"MIO PADRE ERA COME HITLER" – JORGE LORENZO, L'ULTIMO SPORTIVO CON UN GENITORE OSSESSIVO CHE LO TIRANNEGGIAVA: "MI HA PORTATO IN QUESTO MONDO PERCHÉ ERA LA SUA PASSIONE. MI HA COSTRUITO UNA MOTO QUANDO AVEVO TRE ANNI. ERA COME UN SERGENTE" - “IL RITIRO? DOPO 18 ANNI DI SACRIFICI ERA ARRIVATO IL MOMENTO DI GODERSI LA VITA. ORA POSSO MANGIARE QUELLO CHE VOGLIO”
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La storia di Open, la autobiografia bestseller di Agassi, è un libro aperto. Ha avuto il successo che ha avuto perché ha tradotto in letteratura i “traumi” di decine di campioni e sportivi, forzati della vittoria, cresciuti da genitori despoti. Alla lunga lista si aggiunge Jorge Lorenzo, cinque volte campione del mondo di motociclismo che, intervistato da Fran Rivera per il programma ‘Espejo Público’, s’è lasciato andare ad un raro sfogo intimo. Dicendo, ora che ha smesso di correre, cose tipo “mio padre era come Hitler”.
“Sono più felice ora di quando correvo. Sono molto perfezionista, e quando faccio qualcosa la faccio al mille per mille. Pensavo tutto il giorno a come stare meglio, doppia seduta praticamente ogni giorno con 6 o 7 ore di allenamento. Mi manca meno vincere. Sono sempre stato molto competitivo, fin da piccolo ho sempre avuto quel gene competitivo. Quello che mi piaceva era vincere, più che andare in moto. Diciamo che andare in moto era lo strumento per vincere nella vita“.
“Mio padre mi ha portato in questo mondo perché era la sua passione. Mi ha costruito una moto quando avevo tre anni. A quell’età era la mia prima gara. Mio padre era come un sergente. Era una specie di Hitler, o un allenatore di ginnastica cinese o russo, tipo. Mi ha insegnato molti valori sportivi che mi hanno fatto arrivare dove sono. Come la disciplina… Che nulla accade per fortuna, ma per lavoro. Me lo sono portato nelle vene”.
Lorenzo è uno degli “antipatici” del motociclismo, mai un sorriso, mai una battuta.
“Lo sport in generale richiede molto egoismo da parte tua. Devi essere egoista perché lo sport porta a questo. Vuoi la fetta di torta più grande possibile. È importante dimenticare tutto quando finisci una gara e devi anche andare d’accordo con i tuoi rivali. Nel 2019 ho firmato per la Honda, è stato super emozionante, la gente parlava di ‘Dream Team’ con Marc Márquez, eravamo i due piloti che avevano vinto di più nell’ultimo decennio. Ma mi sono rotto lo scafoide nel precampionato, e poi mi sono rotto una costola nella prima gara, non mi sono adattato alla moto, la Honda era una moto sorprendentemente complicata e i risultati non sono arrivati. Me ne sono andato”.
Lorenzo spiega anche le ragioni del ritiro:
“Ho vinto gare con 20 secondi di vantaggio e ho fatto gare in cui sono arrivato ultimo. Sei la stessa persona, ma la tua moto cambia e potrebbe essere il circuito che non va bene o anche le condizioni meteorologiche che influenzano. Puoi passare dall’essere il migliore di tutti ad essere il peggiore. Tra il non adattamento alla squadra e gli infortuni, mi sono detto che dopo 18 anni di sacrifici era arrivato il momento di godersi la vita. Ora sono entusiasta di fare quello che non facevo prima, soprattutto posso mangiare quello che voglio. Per i piloti, più pesi meno la moto corre, quindi devi trovare un compromesso tra avere muscoli ed essere forte e pesare poco. A 16 anni era più o meno come adesso, 1,71, ma pesavo 52 chili, ero asciutto e pallido, come un ciclista ma senza gambe. Adesso peso 70 chili, quasi 20 in più”.