MA MOURINHO NON ERA UNO “SCIAMANO DA SAGRA”? GIANCARLO DE CATALDO AGITA LA SCIARPETTA GIALLOROSSA - "MENTRE LA CINGHIALA, SIMPATICA E TRACAGNOTTA COATTELLA, METTE IN DISCUSSIONE LO STORICO RUOLO DELLA LUPA COME ANIMALE TOTEMICO DELLA CAPITALE, IL TIFO ROMANISTA PASSA DA "MAI 'NA GIOIA" A "LA JOYA". IL MERITO? DI MOURINHO. NELLA PARTE GIALLOROSSA DELLA CITTÀ L'IDENTIFICAZIONE CON IL CONDOTTIERO HA DEL MISTICO. RICORDA CERTE EPOPEE SUDAMERICANE EVOCATE DA OSVALDO SORIANO" – QUANDO LO SCRITTORE TIFOSO DEL REAL JAVIER MARIAS DEFINI’ MOU “UNO SCIAMANO DA SAGRA”
-Giancarlo De Cataldo per “la Repubblica”
Mentre la cinghiala, simpatica e tracagnotta coattella, mette seriamente in discussione lo storico ruolo della lupa come animale totemico della Capitale, il tifo romanista passa da "mai 'na gioia" a "La Joya". Il merito? Di Mourinho, ovvio. Se Mourinho aggrotta la fronte, a Roma piove. Se sorride, si fa subito sereno. Se Mourinho elogia un calciatore, lo adottiamo all'istante. Se storce il naso, il poverino è dannato: a meno di impervi recuperi, sempre possibili data la notoria generosità dello Special One.
Consegue che un solo motivo ha indotto Paulo Dybala, corteggiato da mezzo mondo, a scegliere la Roma: l'intervento di Mourinho. Perché quando lui si muove, non c'è agente riottoso, concorrente tenace, Opa ostile che tenga: se Mourinho ha deciso che il matrimonio s' ha da fare, si fa. La chiamata di Mourinho è come la prima alla Scala per il tenore, Hollywood per l'attore, la prima serata in tv per la conduttrice o il conduttore.
Questo sentimento si registra, oggi, nella parte giallorossa della città.
L'identificazione con il condottiero ha del mistico. Ricorda certe epopee sudamericane evocate da Osvaldo Soriano, qualcosa che ha a che vedere tanto con il sogno che con l'utopia.
Passione che si infiamma di incendi improvvisi e svela l'anima mediterranea di questa città, per tanti altri versi fredda, ironica, distaccata quando non cinica. Ma non nella sua parte giallorossa.
Un così massiccio investimento emotivo espone, ovviamente, a bruschi risvegli, crolli repentini, delusioni cocenti. Ciò che si è lasciato per strada, le tante occasioni perse, hanno alimentato una mistica della sconfitta, un eroismo dei belli&perdenti che è la cifra estetica più profonda del tifare giallorosso.
Il gol di Turone, la finale col Liverpool, il tonfo casalingo col Lecce e quello con la Samp sono pagine scolpite accanto alle prodezze di Falcao, alle serpentine di Totti, al coraggio di Agostino Di Bartolomei, l'indimenticabile capitano che firmò l'appello di Amnesty International contro i generali torturatori che volevano trasformare in una gaia passerella il mundial argentino del '78.
I tanti momenti tristi e i pochi esaltanti si confondono in un'epopea che li rende ugualmente amati, gli uni e gli altri. Che sia colpa dell'arbitro o del destino cinico e baro, non ha importanza. Sentire da giallorossi significa diventare artisti del procedere a braccetto con la sconfitta. Coloro che sono abituati a vincere tanto, e sempre, non riusciranno mai non dico a condividere, ma nemmeno a compenetrare un simile modo di sentire. La fredda e razionale consuetudine con la vittoria di un bianconero o di un merengue continuerà a contemplare con un misto di distacco, diffidenza e complesso di superiorità questo diverso sentire. L'estremismo comunicativo e la furia arroventata di Mourinho sono entrati in sintonia con il dna giallorosso così come i suoi veementi attacchi contro il nemico di turno.
Non è un caso che il grande scrittore Javier Marias, arcitifoso madrilista, abbia dichiarato di odiare Mourinho: dal suo punto di vista, una posizione ineccepibile. Anche perché - è questa è la vera novità - a Mourinho piace dannatamente vincere. Va da sé che il culto della personalità, per quanto affascinante, non è esaustivo. La nuova Roma è figlia ugualmente di un manager di lusso e di un presidente anomalo: quante squadre possono vantare ai vertici aziendali un signore che ha diretto un film su un raffinato falsario d'arte e prodotto un Clint Eastwood e una Palma d'Oro a Cannes? Ultima notazione: i due scudetti del Dopoguerra si sono vinti con un portiere saracinesca, uno stopper arcigno, un centravanti di valore e un paio di fuoriclasse in mezzo al campo. E in omaggio al sentire di cui sopra, non aggiungiamo altro.