OTTANTA VOGLIA DI PABLITO – ENRICO VANZINA: "GRAZIE A PAOLO ROSSI, DOPO UNA STAGIONE DI SANGUE E TERRORE, SIAMO ENTRATI NEGLI ANNI '80. QUELLA SERA AL BERNABEU FU QUALCOSA DI PIÙ DI UNA PARTITA DI CALCIO, FU IL PASSAPORTO PER ENTRARE NELLA LEGGENDA DEL PAESE DAVVERO PIÙ BELLO DEL MONDO. COMINCIÒ L'ERA DEL MADE IN ITALY E..." – E POI PERTINI, LA PROFEZIA DI MICK JAGGER, IL VERDONE DI “BOROTALCO”: SÌ, SIAMO TUTTI FIGLI DI BEARZOT, ORFANI DI PAOLO ROSSI E DI QUELL'ESTATE CHE CI HA STREGATO – VIDEO
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Enrico Vanzina per il Messaggero
Lo ricordo come se fosse oggi quel mio 11 luglio del 1982. Ricordo la tensione, la paura, la speranza, la fede, la gioia, le lacrime. E poi quella sera, io in giro come un matto per via del Tritone, con in mano il tricolore, a sventolare la nostra bandiera tra la folla in preda al delirio.
Eravamo Campioni del Mondo.
Dietro a questi ricordi indelebili c' era un gruppo formidabile di persone. Le conosciamo a memoria. Grandi atleti, grandi sportivi, grandi politici, ma soprattutto grandi uomini. Quelli, come si dice, che fanno la storia.
E tra di loro, un quasi ragazzino, un talento nostrano che riuscì a riportarci un po' tutti con le mani levate al cielo, come usava fare lui quando segnava, il capocannoniere dei Mondiali, dal soprannome esotico Pablito, toscano dalla gentilezza insolita, timido, riservato, un bravo ragazzo italiano, semplice nel cognome e coraggioso nei fatti: Paolo Rossi.
Adesso che ci ha lasciati fa tenerezza ricordare la sua vita, le sue imprese, con l' alone di malinconia per la sua scomparsa precoce che lo accompagnerà verso un' altra vita. Eterna.
Se ci chiedessimo cosa ha rappresentato Paolo Rossi per il nostro paese mi verrebbe da dire: grazie a lui, dopo una stagione di sangue e terrore, noi italiani, con due anni di ritardo, siamo entrati negli Anni 80. Sì, quella sera allo stadio Bernabeu, Paolo Rossi, alla testa dei suoi compagni, ha strappato definitivamente la cappa di dolore che pesava da anni sul nostro paese. Ci ha avvicinati al cielo. Un cielo azzurro come la sua maglia. Un cielo finalmente rischiarato dalla voglia di rinascere e di ripartire. E infatti tutto si rischiarò e ripartimmo.
Con quel biglietto da visita di carattere sportivo l' Italia rialzò la testa e intorno a noi cominciarono a guardarci come vincenti. E infatti vincemmo. Iniziò la grande stagione del made in Italy, della moda italiana che sbarcava in tutto il pianeta, il cibo, il vino, la Ferrari che riprendeva a vincere nel campionato costruttori, il mare italiano che attraeva il mondo intero, l' Italia come luogo iconico della migliore qualità della vita. Quella dell' 11 luglio del 1982 fu qualcosa di più di una partita di calcio, fu il passaporto per entrare nella leggenda del paese davvero più bello del mondo.
Insieme a Paolo Rossi, simbolo calcistico di quel trionfo epocale, c' era un grande presidente: Sandro Pertini. Tutti i presidenti dicono di voler essere il presidente di tutti, ma non me ne vogliamo alcuni se ad esserlo per davvero fu proprio Sandro Pertini.
Lui, il presidente socialista e partigiano, che ebbe la forza di sdoganare il valore del tricolore dopo anni cupi di massimalismo politico. Perché quella sera, sulle finestre di tutti gli italiani, apparve dopo anni di inutili sospetti nazionalistici e di violenta contrapposizione ideologica, la bandiera italiana. Fu grazie a Sandro Pertini e a Paolo Rossi. Ritrovammo l' orgoglio, a destra, al centro e anche a sinistra, di sentirci uniti da quel tricolore vincente. Da allora, nei momenti più difficili per il nostro paese, quel tricolore risalta fuori sui balconi e sui davanzali, a testimoniare una unità non solo necessaria ma veramente sentita. Forse oggi non ce ne rendiamo più conto ma allora fu qualcosa di straordinario.
Nel decennio dopo, quegli Anni 80 durante i quali l' Italia salì di grado, sono stati criticati usando dei pregiudizi di nuovo ideologici. L' edonismo, il berlusconismo, il craxismo, insieme alle parabole di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, hanno monopolizzato tutto e il decennio 80 è stato messo all' indice come momento di decadenza reazionaria.
Oggi, però, soprattutto i giovanissimi, hanno riscoperto quegli anni che fanno da sotto testo alla loro visione estetica. E in cima a quel periodo, in verità per molti versi formidabile, svetta la figurina Panini di Paolino Rossi, con le sue braccia esili rivolte verso il cielo. Peccato che Rino Gaetano, il quale aveva cantato quasi come una premonizione il cielo è sempre più blu , era scomparso un anno prima senza poter vedere che quel cielo, e stavolta sul serio, era tornato a colorarsi con la vena cromatica della gioia.
Grazie Pablito. Grazie per aver reso veri, per Italia e per tutti noi , quei bellissimi sogni che non svaniranno mai più.
