TOUR DE COVID - AL GIRO DI FRANCIA SI CORRE ANCHE DA POSITIVI - LE NUOVE NORME PREVEDONO CHE NON CI SIA ESCLUSIONE AUTOMATICA IN CASO DI POSITIVITÀ. TOCCA AD UNA COMMISSIONE MEDICA DECIDERE CASO PER CASO – LA POLEMICA DEL CAPITANO DELLA COFIDIS GUILLAUME MARTIN CONTRO IL PROTOCOLLO COVID: “SAREI ANCORA IN GARA SE NON AVESSI DETTO NULLA DEI SINTOMI. PENSO CHE ALTRI FACCIANO COSÌ”
-Federico Danesi per “Libero quotidiano”
Il mondo va avanti, quello dello sport no. Tranne al Tour de France, perché l'organizzatore Aso aveva già fiutato il pericolo prima di partire da Copenhagen e così magicamente, il 28 giugno scorso, l'Unione Ciclistica Internazionale (Uci) aveva cambiato le regole in corsa. Dalla poi (perché al Giro sarebbe stato troppo facile) non basta la semplice positività al Covid per fermare un ciclista, men che meno una squadra.
E così la Uae di Tadej Pogacar, che in realtà potrebbe vincere la corsa anche da solo, ha perso due pezzi in 48 ore ma non va a casa e non rischia nulla. Le nuove norme prevedono che non ci sia esclusione automatica in caso di positività. Tocca ad una commissione composta da medico sociale, medico di gara e medico Uci decidere caso per caso.
Così sono stati fermati, nel gruppo emiratino, Laengen nel giorno di riposo e Bennett ieri mattina. Ma c'era anche una terza positività, molto più pesante in prospettiva: Rafal Majka, braccio destro e regista di Pogacar in corsa, ha il Covid eppure ha preso il via in direzione Megéve.
La carica virale è piuttosto bassa, quindi non contagiosa almeno per il momento. E come era successo subito prima del via dalla Danimarca a Bob Jungels, che ha ringraziato vincendo la tappa alpina di domenica, anche a lui è stato permesso di andare avanti.
Figli e figliastri, perché le regole non sono uguali per tutti e lo ha denunciato Guillaume Martin.
Il capitano della Cofidis ha vissuto una situazione moto simile a quella di Matteo Berrettini a Wimbledon: «Quando ho fatto il tampone domenica mattina ha raccontato a L'Equipe - è venuto fuori che ero altamente contagioso, ma questo livello di contagiosità non è previsto nel protocollo. Se non avessi detto nulla sabato, domenica avrei continuato a correre. E penso che altri corridori facciano così».
Tant pis pour eux, peggio per loro, direbbero i francesi. Peggio per loro, traduciamo noi, perché se stai dentro le regole un po' di furbizia ci sta. O meglio, ci sta un cambio radicale di regole, invocato in primis dalle squadre.
«Nel 2020 obbedivamo alle regole dei ministeri della Salute dei vari paesi - ha detto Matt White, direttore sportivo della Bike Exchange che ha mandato a casa Luke Durbridge a SBS- e avevamo aree separate per cenare, c'erano regole diverse per i test. Ora quelle regole non ci sono più, ma noi continuiamo a essere testati e ad avere conseguenze negative in caso di positività. Io penso che regole per il Covid debbano essere riviste.
Luke si è svegliato e non si sentiva molto bene, fermarlo è stata una decisione dei medici. Ma ci sono stati altri casi in cui le persone sono risultate positive ai test e non avevano sintomi». Pogacar, che tutte le sere tocca ferro sperando di fermare la pandemia, ha già detto che se dovesse superare la soglia a rischio tornerebbe a casa senza far storie. In realtà però questa è una lezione per tutto il resto del mondo dello sport.
Tra un mese inizieranno i campionati di calcio, anche da noi. Tra meno di due le coppe e a metà novembre i Mondiali in Qatar. A meno di una recrudescenza del Covid, pensare di cambiare tutto in corsa non è peccato e il ciclismo potrebbe far giurisprudenza. Positivo non significa contagioso e il Tour non è una monarchia eletta.