SERIE A, UN BEL CASINI - PARLA IL PRESIDENTE DELLA LEGA DI A, LORENZO CASINI: "COME VENDERE MEGLIO IL NOSTRO CALCIO? CON LA COMMERCIALIZZAZIONE DEI DIRITTI AUDIOVISIVI ALL'ESTERO SENZA LIMITI LEGISLATIVI CHE RIDUCONO LE OPPORTUNITÀ. POI SERVONO GLI INVESTIMENTI SULLE NUOVE TECNOLOGIE, COME FAN TOKEN E NFT. GLI INTROITI DALLE SCOMMESSE, DA CUI IL CALCIO NON RICAVA NULLA PUR ESSENDONE L'OGGETTO. E INFINE C'È IL TEMA DEGLI INVESTIMENTI SU INFRASTRUTTURE E STADI..." (AUGURI)
-Andrea Di Caro per “La Gazzetta dello Sport”
Lorenzo Casini, dopo 100 giorni dalla sua elezione a Presidente come le sembra la Lega calcio vista dall'interno?
«L'impressione è positiva perché parliamo di un settore con straordinarie risorse e opportunità non solo economiche, ma anche culturali e sociali. La Lega di A riflette tutte le virtù e i vizi del Paese. E questo la rende interessante».
Partiamo dalle virtù.
«Talento, inventiva, imprenditorialità. E questo fa parte del Dna e della storia italiana, compresa la competitività, che parte almeno dall'epoca dei Comuni nel medioevo».
E i vizi?
«A volte pur di arrivare al risultato si cercano scorciatoie E una somma di egoismi non porta sempre al risultato che immaginava l'economista Adam Smith. Resto convinto che lavorando insieme si possano ottenere esiti più favorevoli di una somma di successi individuali».
Ha già fatto i conti con la famosa litigiosità tra presidenti?
«È più raccontata che reale. Certo, ci sono argomenti che portano conflitti, ma in questi mesi ho visto che quando si discutono questioni di interesse comune è possibile trovare sintesi, compattezza e unità».
Come nel caso della battaglia vinta contro la Figc sull'indice di liquidità?
«La Figc voleva introdurre criteri più rigorosi per assicurare la sostenibilità finanziaria. E su questo siamo d'accordo. Quel che non ha funzionato sono tempistica e modi con cui sono state introdotte misure con effetti retroattivi.
La A non ha avuto l'ascolto che meritava, la Lega lo ha rappresentato più volte e alla fine siamo stati costretti a difenderci con un ricorso che è stato parzialmente accolto dal massimo organo di giustizia sportiva, il Collegio di garanzia del Coni a Sezioni unite.
La questione poteva finire così, ma la Figc invece di convocare subito un consiglio federale, non ha accettato la pronuncia della giustizia sportiva e della sua Cassazione, il che mi preoccupa molto perché è un grave precedente per l'intero sistema.
Ha inspiegabilmente fatto ricorso al Tar contro un dispositivo, senza neanche attendere la decisione e le motivazioni del Collegio; e ha perfino chiesto la sospensione del dispositivo in via cautelare, quando non esiste alcun pericolo per il campionato di A e per le squadre. Io spero solo ci si metta a lavorare insieme il prima possibile per le vere riforme che servono al calcio italiano».
Che rapporto ha con il presidente Gravina e la Figc?
«A livello personale con Gravina molto buono. Nei rapporti tra le istituzioni, il caso dell'indice di liquidità e altre vicende hanno però mostrato alcune inefficienze del sistema di governo federale, per come è disegnato oggi».
Dal governo federale a quello della Lega. Sono sempre più pressanti le richieste di una nuova governance in grado di affrontare le tante sfide sul tavolo: dall'aumento dei ricavi alla modernizzazione del sistema.
«Il tema ha due profili. Il primo è il ruolo della Lega nel sistema federale e nel consiglio federale. La soluzione non può essere solo numerica, bisogna lavorare su meccanismi procedurali: serve un'intesa con la Lega per le decisioni che riguardano la A.
Il secondo è come rafforzare la Lega: creare una media company e migliorare la struttura. La Lega ha poche decine di dipendenti, la Liga spagnola dieci volte tanto. La Lega, con poco sforzo, potrebbe diventare un vero sostegno per i club nel rapporto con le istituzioni e un supporto tecnico su temi come le infrastrutture e la commercializzazione».
Però quando si prospetta una struttura di governo autonoma, i presidenti si ribellano temendo di perdere potere.
«La Lega deve essere un soggetto al servizio delle squadre, non sostituirsi alle società. Chiarito questo, il contrasto non esiste».
L'aumento dei ricavi è una necessità impellente per i presidenti che a fine stagione sono quasi sempre alle prese con conti che non tornano e bilanci da sistemare in modo fantasioso. Il prodotto calcio può essere sfruttato venduto meglio?
«Le risorse possono aumentare sia incrementando i ricavi, sia riducendo i costi. Nel primo caso, la commercializzazione dei diritti audiovisivi all'estero va liberata da limiti legislativi che riducono le opportunità. Per esempio, vi è un termine massimo di 3 anni, mentre in altri Paesi si arriva anche a 8-9.
È un tema che il Parlamento e il Governo, con la sottosegretaria Vezzali, che ringrazio, hanno ben compreso. Poi gli investimenti sulle nuove tecnologie, come fan token e Nft quale ulteriore fonte di reddito, anche se più volatile e incerto, come ha osservato anche Bill Gates. Ci sono gli introiti dal betting, da cui il calcio non ricava nulla pur essendone l'oggetto. E infine c'è il tema di lungo periodo dei ricavi da investimenti su infrastrutture e stadi».
E come ridurre i costi?
