SE PER MANCINI LA BELLEZZA NON CONTA, PERCHE’ SI E’ STIRATO LE RUGHE? – IL CT SI RACCONTA A “SPORTWEEK”: LA MENINGITE SCONFITTA A 10 ANNI, GLI IDOLI, I RIMPIANTI, LA MALEDIZIONE DEI MONDIALI: NEL ’86 BEARZOT LO PUNI’ DOPO UNA FUGA ALLO STUDIO ’54 CON TARDELLI, NEL ’90 VICINI NON GLI REGALO’ NEANCHE 10 MINIUTI DI GIOIA, NEL ’94 LA RINUNCIA DOPO UNA LITE CON SACCHI - "HO SOGNATO CHE L’ITALIA BATTEVA 1-0 IL BRASILE. MA NON SO DOVE FOSSIMO…” (TRANQUILLO, NON ERA L’EUROPEO)
-
È un Mancini diverso quello che si racconta a Sportweek in un’intervista in cui non si parla solo di calcio nonostante tra meno di una settimana ci sarà l’inizio di Euro2020. A novembre il CT compirà 57 anni e sebbene il suo primo ricordo nitido sia un pallone di cuoio, la cosa che l’ha segnato di più durante l’infanzia è stata la meningite.
“Avevo 10 anni e ricordo tutto di quel giorno. E poi quando ho iniziato a capire qualcosa, mi hanno detto che ero stato molto fortunato. Aver avuto una malattia per cui in quegli anni si poteva morire facilmente, è una cosa a cui penso spesso”.
Gli idoli e i rimpianti
Poi parla dei suoi idoli. Anche qui stranamente non si c’entra il calcio: “Ho avuto due idoli. Michael Jordan nello sport e nel mondo Papa Woijtyla”.
Dagli idoli si passa ai rimpianti, che si sa, arrivano per tutti prima o poi, e l’allenatore sa bene cosa non rifarebbe tornando indietro: “Rifiutare di andare ai Mondiali del ‘94”.
Mondiali che per Mancini sono un po’ un’ossessione: “Ho sognato che l’Italia batteva 1-0 il Brasile. Ma non so dove fossimo. Non può essere l’Europeo”. A Qatar 2022 manca un anno e mezzo, ma questa visione non può far altro che far ben sperare per il futuro prossimo della Nazionale.
IL COMANDANTE
Articolo di Serena Gentile per Sportweek-la Gazzetta dello Sport
La sfida è difficile,quasi impossibile. Parlare mezz’ora col c.t. senza toccare palla. Nel senso: vale tutto, ma è vietato parlare di calcio. «Se ci riesce lei...» è la sua risposta, divertita. Ci proviamo, mister. Della sua Italia sappiamo già: ha preso in mano una squadra distrutta, depressa dopo il flop contro la Svezia e la mancata qualificazione ai Mondiali di Russia.
Sprofondata alla ventunesima posizione nel ranking Fifa, l’ha riportata tra le teste di serie. Ha ricostruito da zero un gruppo giovane, forte, motivato. Che ha qualità di gioco, ci mette coraggio, possesso palla, intensità offensiva. Dopo tre anni di lavoro, la sua Italia è bella e concreta, ha il morale alle stelle e un’identità che ci fa tornare a sognare. Lo aspetta, tra 5 giorni, la gara d’apertura dell’Europeo all’Olimpico contro la Turchia. Poi Svizzera e Galles, sempre in casa e di nuovo, finalmente davanti al pubblico, il suo.
Il Mancio, per indole, rispetta tutti, ma non teme nessuno. Dà Francia, Inghilterra, Portogallo e Belgio tra i grandi favoriti, ma la sua Italia giocherà come sempre per vincere.Lo intercettiamo in aeroporto a Milano, all’imbarco di un volo per Cagliari. Nello stesso dove 27 anni fa, per orgoglio, fece l’unica cosa che non rifarebbe: sbottare con Sacchi e rinunciare al Mondiale ’94.
Era il 23marzo, aveva accettato (anche se a fatica) di fare il vice Baggio, ma a Stoccarda ilCodino non c’era. Quella doveva essere la notte del Mancio, che però viene sostituito da Zola.
