SALVATE BUFFON DALLA SUA PAURA DI SMETTERE CON IL CALCIO - QUALCUNO RICORDI A BUFFON COSA DICEVA PLATINI SULL’HORROR VACUI CHE ASSALE UN CAMPIONE A FINE CARRIERA: “SALIRE SULLA FOTO RICORDO APPESA AL MURO È LA FATICA PIÙ GRANDE” – A 43 ANNI L'EX CAPITANO DELLA NAZIONALE PROVA A RIMANDARE ANCORA IL MOMENTO DEL RITIRO - “LA VERITA’”: "HA GIA' IL VOLTO DA EX GIOCATORE. A CHE SERVE INSEGUIRE L'ULTIMO ACUTO? DEVE SOLO USCIRE DAL CAMPO PER ENTRARE NELLA LEGGENDA"
-Giorgio Gandola per "la Verità"
Il problema è che ha già il volto da ex. E con la barba sfatta da navigatore solitario sarebbe il partner ideale di Christian Vieri che esce da uno scaffale a importi un rasoio in una pubblicità paracadutata dagli anni Novanta. «Potrei smettere di giocare fra due anni o fra quattro mesi», è il suo cruccio.
Un tempo largo e uno stretto, in mezzo la scelta logica della Juventus di non dargli più minuti, semmai meno. Guantoni da Coppa Italia. A 43 anni Gianluigi Buffon cerca una via d'uscita mentre dovrebbe cercare l'uscita.
Mettere la parola fine è il gesto più difficile per uno sportivo ma Gigi - il portiere italiano più forte, mediatico, decisivo di sempre - dovrebbe provarci. Il motivo è semplice: non arrivare tardi quando non la prendi più. Non ripetere gli errori di colleghi egualmente straordinari come Ronaldo il fenomeno che dopo avere dato profondità a un'epopea interista tornò grasso a Milano per giocare nel Milan (eppure nove gol in 20 partite). O come Francesco Totti che fu messo da parte quando ormai si trascinava sul campo e i compagni supplicavano Luciano Spalletti di non schierarlo titolare neppure nelle partitelle del giovedì.
I revisionismi letterari e cinematografici guidati dalla mente ispirata di Paolo Condò appartengono alla doverosa dimensione del mito. C'è un tempo per vivere e uno per morire (sportivamente, meglio specificare). Diceva Michel Platini: «Non invecchierò in campo, l'erba umida provoca reumatismi». E poi: «Salire sulla foto ricordo appesa al muro della sede è la fatica più grande». Lui lo fece a 32 anni, improvvisamente una mattina, e non si è mai pentito.
Adesso tocca a Buffon e ci sono tutti i presupposti perché la faccenda si trasformi in telenovela. La Juventus a fine ciclo ha due punti fermi: il rinnovamento e il bilancio. Una filosofia che non può non passare dal Gigi Nazionale, 43 anni e 1,5 milioni di stipendio per 10 partite. Nel ruolo da citofono della porta di Wojciech Szczesny sarebbe più adatto un Manuel Gasparini (20 anni, Udinese) per la metà del prezzo o un Mattia Perin di ritorno dal Genoa. Anche se i portieri di oggi non sono splendidi basilischi come Luciano Bodini e Giulio Nuciari, hanno tutti la pretesa di giocare. Buffon ha annusato l'aria, ha capito al volo e cerca nuove sponde.
Quello del motivatore, della chioccia è un ruolo dolce ma anche un ripiego. Allora ecco una mezza frase, un malumore trasferito a un giornalista amico e lo scenario è pronto: rinnova, cambia squadra o va all'estero? In queste ore tutto si affastella e si decompone. C'è chi lo vede al Milan per far crescere ancora di più Gigio Donnarumma (senza certezze che quest' ultimo resti rossonero). C'è chi lo azzarda alla Roma per chiudere, chi lo accosta all'Atalanta perché sarebbe comunque meglio del Marco Sportiello visto a Madrid. E chi lo spinge negli Emirati Arabi per l'ultimo contratto, ora che la Cina ha finito i soldi.
Qui sale dal profondo un invito disinteressato: Gigi fermati. Partita d'addio, guantoni regalati a un bambino e passi direttamente a commentare gli altri con o senza giacca, come decine di autorevoli colleghi. Il più grande portiere italiano dell'era contemporanea (per quella moderna c'è Dino Zoff che lo osserva dalla collina) non può assistere all'oscuramento del proprio passato da una panchina.
Sarebbe un delitto e sta già accadendo. Una paratona in più, un otto in pagella alla memoria che differenza fanno? Lui è già il passato, deve solo accettarlo. È cresciuto con i cd, ha stupito il mondo mentre Matteo Renzi ed Enrico Letta andavano a scuola da Tony Blair. Ha vinto un mondiale, un paniere di scudetti e fu pure vicecampione d'Europa. Ora si gioca un altro calcio, si parte dal basso per non sprecare palloni (poi càpita che esci dalla Champions perché i tuoi ne sbagliano due). A che serve inseguire l'ultimo acuto se sei Maria Callas?
A sua discolpa va detto che anche la Divina si trascinò tra bouquet di rose e di rapanelli, questione di contratti e di rancori. È tempo di dire basta anche se un profeta come Zoff la pensa diversamente. «Se ha voglia vada avanti perché giocare è molto piacevole. A 43 anni è difficile mantenere la forma, ma ci sono sistemi di allenamento per integrare, ci sono i personal trainer. Io sono stato personal trainer di me stesso. Penso che Gigi sappia sentire il proprio corpo». Lui ha smesso a 41 anni da icona di un football più riflessivo, meno isterico. Ma è riuscito a evitare la parte di El Gato Diaz in quel racconto di Osvaldo Soriano (Il rigore più lungo del mondo).
Oggi continuare è semplicemente rimandare un altro appuntamento chiave, quello con la vita. La stessa che ha bussato alla porta di Buffon durante il lockdown. Mai così prepotente, mai così interessante come spiega direttamente lui in un'intervista al Guardian. «Nel tempo sospeso della pandemia ho avvertito una felicità esistenziale. Sentire dentro di te che sei una persona felice per quello che hai fatto, per quello che fai, per quello che stai diventando. Quando sono a casa con mia moglie e i miei figli, quando leggo un libro o guardo un film e ne prendo qualcosa, mi sento meglio». Il distacco è già cominciato, che senso ha girare da reduce come Valentino Rossi a caccia del sesto posto? Ora c'è la finale di Coppa Italia e forse c'è l'Europeo (se Roberto Mancini gli farà la sorpresa).
L'ultima parata da leone, il ruggito nella savana al tramonto per un atleta ancora immenso ma non più una «credit card». Buffon è già un simbolo che cammina, ma non sarà mai un esempio. Il gol negato di Sulley Muntari e quella frase «Non avrei mai aiutato l'arbitro»; i bestemmioni in mondovisione (a proposito, per quello di Parma ieri è stato squalificato per una giornata e salterà il derby); la pur comprensibile scenata di Madrid saranno sempre lì a dividere il popolo e i suoi figli.
Acqua passata, rimane il monumento con quelle mani grandi a deviare in corner il pallone più carogna. Non manca niente: deve solo uscire dal campo per entrare nella leggenda. Il resto è un trascinarsi da santo bevitore, come fanno gli umani, alla ricerca della giovinezza perduta.