L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL 1982
Giulia Zonca per "la Stampa"
L'estate del 1982 è una promessa di felicità che ancora riesce a inebriare.
L' Italia ci arriva stravolta: anni di piombo e petrolio, anni scuri, da sopportare una crisi dopo l' altra e all' improvviso solo azzurro, un colore abbagliante in mesi di caldo torrido che scioglie le inibizioni.
In strada, a torso nudo, con le macchine scoperte e le bandiere, ma pure prima di vincere, quel mondiale si vede così: poco vestiti, con le finestre aperte, mescolati, con una casa che risponde all' altra, in un Paese che si dà appuntamento. È tutto pieno, saturo di colori, di cibo, di musica e di possibilità. E quando arrivano le notti di Pablito, la nazione si sovrappone al proprio idolo come non era mai successo prima e come non è più capitato. I tre gol al Brasile sono l' unità di misura di quel tempo, il formato maxi.
«Rocky 3», le prove di «Fantastico 3», «Thriller», il disco più venduto della storia che sarebbe uscito in quell' autunno, Armani sulla copertina di «Time» e il Mondiale in tasca, in tasche che si scoprono ricche perché i soldi girano ed è quasi strano. In effetti ci stiamo indebitando, un buco che dobbiamo ancora riassorbire, ma allora non lo sapevamo, le previsioni di crescita erano infinite e ci si correva dietro. Il Paese sente di meritare la leggerezza che respira, fino a essere a semplicemente frivolo, eppure non è così superficiale come lo si dipinge proprio perché non abbiamo la faccia di Reagan, non siamo cowboy con il copione, siamo Paolo Rossi. Un tipo che esulta per gol storici come fa chiunque altro alla partita del dopolavoro, uno che ha letteralmente il nome di chiunque altro e che si pianta in quel luglio mai più uscito dalla testa.
L' estate del 1982 la ricorda pure chi non era nemmeno nato, se non altro perché di sicuro a un certo punto se l' è trovata tra i piedi, nel sorriso beato di un genitore perso nella propria infanzia, nel paragone infinito con un benessere di cui non si ricorda il gusto, ma se ne conosce il potere. Ben oltre quello d' acquisto. Non ricchezza, scelta.
Non sicurezza, riparo.
Nel ritiro dell' Italia in Spagna si sente «Sotto la pioggia» di Antonello Venditti, una pioggia che non ci bagna e invece ci racconta: «Il presidente dietro i vetri un po' appannati/ fuma la pipa/ il presidente pensa solo agli operai» ed è pure il presidente che giocherà a scopone con gli azzurri, con l' Italia intera.
Fiducia, sempre in quella canzone, diventata casualmente tormentone nelle stanze da mundial, c' è la colomba che vola, la stessa paloma di Picasso disegnata sul campo di Barcellona nella cerimonia inaugurale che dà il via all' avventura. In realtà c' è lo scandalo del Banco Ambrosiano, non stiamo in un Eden senza problemi, però abbiamo allargato gli orizzonti e sembra tutto meno ridotto, meno scontato.
Se prima ogni brutta notizia usciva dalla tv per piazzarsi direttamente in salotto, ora c' è altro a cui pensare. Si diffondono i personal computer, non li ha ancora quasi nessuno nella case sintonizzate sui 44 gradi spagnoli eppure è già un oggetto del desiderio, una ventata di futuro che spinge le angosce dove non danno più fastidio. E poi c' è «E.T», non lo abbiamo ancora visto perché in Italia esce in dicembre, ma l' 11 giugno è entrato nelle sale americane ed è già l' extraterrestre da scoprire, la favola che cambia la dimensione dei sogni. Si tende verso l' infinito, si sta per vedere «Blade Runner» e non ci sono limiti se segni tre gol al Brasile, se batti l' Argentina, se vai in finale dopo 44 anni.
Dopo tanta di quella tristezza da digerire che ogni singola rete di Rossi è una liberazione, una soddisfazione, è un motivo per festeggiare, volare, esagerare.
Undici luglio, giorno della sfida con la Germania Ovest e pure del concerto dei Rolling Stones a Torino. Loro, come noi, vengono da anni complicati, dopo il successo più sfrenato, si sono sentiti sopraffatti, si sono drogati troppo, confusi, stancati. Poi Mick Jagger sale sul montacarichi tappezzato di bianco, rosso e verde con la maglia azzurra. Non mette solo quella di Pablito, ma quando indossa la sua, ci somiglia persino un po'.
La faccia lunga, le spalle strette, le caviglie sottili che sbucano dai fuseaux che Rossi non avrebbe indossato mai. L' omaggio esalta, sfida la scaramanzia. Le labbra più sexy di sempre annunciano: «Vincete 3-1». La butta lì e gli riesce. Se ne vanta il giorno dopo, quando l' introduzione gliela fa Gentile, campione del mondo.
E per questo il numero cambia dal 20 al 6, ma sono tutte cifre su cui puntare, da sfoggiare, esibire. In mezzo a tanta gioia capita di inventarsi persino altre vite: «Un bel giorno, senza dire niente a nessuno, me ne andai a Genova e mi imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana», tra i Rolling Stones che in azzurro sembrano persino avvicinabili e i ragazzi che hanno vinto la Coppa del Mondo c' è il Verdone di «Borotalco». Un film in cui il protagonista finge di essere più brillante e di quanto sia e non è il solo, ma ci si vanta senza cattiveria: siam tutti figli di Bearzot. Tutti orfani di Paolo Rossi e di quell' estate che ci ha stregato.