Al ritiro bagagli, Roberto non si tiene: «Non è stato ai patti, non mi chiami più. Con la Nazionale ho chiuso» dice ad Arrigo. Che lo farà. Il carattere l’ha sempre avuto, forte come la fantasia. Ma non poteva finire così. È lui il vero top player di questa Italia e ancora in tempo per prendersi quello che è suo. Intanto, accetta la nostra sfida. Si racconta,fuori dal campo, oltre il4-3-3. Schivo e riservato sempre, ma generoso. Cerca il dribbling, che un tempo era la sua specialità, solo una volta: quando gli parliamo d’amore. Per il resto, non si tira mai indietro.
Nonostante il pressing della hostess che chiama l’imbarco. Abbiamo solo 15’, un intervallo senza té caldo. E vince lui anche stavolta: è impossibile parlare col c.t. senza toccare il pallone. Il calcio è il suo mondo.
Il pregio più importante che si riconosce?
«L’onestà».
Il difetto più evidente che non riesce a modificare?
«La troppa sensibilità forse, in certe situazione avrei dovuto gestirla meglio.Modificarmi un po’».
Qual è il suo primo ricordo?
«È inutile provarci,mi viene in mente un pallone di cuoio».
E se le chiedo l’ultima gioia?
«La qualificazione alla Nations League... Oh, no giusto: niente calcio. La laurea di mia figlia Camilla».
Un dolore?
«Vedere morire troppe persone al mondo, tutti i giorni, e non solo ora per la pandemia. Sapere che ancora oggi, nel 2021, i bambini in Africa muoiono di fame: questo mi addolora davvero tanto».
La canzone della sua vita?
«Lucio Dalla 1979, L’anno che verrà: quella che faceva “Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’”. Io avevo lasciato Jesi da poco, che avevo 13 anni e mezzo, quasi14.Ero andato via da casa e dai miei amici per trasferirmi a Bologna, da solo, in una città grande e quella canzone lì mi faceva compagnia».
Tecniche di rilassamento?
«Gioco a paddle, vado a correre, leggo un po’».
Ecco, l’ultimo libro che ha letto?
«Ovviamente La bella stagione, che è appena uscito, dove con Gianluca (Vialli) raccontiamo La nostra storia più bella,lo scudetto con la Samp 1991.E avevo appena letto, Soli al comando di Bruno Vespa».
Storie di leader. Lei è un leader e anche un idolo, ma ha mai avuto un idolo?
«Due: Michael Jordan nello sport enelmondoPapaWoijtyla».
Il suo rapporto con la religione?
«Sono cattolico. Sono cresciuto in una parrocchia, all’oratorio San Sebastiano e sono anche cresciuto bene».
Mancini e la politica.
«A me non piace tanto la politica».
E il politically correct?
«Neanche».
Il suo pensiero sull’omosessualità?
«Ècome l’eterosessualità.Io sono per la libertà, in tutte le cose della vita. Ho vissuto molto male quest’ultimo anno di limitazioni, malissimo. E oggi penso, ancor più di quanto già pensassi, che le persone debbano essere libere, sempre. Nonho nessun tipo di problema».
Il dono più grande che le ha fatto la vita?
«Essere nato».
Chi la fa più arrabbiare?
«Mio figlio Andrea spesso, anche adesso. Non mi ascolta tanto».
E la sua paura più grande qual è, se c’è?
«Per i miei figli, il mio pensiero è sempre rivolto a loro, perché anche se stanno diventando grandi, per me son sempre giovani. E spero che possano vivere in un mondo migliore di quello che abbiamo ora».
La persona più importante della sua vita?
«I miei genitori. Mi hanno insegnato tutto, anche se sono andato via di casa che ero un
ragazzino. Mio padre Aldo è un uomo esemplare, a lui devo tutto. Come mia madre, Antonella. Il rispetto per gli altri, l’onestà, la semplicità».
L’età migliora o peggiora le persone?
(ride) «Io penso che le peggiori. Perché quando uno è più giovane, è più tranquillo, ha meno problemi. Gli anni appesantiscono l’anima».
La lezione più importante, quel giorno che le ha cambiato prospettiva?