«Si può partire dalle commissioni a mediatori e procuratori, un caso non solo italiano e su cui la Fifa interverrà in autunno con un nuovo regolamento. Poi serve rivedere la normativa fiscale: un tema è la mancata deducibilità dell'Irap, perché i contratti dei calciatori sono per forza a tempo determinato».
Il tetto salariale può essere un'altra soluzione?
«Non può essere risolto da un singolo Paese. Va trattato a livello almeno europeo perché pone seri problemi di competitività. Diverso è un tetto di spesa complessiva di un club, in percentuale come ha già introdotto la Uefa, ma non sul singolo giocatore».
Incentivi alla firma e bonus ad arricchire gli stipendi. Come si frenano?
«Lavorando con la Fifa per avere regole uniformi».
Cosa pensa dell'ipotesi Fondi?
«Prima vanno definiti progetto e modello di business che la Lega vuol perseguire, poi ci può rivolgere ai Fondi, se lo si ritiene utile. Nessuna preclusione, ma un Fondo non è di per sé una soluzione, è uno strumento».
A parte alcuni nuovi impianti, solo un paio di proprietà, siamo fermi alle ristrutturazioni del 1990. Come velocizzare pratiche interminabili e snellire una burocrazia che allontana possibili nuovi investitori?
«Per gli stadi il primo problema sono procedure e tempi, con amministrazioni spesso in difficoltà. Un rimedio su cui la sottosegretaria Vezzali sta lavorando, e che condivido, è avere una cabina di regia del governo con tutte le amministrazioni interessate, la Figc, le Leghe, l'Istituto credito sportivo, per esaminare i dossier e cercare di sciogliere tutti i nodi che rallentano le procedure».
Gli storici presidenti italiani stanno diminuendo e crescono proprietà e fondi stranieri. Quanto le ritiene utili e quanto è complicato all'interno della Lega trovare una sintesi tra figure così diverse e distanti per managerialità e tradizioni?
«Vedo bene sia l'investimento da parte di proprietà straniere, sia di fondi. Significa credere nelle capacità di crescita della Serie A. Diverse esperienze e nazionalità possono arricchire la Lega. Le proprietà Usa possono portare più investimenti sul calcio femminile, un movimento che la Figc ha fatto crescere e che, con il passaggio al professionismo, spero possa in futuro entrare nella Lega con una sua divisione».
Come risolvere il caso delle multiproprietà?
«Be', ovviamente tra squadre della Serie A non sarebbe possibile. Tra leghe diverse è un modello che esiste anche in altri Paesi e credo sia giusto avere una normativa uniforme».
Sembrava che l'Europeo fosse il trampolino per la ripresa del nostro calcio e invece abbiamo subito fallito la qualificazione ai Mondiali in Qatar, il momento più alto del calcio-business.
Quanto pesa questa assenza?
«Tanto, anche perché è la seconda volta consecutiva. L'impatto più negativo è sui più giovani, che tra l'ultimo Mondiale con l'Italia in campo e il prossimo avranno visto passare almeno 12 anni. Bisogna investire su vivai, centri di formazione e allenamento, sviluppando regole che prevedano premi e incentivi per chi schiera giovani italiani».
Decreto crescita: i paletti favoriscono solo i grandi club.
«Mi pare un tipico fenomeno di "distrazione" dai problemi reali. I dati mostrano che ha avuto un impatto minimo sui giocatori italiani. A un certo punto sembrava diventato il male assoluto. La soluzione trovata poche settimane fa andrebbe corretta perché è distorsiva del mercato».
La politica spesso sale sul carro del calcio quando si vince, salvo tornare a parlare di mondo di privilegiati quando ha bisogno di aiuto. Durante la pandemia non sono stati concessi ristori all'altezza.
«La situazione è stata così drammatica che non è strano che il calcio non abbia avuto ristori. I settori che li hanno avuti di più avevano ampie categorie dei lavoratori a rischio sussistenza. Quello che va chiesto con forza è l'aiuto per trovare soluzioni che agevolino la Serie A a produrre ricavi».
Quanto è stato importante il ritorno di Milano ai vertici fornendo un'alternanza al lungo regno di vittorie juventine?
«L'alternanza è importante per rendere più attrattivo il campionato. Ho visitato, tra gli altri, i centri di Sampdoria e Verona: si respira subito quanto sia stato importante aver vinto un titolo».
Su 20 squadre solo 3 sotto la linea di Roma. L'entusiasmo e la passione viste a Palermo nella finale per salire in B fa pensare che sarebbe utile avere anche più squadre del Centro-Sud.
«Spero che in A il Paese sia sempre più rappresentato. Dopo gli scudetti romani a cavallo del 2000, hanno vinto solo tre squadre del Nord. È un problema antico. Se oggi si facesse l'All-Star Game Nord vs Sud, modello Est vs Ovest basket NBA, saremmo in difficoltà».
Tecnologia e Var. La Lega si è impegnata nella struttura di Lissone.
«Il Var ha migliorato il gioco e andrebbe valutata l'introduzione del Challenge, che potrebbe sgombrare il campo da inutili sospetti».
E la possibilità di spiegare le decisioni a fine partita?
«Vedo pro e contro. Maggior trasparenza può innescare anche altre polemiche. La figura dell'arbitro-giudice, che parla poco, ha una sua fondatezza».
Tre cose che invidia alla Premier?
«La sua attrattiva nel mondo; il modo in cui sono vissute le partite allo stadio; la rigida programmazione del calendario».
Tra un anno si sentirebbe soddisfatto se...
«Se fosse migliorata la percezione che ha l'opinione pubblica della Lega e di quanto il calcio fa e può fare per aiutare la società».
Dica la verità: dopo tre mesi, non si è ancora pentito?
«(ride, nda) No, ancora no».