"IL NAPOLI NON HA PIU’ NULLA DI EROTICO: E’ DIVENTATO TRISTE" – "IL NAPOLISTA" E I DANNI INDUSTRIALI PROVOCATI DA DE LAURENTIIS: “UN GIORNO SÌ E L’ALTRO PURE IL NAPOLI ERA SUL "NEW YORK TIMES", "L’EQUIPE". ORA PAREGGIA CON L’UNION BERLIN E NON È CAPACE DI VALORIZZARE OSIMHEN OTTAVO AL PALLONE D’ORO – FA MALE PRENDERE COSCIENZA DI UN CAPITALE IN DISPERSIONE COSTANTE…”
-Mario Piccirillo per ilnapolista.it
È forse già arrivato quel giorno in cui il Napoli deve rendersi conto che no, il mondo non ce l’aveva con lui, e di certo non l’amava incondizionatamente: il mondo di lui se ne fotteva. Il giorno, sempre lo stesso da troppe settimane ormai, in cui il Guardian, il New York Times, El Paìs o L’Equipe non scrivono più una riga, sul Napoli. E se c’è, quella riga, va rintracciata nel sottoscala dell’impaginazione, rimescolata in pezzi che parlano d’altro, nei trafiletti delle brevi che ora si chiamano “flash”. Nessun flash. Le luci abbaglianti della primavera scorsa si sono spente per sopraggiunta mestizia.
Il pareggio svogliato con l’Union Berlin in Champions League in uno stadio dimesso (coi tifosi che lanciano bombe carta agli ultras ospiti invece di tifare) ormai sancisce il traumatico ritorno all’ora solare del Napoli: era così stanco di sbrilluccicare che s’era andato a fare un pisolino in estate. E s’è risvegliato al buio, in autunno. Se la prende, adesso, con chi ha spostato proditoriamente le lancette dell’orologio avanti, come i camerieri del Capodanno di Fantozzi. I giornalisti “cattivi” che fanno le domande cattive, che scrivono inesattezze da correggere espresse via comunicato. Si sbatte perché fondamentalmente nessuno se lo fila più. Fa male prendere coscienza del patrimonio in dispersione costante. Il gioco, dicono tutti. Fosse solo quello, il problema.
L’1-1 con i tedeschi sul palcoscenico più “smarmellato” (“apri tutto” direbbe il direttore della fotografia di Boris) del calcio mondiale è paradigmatico. Lì dove persino il Milan indossa le paillettes, e l’Inter spadroneggia. Il Milan poi è esemplare: sei in crisi, hai perso in casa con l’Udinese… vai a fare un partitone con il Psg. Vinci, ma quello è quasi un di più. Rifulgi, risplendi. Quello è il senso. Il Napoli invece s’è arreso alla noia, ad un lento caracollare svogliato e senza idee. Ha scelto di galleggiare. Persino la “grande bruttezza” della Juve di Allegri è più affascinante, al mercato dell’immagine
Il Napoli di Spalletti faceva la parte da protagonista della bolla che l’anno scorso ha trasformato la città in una meta turistica quasi isterica. Quella che in fulminante pezzo sul Foglio di oggi Michele Masneri descrive come “la nostra Cuba possibile“. I Quartieri addobbati a festa super-instagrammabili, e i palazzi che grandinavano le facce dei giocatori, erano aderenti al fenomeno.
Il Napoli ha ancora in rosa il numero 8 del Pallone d’Oro. E invece di “vendercelo” come tale, di goderci Osimhen sul campo ma anche come leva industriale, siamo riusciti ad esportare nel mondo la storiaccia del Tik-tok razzista, il rinnovo non firmato e la patina del separato in casa e infortunato in Nigeria. Un capolavoro. Altro che con 200 milioni vi comprate un piede di Osimhen. Il Napoli ha sotto contratto Khvicha Kvaratskhelia, che per storia e attitudini personali è un asset inestimabile (basta vedere quante volte è già finito, lui, sul New York Times) e lo teniamo inchiodato ad una fascia sinistra sempre più scontata e prevedibile, ai cambi sintomatici di Garcia, ad un contratto da Primavera dell’Inter. Non è tanto quanto già adesso la rosa sia svalutata, l’allarme è in prospettiva. E riguarda, in maniera strutturale, l’intero club.
Il Napoli non sta solo perdendo punti in classifica, o prosaicamente tempo. Il Napoli sta disinnescando la sua carica erotica, il suo esotismo, il suo anticonformismo. Manca d’estro, di stravaganza, di luce. E’ una squadra malinconica in un ambiente sconsolato. In soldoni sempre più fuori mercato. Che è la cosa peggiore di tutte.