Quando #Berlusconi fece la pipì nel Tamigi con #Gullit... pic.twitter.com/D5gnqTqRz6
— FOX Sports (@FOXSportsIT) 18 giugno 2019
Marco Pasotto per la Gazzetta dello Sport
Ci sono notti fuori dal comune che il tempo cristallizza, regalando la magia di conservarle intatte. Ma in questo caso si va decisamente oltre: la notte - quella notte - ha il potere di evocare una mitologia intera, che porta con sé probabilmente la pagina più gloriosa della storia milanista. Quella del Milan di Sacchi, che consacrò la sua rivoluzionaria avventura rossonera il 24 maggio 1989. La notte di Barcellona, quella del quattro a zero alla Steaua e della prima Coppa dei Campioni alzata sotto il cielo di Berlusconi. Arrigo l' ha raccontata con Luigi Garlando, prima firma della Gazzetta, nel libro presentato ieri - «La Coppa degli Immortali» - a una platea di quattrocento appassionati che non finivano di stropicciarsi gli occhi davanti ai signori seduti sulle quattro poltrone di fronte. Da sinistra: Franco Baresi, Arrigo Sacchi, Silvio Berlusconi e Adriano Galliani.
Dietro un trionfo simile c' è un intero universo, che i protagonisti hanno provato a raccontare, anche perché fu un ciclo nato all' insegna dello scetticismo. Nei confronti di Berlusconi, che prendevano per matto quando parlava di una squadra che sarebbe arrivata sul tetto del mondo. E di Sacchi, profeta di un calcio clamorosamente innovativo. «Effettivamente sul mister eravamo un po' prevenuti», conferma Baresi. Costacurta (in sala accanto a Braida, Tassotti, Filippo Galli, Donadoni e Carbone) conferma: «Pensavo fossero metodologie che provenivano da un mezzo pazzo, poi dopo un paio di mesi ci siamo accorti che arrivavamo sempre primi sul pallone». Berlusconi prende la parola spesso: «Volli Sacchi perché avevo visto come giocava il suo Parma», e allora Arrigo interviene: «Firmai lasciando al club carta bianca sulla cifra.
Ebbene, mi ritrovai a prendere meno di quanto guadagnavo a Parma», racconta guardando Galliani. Risate e sorrisi, quando Silvio ricorda una squadra «nata a Pomerio, fra gli esercizi spirituali. Io diventai fratello maggiore dei giocatori e un sostegno per l' allenatore. Trasmisi ai ragazzi il desiderio di diventare vincenti. Fu una società che divenne una famiglia».
E risate anche quando Sacchi definisce Van Basten un «metereopatico» che non si fidava dei medici italiani, o quando Galliani racconta l' acquisto di Rijkaard a Lisbona, con l' irruzione dei tifosi portoghesi infuriati, l' a.d. che si nasconde in bagno «e Braida che si infila il contratto nelle mutande». Oppure quando Berlusconi ricorda una pipì fatta nella notte, dopo un' amichevole estiva, da un ponte del Tamigi assieme a Gullit. Poi la notte torna di nuovo, e stavolta è quella vera. Quella degli immortali di Barcellona e dell' esodo rossonero al Camp Nou. «E' stata la più bella della mia vita», giura Silvio senza tentennamenti.
Quelli semmai ci sono per il Milan dei tempi moderni. Parlare del Milan di allora e di quello attuale è come passare l' unghia sulla lavagna: stride.
«Il Milan mi manca e nell' ultimo anno devo dire che l' ho guardato con dispiacere - dice Berlusconi -, perché è molto diverso da quello che abbiamo creato noi. Anche per il modulo, certo. Ho visto partite troppo difensive, con pochissimi tiri in porta. Giampaolo però ama il bel gioco e ha una mentalità offensiva. Lo voglio incontrare per dargli qualche suggerimento sul modulo e su come impiegare i singoli giocatori». Le vecchie abitudini non muoiono mai. C' è anche un passaggio su Mr. Li: «Era quello che si fece avanti con più decisione. Pensavamo però che si affidasse a una dirigenza diversa e che potesse assumere professionisti veri. Non è andata così. Io di nuovo al Milan?
Non credo, la vita passa. Nei prossimi giorni vedrò Scaroni, gli ho già dato parecchi consigli e forse la scelta di Giampaolo dipende proprio da questi. A Gattuso come giocatore sono molto affezionato, come allenatore ho avuto discussioni per la mancata sintonia sul modulo. Sarri? Non siamo entrati nel vivo di una trattativa.
Conte invece abbiamo pensato potesse essere una buona scelta, poi non ho più seguito la cosa». Su Giampaolo sono ovviamente diversi i commenti.
Ricorda Galliani: «Nell' estate del 2016 io avevo optato per lui.
Poi è stato scelto Montella, che stimo, ma se fosse dipeso solo da me, sarebbe arrivato Giampaolo», mentre Filippo Galli ricorda di essere «andato a vederlo al lavoro a Genova, perché è uno che insegna calcio».
Promosso col massimo dei voti.
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