Edoardo Sassi per il “Corriere della Sera - ed. Roma”
Così, durante un suo viaggio nella Città Eterna, in una pagina di quelle che diverranno le sue celebri Passeggiate Romane, Stendhal annotava il 2 luglio 1868: «Ecco l'elenco dei palazzi che bisogna vedere. Metto in prima linea quelli che meritano una visita speciale. Sono dodici».
restauro del casino aurora pallavicini
Primi due luoghi indicati dallo scrittore, Vaticano e Quirinale. Immediatamente dopo, a seguire, «l'Aurora del Guido». Guido, per antonomasia. Senza nemmeno il cognome. A testimonianza di quanto ancora, a distanza di secoli, Reni «il divino» godesse di fama e apprezzamento universali, in gran parte proprio grazie al celeberrimo affresco da lui dipinto nella volta del Casino di Palazzo Pallavicini.
L'Aurora, appunto. Un capolavoro del 1614, ancora oggi di proprietà privata, di cui ieri è stato presentato il recente restauro, condotto a quattro mani da Laura Cibrario e Fabiola Jatta e finanziato dalla proprietaria dell'opera, la principessa Maria Camilla Pallavicini.
A presentare i risultati del delicato lavoro, durato quattro mesi, oltre alla soprintendente speciale di Roma, Daniela Porro, il ministro della Cultura Dario Franceschini, il quale ha parlato di «un restauro di immenso valore e di un esempio di grande collaborazione tra le istituzioni, tra pubblico e privato».
Al tavolo dei relatori anche la direttrice della Galleria Borghese, Francesca Cappelletti, e il capo dipartimento del Museo del Prado per la pittura italiana e francese, David Garcìa Cueto.
Entrambi a testimoniare una imminente stagione di «riscoperta» del grande artista bolognese, la cui stella si è un po' offuscata nel corso del XX secolo, un genio a lungo relegato nel comparto degli aedi della Controriforma, pittore di santi e divinità in estasi con gli occhi all'insù.
La Galleria Borghese sta infatti per inaugurare (1 marzo) Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura, mostra a cura della stessa Cappelletti, con trenta opere che celebrano Guido e in particolare la sua maestria (a lungo sottostimata e misconosciuta) nella pittura di paesaggio.
L'esposizione romana ruota attorno al dipinto Danza campestre, da un anno tornato a far parte della collezione Borghese grazie alla sua acquisizione da parte del museo. E un altro omaggio arriverà tra un anno (marzo 2023) da un altro grande museo internazionale, il Prado, dove si sta già lavorando alla mostra (titolo provvisorio) Guido Reni e il Siglo de Oro in Spagna, con il probabile confronto ravvicinato tra due capolavori dell'artista: le due versioni di Atalanta e Ippomene del museo di Madrid e quella della galleria di Capodimonte.
Modello di grazia, armonia e bellezza (il sorgere del Sole dal mare preceduto da Aurora che sparge fiori sulla terra per salutare il nuovo giorno, il putto Fosforo, prima stella del mattino, il carro di Febo trainato da cavalli su cui siede Apollo, la danza delle Ore...), esempio di quel «classicismo» romano che proprio con quest'opera arriverà a influenzare il gusto di tante corti europee, l'affresco - copiato e citato nel corso dei secoli e i cui disegni preparatori di trovano nelle principali collezioni del mondo: Royal Collection Londra, Louvre, Albertina di Vienna... - fu realizzato da Guido per il cardinal Scipione Borghese, nIpote di papa Paolo V, raffinatissimo e spietato collezionista, primo proprietario e committente del palazzo di via XXIV Maggio, costruito sopra i resti delle Terme di Costantino.
Il restauro del dipinto, rifinito a secco, sulla volta del Casino costruito da Giovanni Vasanzio nel giardino pensile dell'edificio, è stato preceduto da una serie di indagini e studi preliminari. Si è trattato di risolvere problemi conservativi riguardanti soprattutto la pellicola pittorica, alterata a causa di diversi fenomeni di degrado. Un intervento che ha ridato luce alla ricca e brillante tavolozza del «divino».
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