VIDEO! “GRANDE SPALLETTONE…” - DOTTO: "LUCIANO HA DISINNESCATO DIVERSE MINE VAGANTI, LA PIÙ MINACCIOSA DI TUTTE, IL RINNOVO DEL CONTRATTO DI INSIGNE. E POI DEVE AFFRONTARE IL RECUPERO DI MERTENS, IL CASO COPPA D’AFRICA E UN’ALTRA MINA. LA PIÙ COMPLICATA. LE ESUBERANZE DI DE LAURENTIIS, UN PRESIDENTE PADRONE CON ATTITUDINI DA SULTANO. SPALLETTI È UN UOMO PAZIENTE, MA QUANTO? E LE TURBOLENZE PRIMA O POI VERRANNO…"
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Giancarlo Dotto per il "Corriere della Sport"
E ora chiamatelo “Spallettone”, invenzione estemporanea quanto affettuosa in diretta tv del suo amico e rivale Josè Mourinho. Amico di oggi con cui condivide strati di pelle gialla e rossa, rivale di domani. E ora chiamatelo “Spallettone”, invenzione estemporanea quanto affettuosa in diretta tv del suo amico e rivale Josè Mourinho.
Amico di oggi con cui condivide strati di pelle gialla e rossa, rivale di domani, l’imminente frontale all’Olimpico, 17 giorni, su cui si verseranno fiumi di parole e già ognuno lucida la sua baionetta o il suo sonetto.
Nel frattempo, Lucho Spallettone sbanca, macina, travolge con il suo Napoli. Un cammello potente che raccoglie acqua e punti in attesa del deserto, l’Africa che sarà tra gennaio e febbraio. “Spalletti a Napoli, fidatevi, sarà una goduria. Spettacolo garantito…” scrivevo due mesi fa, alla vigilia del campionato. Non immaginavo quanto. La “strega di Napoli” lo chiamano, quella buona che sa come tenere in piedi i sogni più audaci. La storia è al fianco della “strega”. Spalletti ha vinto sempre da quando allena. Se vincere è realizzare gli obiettivi che ti chiedono, in qualche caso andando oltre, come la Champions a Udine e le vittorie alla Roma, oltre che tanta estasi.
Spianata anche la molto temuta Firenze. Sette vittorie su sette, ma se vuoi essere insultato accenna a scudetti o tricolori. Guai. Devierà bruscamente, infilandoti in una delle sue illeggibili filastrocche, comprensibili solo agli amici del cuore, le galline del Cioni, o parlandoti del suo vino, dei suoi cavalli, ciuchi, anatre, cani e struzzi. Ecco, le galline del Cioni. Gli amici di sempre, la famiglia, la campagna e la compagna, Tamara, i tre figli, Matilde la più piccola, i due maschi attivi nel mondo. Non c’è verso, puoi spedirlo ovunque, a Roma, San Pietroburgo, Milano, ora a Napoli, ma Lucho non perderà mai i suoi legami con il piccolo, grande mondo antico da cui discende. La terra, la famiglia, gli amici. Simile in questo a Josè Mourinho, altro vagamondo dalle radici scolpite nel petto.
I fondamentali di Spalletti, sempre gli stessi. Maniacalità nel lavoro, stress positivo, molto spesso anche negativo (ma sempre meno con gli anni) e camere compensative. I rifugi in cui pompare sangue e ossigeno. Le bisbocce allegre in osteria con le galline del Cioni, i suoi fedelissimi amici nella fortuna e nella disgrazia, che se ne fottono di quanti trofei l’amico si porti addosso, le serate in famiglia, i dialoghi ravvicinati con i suoi amati animali, Astra, il cavallo preferito e i quattro ciuchi. Lucho non sarebbe il martello di Napoli, albergo e campo di allenamento, un monaco applicato, senza gli intervalli e le ruvide mollezze della sua terra, tra vanga, affetti e trattori.
In due mesi o poco più, Spalletti ha collezionato miracoli. Ha preso un gruppo bastonato, sfiduciato e monco per un finale di campionato che ancora in tanti non si spiegano e l’ha trasformato in un’armata. Una squadra che, anche nelle sue stagioni migliori, soffriva di alti e bassi, di apici smaglianti e cadute verticali ne ha fatto un team di panzer concentrati e uniti sull’obiettivo. Ha disinnescato diverse mine vaganti, la più vagante e minacciosa di tutte, il rinnovo del contratto di Insigne. Problema che resta, ma il giocatore, capitano, intanto è dedito alla causa. Ci sta con i piedi e con la testa nella maglia che porta, per quanto ora provvisoria.