«Sono sempre stato molto fortunato, ho avuto la meningite da piccolo e me la ricordo come se fosse ieri, non so per quale motivo. Ero giovanissimo, avevo10anni e ricordo tutto di quel giorno. E poi quando ho iniziato a capire qualcosa, mi hanno
detto che ero stato molto fortunato. Questa cosa qui me la ricordo benissimo, la ricordo
sempre e ci penso sempre. Aver avuto una malattia per cui in quegli anni lì si poteva morire facilmente, è una cosa a cui penso spesso».
Se si guarda allo specchio, cosa vede?
«Vedo una persona ancora giovane, fortunatamente. E fortunata in senso assoluto, come
dicevo prima. Che ha avuto il dono di poter fare il calciatore, due genitori per bene, tre figli in gamba. Sono felice».
E il suo rapporto con la bellezza?
«Non la vedo, non ci faccio caso... Sono più felice così. Le persone sono belle tutte, la bellezza non è solo esteriore. Puoi avere un difetto estetico, ma un cuore d’oro e questo può renderti più bello di tanti altri».
Cosa la colpisce degli altri e cosa detesta?
«Mi piacciono le persone positive, generose, che sanno tendere la mano. E quindi, detesto Al contrario l’indifferenza.Quelle persone, che sono una minoranza per fortuna, che davanti a qualcuno che ha bisogno, si voltanodall’altraparte.Iocredo che aiutare chi è indifficoltà sia una cosa davvero importante nella vita».
Se le dico felicità, a cosa pensa?
«Alla fortuna di aver potuto giocare a calcio da piccolo, era il mio sogno.Èillavoro piùbello del mondo.Edi poter lavorareoggi conigiovani, semprenel
calcio».
Inutile richiamarla a mollare il pallone, è impossibile. Ha una debolezza?
«Mi piacciono i dolci».
Ha mai fatto una pazzia?
«No,troppo poche, avreipotuto fare di più».
Cosa la fa piangere?
«Un bambino cheperde lamamma. O il papà. Questo mi commuove molto,perchépenso che non sia giusto».
Chi è il suo amico e cos’è un amico?
«Gli amici non sono tanti, altrimenti sarebbe troppo semplice. E quei pochi amici che uno ha deve tenerseli stretti. Io ho i miei amici della Sampdoria, che reputo fratelli. E poi ho altri 4/5 amici importanti. Un amico è quello che c’èanche quando non c’è, che non senti per due anni ma sai che è lì e per qualsiasi cosa, in qualsiasi caso lo trovi».
Mister, si può cambiare idea nella vita?
«Sì, sicuramente. Alle volte si può pensareuna cosa,fareuna scelta che non è giusta, ma in quel momento pensi che lo sia. Ed è giusto poi cambiare idea».
Non si può tornare indietro. Una cosa che non rifarebbe?
«Rifiutaredi andare aiMondiale del ’94».
Una cosa che non ha mai detto?
«Devo pensarci. Non la trovo».
Il film preferito?
«Ce ne sono diversi: uno, molto bello, è Il nome della Rosa».
Cosa la mette di malumore?
«Il tempo brutto».
L’amore?
«È una cosa privata, meglio tenerla per sé».
L’ultimo sogno che ha fatto?
«L’Italia batteva il Brasile 1-0. Ma non so dove fossimo. Non può essere l’Europeo...».
Quel genio di Morfeo s’è portato avanti. Dietro l’angolo, dopo l’Europeo, c’è il Mondiale.E per Il Mancio e la nostrabella Italia, è già un obiettivo. Lo ha ammesso di recente: è concentrato sull’Europeo. Ma l’idea del Qatar gli frulla in testa già da un po’. Il Mondiale è stato un incubo, un’ossessione per lui.
Non ne ha giocato neanche un minuto, nonostante l’infinito talento. Strano, ma vero. Un’assurdità, disse lui una volta. Messico 1986 lo perse per una bravata:una notte in discoteca, al mitico Studio 54, col bel tenebroso Marco Tardelli, all’epocaTardellino, che fece imbufalire Bearzot. Era New York 1984. Sei anni dopo, a Italia 1990, Vicini lo tenne settanta giorni in ritiro senza regalargli neanche dieci minuti di gioia. Né una spiegazione. Poi, nel 1994, si fece fuori da solo all’aeroporto di Malpensa, contestando Sacchi e sbattendo la porta. Ora ha una seconda possibilità. E se il sogno è l’infinita ombra del vero, basterà solo aspettare.
In bocca al lupo, mister.
E forza Italia.