 anni. Da lì un trasferimento da bambino a Bolzano.
Quattro figli e una moglie, uno studioso assoluto di tutte le discipline sportive, Franco Bragagna è senz’altro uno dei telecronisti più apprezzati e preparati, ma anche schivo e riservato. La passione è la guida di tutto, il sogno da sempre di fare il telecronista e dunque l’esordio con Radio Quarta Dimensione a metà degli anni ’70, a soli 16 anni, commentando con successo una partita di hockey ghiaccio.
In Rai dal 1990 e un incidente nel 1991 che gli ha cancellato dieci anni di memoria: « La notte del 5 gennaio 1991 ero nella sede Rai di piazza Mazzini a Bolzano e tra il terzo e il quarto piano del palazzo sono caduto dalle scale. Mi sono risvegliato al pronto soccorso ma non ricordavo nulla. L’infermiera, che conoscevo ma che in quel momento per me era una sconosciuta, tentava di farmi ricordare che avevo una moglie e un figlio.
Niente, non ricordavo almeno gli ultimi dieci anni della mia vita. Negli anni ho dovuto ricostruire tutto». Nonostante questo “vuoto”, inizia a commentare le Olimpiadi per Radio Rai da Barcellona 1992 seguendo radiocronache di tiro a segno, tiro a volo e poi atletica, ma anche in quelle invernali per il bob, salto con gli sci, combinata nordica, shorttrack, pattinaggio velocità e hockey ghiaccio. [...]
Perché proprio il telecronista?
«Un sogno da sempre, volevo commentare l’atletica leggera. Negli anni ho rinunciato a promozioni di carriera e a commentare il ciclismo e lo sci alpino, dicendo sì solo allo sci di fondo».
Se non fosse stato atletica, avrebbe fatto comunque giornalismo?
«Sì, probabilmente di esteri, non solo intesa come grande politica internazionale, ma anche raccontando storie, anche piccole ma interessanti e di valore che ci sono nel mondo».
Quale il vero ruolo del telecronista?
«Accompagnare e aggiungere. Con la squadra italiana di atletica più forte di tutti i tempi è più facile, chi segue da casa è più attento perché si vince, è ben predisposto ad ascoltare. Prima era più difficile raccontare di atleti che magari perdevano e far capire che comunque erano persone, con la loro identità, con la loro storia personale di uomini e donne».
[...] Quanto è difficile raccontare con grande enfasi un oro olimpico?
«Nella storia il telecronista ci entra con le grandi vittorie, il Marcello, pensando a Mastroianni, da me gridato a Marcell Jacobs dopo l’oro di Tokyo sui 100 metri o ancora il “bravo bravo bravo” a Stefano Baldini nel trionfo olimpico 2004. Deve venire naturale, un’enfasi portata dall’emozione del momento. Sono assolutamente della scuola del “non scriversele prima” come altri colleghi.
A volte i successi arrivano improvvisi proprio come i 10 minuti magici Jacobs-Tamberi a Tokyo o come l’oro mondiale di Fabrizio Mori. Nelle maratone come con Baldini o Giacomo Leone quando ha vinto la martona di New York hai tempo per metabolizzare il successo che sta per arrivare. La scintilla per descrivere in maniera “storica” un successo è la grande emozione che si scaturisce e che deriva solo dalla grande passione per lo sport e nel fare telecronaca. Il telecronista in quel momento non può pensare che sta lavorando».
In quale altra epoca avrebbe voluto commentare?
«Le Olimpiadi del ’36 perché già si capiva che qualcosa di grave sarebbe accaduto, quelle di Londra 1948 per il ritorno alla vita, quelle di Messico ‘68 perché erano gli anni delle proteste e sono le prime Olimpiadi di cui ho ricordo seppur fossi ancora un bambino. E poi quelle di Monaco 1972 dove già ero più cosciente e dove avrei potuto commentare la tragica cronaca per l’attentato terroristico».
L’atleta che più ha ammirato in questi decenni?
«Usain Bolt, l’essere umano e l’atleta in assoluto più forte della storia, il prototipo di un uomo perfetto non rincontrabile in futuro. Anche Michael Phelps è stato eccezionale e ha vinto più medaglie, ma il nuoto è molto meno usurante fisicamente».
Parigi 2024, che Olimpiadi saranno?
«Sarà un’edizione dei Giochi in stato di guerra dopo tanto tempo. Guerre ce ne sono sempre state, ma queste in Ucraina e in Palestina-Israele sono presenti e vicine. Inoltre non ci sarà la Russia così come sappiamo la politica francese in queste settimane non gode di grande serenità».
E per l’atletica italiana?
«Gli azzurri non sono mai stati così forti, da anni abbiamo una nazionale multietnica ma questi ragazzi di oggi sono di alto livello mondiale. Siamo i più forti in Europa, saremo protagonisti e non una sorpresa, siamo molto attesi da tutto il mondo. Ragazzi che lasceranno il segno, poi le medaglie si vincono o si perdono per un centimetro o un millesimo di secondo».
Ultima olimpiade estiva per Franco Bragagna, poi solo le ultime invernali. Cosa farà in pensione?
«Non ci ho ancora pensato, mi piace insegnare e ho fatto anche delle supplenze insegnante di lettere. Potrei fare delle consulenze, impartire lezioni di giornalismo o comunicazione… vedremo».