"IO PIU’ ASCIUTTO DI QUANDO GIOCAVO? IL GIORNO IN CUI HO SMESSO, HO CHIUSO ANCHE CON LE SIGARETTE. NE FUMAVO UNA INFINITA’..." – PAULO SOUSA, EX TECNICO DI FIORENTINA E SALERNITANA, APRE LE VALVOLE CON IL "CORSPORT" – LA ROTTURA CON MOGGI E GIRAUDO E L’ADDIO ALLA JUVE DA CALCIATORE, IL RIMPIANTO FIORENTINA DA TECNICO, LA VITA A DUBAI: “IO TRADITORE PER SALERNO? INCONTRAI IL NAPOLI E POTEVO FARLO. LA SALERNITANA NON SI FECE VIVA” - IL MODELLO GASPERINI E MOURINHO “INIMITABILE”
-Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport
Quanto mi piacerebbe riuscire a trasferire sulla carta l’energia di Paulo, l’entusiasmo di Paulo, la passione di Paulo, la pienezza di Paulo e la fragilità di Paulo, condizione con la quale fa i conti da sempre e che soltanto negli ultimi anni è riuscito a controllare e vincere. La sua intelligenza e la sensibilità, beh, quelle emergono con chiarezza dalle risposte che fornisce nel corso di una lunga videochiamata, che è un mosaico di momenti ripartiti su più temi e esperienze??
Paulo Sousa, 54 anni, allena a Dubai lo Shabab Al-Ahli, è primo in classifica nella Pro League degli Emirati, sei partite e altrettante vittorie. Ieri era appena rientrato dal Kuwait: «Ma qui è tutto diverso rispetto agli altri Paesi del Golfo» precisa senza che gli sia chiesto. «Dubai è cresciuta verticalmente, qui transita il mondo intero e qui riescono a dominare tutte le culture. La qualità della vita è alta. Sul piano architettonico e della progettualità sono formidabili anticipatori, il Museo del Futuro mostra come sarà il 2030, impressionante».
Più tirato e asciutto di quando giocava, ha un aspetto invidiabile e il sorriso aperto.
«Il giorno in cui ho smesso, ho chiuso anche con le sigarette. Ne fumavo un’infinità, anche prima di addormentarmi e appena sveglio, prima della partita, all’intervallo e subito dopo. Giusto in campo non me lo permettevano (sorride)».
Paulo, devo dire che non ti sei fatto mancare proprio nulla. Dal Portogallo arrivasti in Italia, alla Juve, esattamente trent’anni fa. Poi Germania, Grecia e Spagna; da allenatore, Inghilterra, Ungheria, Israele, Svizzera, Italia, la prima volta nel 2015 a Firenze, Cina, Francia, Polonia, Brasile, di nuovo Italia, a Salerno, e adesso gli Emirati.
«Come un vero portoghese. Siamo un popolo di instancabili viaggiatori. Instancabili e curiosi».??I Magellano del calcio.
«O Cristoforo Colombo, ce lo dividiamo noi, l’Italia e la Spagna. Io sono affamato di conoscenza. Da piccolo ero invece molto chiuso, un bambino introverso, incapace di comunicare con l’esterno. A quattordici anni lavoravo già nel calcio, che mi ha stimolato a crescere, aprirmi... L’arrivo in Italia è stato fondamentale, ho avuto modo di misurarmi con campioni dai quali ho imparato tanto. Devo dire che ci ho messo un’attenzione speciale, troppa era la voglia di uscire dalla mia gabbia naturale».
Un paio di nomi.
«Vialli e Baggio. La qualità di Roberto, l’applicazione che metteva fermandosi a lavorare sulla tecnica individuale anche dopo l’allenamento, il suo atteggiamento nei confronti dei compagni e dei tifosi. E Gianluca, che sarebbe attuale ancora oggi per la capacità di analisi della partita, il percorso fisico, un centravanti oltre il tempo».
Chi ti conosce bene un giorno mi parlò della tua fragilità.
«È vero. Ero talmente fragile da reagire con l’impulsività, vulnerabile, ma anche umano. Crescendo, ho sempre dato molto peso all’aspetto relazionale, ai valori individuali, all’altro».
Impulsivo al punto da rompere con Moggi e Giraudo e lasciare la Juve. Si disse che non accettasti di far parte della Gea.
«Andai dove mi volevano bene al cento per cento. Ero fragile, impulsivo, ma ho sempre creduto in me stesso. Oggi capisco cose che allora non riuscivo a comprendere. Il calcio non ha logica. Le decisioni che vengono prese derivano da conoscenze e network, le reti di amicizie e di controllo. Me ne sono fatto una ragione, peraltro senza adeguarmi, e vivo sempre meglio. Non sento più il peso o la necessità del giudizio degli altri, posso decidere in libertà guardando al calciatore».
Spiegati meglio.
«Mi chiedo sempre cosa potrei dare al calciatore, come svilupperei le sue potenzialità, è un gioco all’infinito che non può essere circoscritto a una squadra o a un Paese. Anche se devo dire che l’Italia è la tappa imprescindibile, il suo calcio un punto di riferimento assoluto e di verifica. In questo periodo vedo una fioritura di tecnici preparatissimi e di proposta. Alla difesa bassa, all’attesa passiva e al contropiede rispondono con il pressing alto, la costruzione verso il corridoio centrale o quello laterale».
(…)
Gasperini.
«Gasperini, che ogni anno cambia qualcosa, aggiungendo soluzioni a un gioco che da tempo non è più soltanto uomo contro uomo. Lui è quello che ha influenzato di più il calcio italiano nell’ultimo periodo».?
Non ti perdi un solo passaggio.
«Ho girato il mondo e sono stato bene ovunque, ma l’Italia mi ha dato qualcosa in più, non a caso l’italiano è la lingua che domino meglio».
La Fiorentina resta un rimpianto?
«Siamo arrivati a tanto così dal fare qualcosa di straordinario. La proprietà aveva - diciamo così - distrazioni familiari, ma quello resta un anno strepitoso, di notevole valorizzazione della rosa. Chiesa, Marcos Alonso, Bernardeschi, Kalinic, Ilicic, Borja, tutti via a un valore superiore a quello dell’acquisto».
A Salerno ti diedero del traditore.
«È il posto dove sono stato meglio, lo staff, la gente, l’amicizia con Rampulla, ritrovato dopo tanti anni, le nostre famiglie, la Costiera. Insieme al City avevamo la serie migliore in Europa, e segnavamo su tutti i campi».
E allora?
«Il contratto prevedeva il mantenimento della categoria e una via d’uscita per entrambe le parti, ero quindi libero di incontrare chi volevo. In quell’occasione il Napoli, un grande club, lo scudetto, le ambizioni. Per conoscerci, nessun accordo. La Salernitana si fece viva solo a un giorno dalla scadenza».
La Roma ti ha cercato?
«Anni fa Franco Baldini. Poi più nulla... Ma qui a Dubai hanno fatto investimenti enormi per me, mi fanno star bene, voglio vincere con loro».
A Roma ha lasciato migliaia di “orfani” Mourinho.
«Lui ha cambiato la storia di noi allenatori portoghesi. Il primo a capire l’evoluzione del calcio anche in termini di comunicazione. Inimitabile»