Con una mediazione abile e paziente, non facile per nessuno (travolto persino Carlo Ancelotti, l’uomo più paziente della terra) ha tenuto vivo il dialogo con quel vulcano fatto uomo di Aurelio De Laurentiis, i suoi tracimanti estri e i debordanti umori. Ha sventato gli agguati di un mercato in cui era più fisiologico vendere che comprare. Colpi geniali. S’è inventato Fabian Ruiz regista arretrato, trapanandogli il cranio con la sua intuizione, che non si tratta di trascinare la palla vagabondando senza meta nei margini del campo, sprecando energie e senza essere quasi mai determinante, ma di farla viaggiare. Spalletti gli ha dato una casa nel campo e Fabian ora gioca da re.
Ha preso quel mostro alato di Osimhen e ha dato un senso e una direzione al suo talento selvaggio. La sintesi giusta per andare in porta senza fronzoli o dispersioni. Margini di miglioramenti enormi, tattici e tecnici. Tende ancora a rincorrere la palla, deve capire piuttosto da dove arriva, da chi arriva e come arriva. Grandi somiglianze con Abraham, meno tecnico ma più potente nello strappo.
Aveva bisogno di muscoli e personalità in mezzo al campo, Lucho. Voleva Zakaria, ma costava troppo. S’è trovato Anguissa e ha scoperto più oro di quanto immaginasse. L’impatto fisico che mancava, ma tanto altro. Un tuttocampista fantastico, che sa fare tutto, ma anche un ragazzo magnifico, un africano pacato, riflessivo, perbene, che sa quello che vuole e sa come arrivarci, sempre nel nome della squadra. Molto simile come personalità a Koulibaly. I due insieme, aggiungi Osimhen: bingo! Strapotere fisico, ma anche rabbia, senso della sfida. Vigliacchi insultatori dalle tribune, occhio! Questi sono capace di venire su a prendervi, come fecero Ron Artest e compagni dell’Indiana Pacers nel 2004, la rissa più clamorosa della storia dell’Nba.
Spallettone ha individuato i leader del gruppo e gli ha dato forza, Insigne a parte, talento determinante ma le bizze del purosangue, Koulibaly su tutti. Ma anche Di Lorenzo e Ospina, forse il più “internazionale” del suo team. Spalletti ha questa virtù: sa parlare ai giocatori più di quanto sappia fare alla stampa. Ha saputo certamente parlarci dopo il passaggio a vuoto con lo Spartak Mosca, quando erano in tanti a vaticinare la rottura dell’incantesimo, la fine della bella favola. La dominante vittoria di Firenze lo dimostra e spazza ogni dubbio. Il Napoli è una squadra forte. Una scoperta per tanti, non per Spalletti. «Non vedo l’ora di entrarci dentro per capire quanto lo sanno di essere forti», parole al suo esordio.
Tutto facile dunque? Niente affatto. Le premesse dell’impresa ci sono tutte, ora si tratta di migliorare alcune cose e disinnescare le altre mine vaganti. I tifosi. Verranno in tanti, sempre di più e saranno un fattore. Le cose da migliorare: Zelinski deve dimostrarsi all’altezza del suo talento, una volta per tutte. Spalletti stravede per lui, non lo deluda. Il recupero di Mertens. Fondamentale. Le altre mine vaganti. La forza del Milan e il pragmatismo dell’Inter, ma qui non può farci niente. La coppa d’Africa. Fondamentale a gennaio mettere le mani almeno su un alter ego di Anguissa, il suo doppio, ammesso che esista. E due esterni bassi, almeno uno ambivalente. Da non sottovalutare anche la perdita di Ounas, un fattore a partita in corso, altro miracolato da Spalletti.
L’altra mina. La più complicata. Le esuberanze di un presidente padrone tanto geniale quanto tumultuoso, incontinente e mattatore, con attitudini da sultano. La tendenza a mettere il suo sigillo di ceralacca su qualunque cosa si muova o respiri nel mondo Napoli, Spalletti è un uomo paziente, forte la sua capacità di assecondamento, ma quanto forte e quanto paziente? Il Napoli, inteso come comunità estesa, calciatori, tifosi, collaboratori, magazzinieri, è compatto con lui. Lo ha eletto come condottiero, l’uomo giusto anche quando verranno le turbolenze e prima o poi verranno. Vivremo, forse, e sapremo, certamente.