NON FACCIAMO SUL SIERO – NASCONDERE IL RISULTATO POSITIVO DEL TEST SIEROLOGICO? È SEMPLICISSIMO, BASTA SFRUTTARE IL CAOS DELLE REGOLE: NON ESSENDOCI UN PROTOCOLLO UNICO OGNI REGIONE HA STABILITO NORME PROPRIE E LE CLINICHE DOVE MIGLIAIA DI PERSONE SI SONO FATTE TESTARE NON INFORMANO SEMPRE LE ASL DI UN EVENTUALE POSITIVITÀ. INFORMANO IL PAZIENTE E STOP. MA COSÌ SI RISCHIA UNA RIPARTENZA DEI CONTAGI…
-
Filippo Femia e Nicola Pinna per “la Stampa”
Fingere di avere problemi di lavoro non è sempre necessario. Il metodo del test sottobanco è già collaudato e le infermiere capiscono al volo qual è la richiesta di chi chiama: «Se preferisce che non informiamo la Asl basta non firmare il consenso alla segnalazione prima del prelievo. E comunque noi preferiamo inviare direttamente al paziente il referto. Poi sta a lei decidere». Le regole cambiano ovunque, ma trovare i laboratori compiacenti non è difficile: poche telefonate e il gioco è fatto.
Fare il test sierologico e riuscire a nascondere all' Igiene pubblica il risultato positivo è tutt' altro che complicato. Non ci vuole il piglio del truffatore, basta sfruttare il caos delle regole. Il risultato è semplice: in Piemonte come in Toscana, ma anche in Veneto e in Campania, chi va in giro con tracce di immunoglobuline nell' organismo (e quindi è un possibile caso di nuovo contagio) evita la quarantena e si scampa il tampone. Di conseguenza rischia di allargare ulteriormente il contagio. A livello nazionale non c' è un protocollo unico e ogni Regione detta le sue regole.
Nelle ultime settimane in migliaia hanno deciso di sottoporsi all' esame: che sia quello rapido col pungidito o quello che si svolge con il prelievo, il test che scova gli anticorpi del Covid divide gli scienziati. Per alcuni, come il virologo dell' università di Padova Andrea Crisanti, è uno spreco di soldi. Tutti concordano su un aspetto: il sierologico non ha valenza diagnostica, e quindi non può sostituire il tampone, ma ha una certa importanza epidemiologica. E di questo è convinto anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, che ha promosso uno screening con 150 mila volontari: «I risultati consentiranno ai nostri scienziati di avere un' arma di conoscenza in più sull' epidemia».
Un contributo lo potrebbero dare anche le analisi a pagamento, ma i laboratori spesso non comunicano né alle Asl né ai medici di famiglia i risultati. In una clinica di Firenze rispondono dopo dieci minuti di musica d' attesa. Il test può essere fatto da privati o con la tariffa regionale calmierata. «Nel caso risultasse positivo, il nostro unico obbligo è fornirle un numero verde da chiamare. Entro 48 ore le faranno un tampone. Ma è a sua totale discrezione». Basta spostarsi di cento chilometri, in provincia di Massa-Carrara, per avere una risposta opposta: «La clinica non ha opzioni, deve tassativamente comunicare la positività all' Asl». A Livorno si torna alla strategia della riservatezza: «Costa tutto 55 euro, il referto viene trasmesso via mail solo al paziente. Non inviamo segnalazioni. Capiamo la preoccupazione del paziente».
In Piemonte le regole sono cambiate da 6 giorni e ora i laboratori hanno l' obbligo di trasmettere i referti alla Regione. Ma c' è chi non si adegua. «Noi le diamo il risultato e poi ogni decisione è una sua responsabilità». Il messaggio non è diretto ma per avere la prova basta qualche giorno: nel referto c' è un' anomalia ma l' allarme non scatta. A Vibo Valentia il test costa 35 euro.
A Reggio Calabria il prezzo sale a 48 euro, i risultati arrivano in 2 giorni. Per avere maggiore "discrezione" proponiamo di pagare un sovrapprezzo ma la segretaria del laboratorio s' infuria: «Ma scherza? Così rischia una denuncia: forse non si rende conto che stiamo combattendo un' epidemia». Ce ne rendiamo conto, ma insistiamo. A Roma, questa volta. La clinica propone il test qualitativo a 45 euro e quello quantitativo a 85. L' operatore ci informa delle rigide linee guida della Regione Lazio ma basta inventarsi un problema sul lavoro per ottenere comprensione. Dribblare le regole è semplice: «Basta non firmare il modulo informativo», suggerisce il centralinista, preoccupato di perdere un cliente. Le altre tre cliniche romane contattate sembrano inflessibili: «Se il risultato è positivo abbiamo l' obbligo di segnalarlo alle autorità sanitarie».
Il responsabile di un centro di Verona si dilunga nel pubblicizzare la tecnologia dei suoi test. E alla domanda fatidica la risposta non è diretta: «C' è uno schemino e il paziente decide. Se ci sono le Igm, cioè gli anticorpi che indicano l' infiammazione, lei dovrebbe segnalare al medico. Noi comunque consegniamo la risposta soltanto a lei».
A Salerno non ci girano intorno: «L' esito si vede solo sul nostro sito e le credenziali vengono assegnate a ciascun cliente. Non le vede nessun altro». A Caserta hanno trovato un' altra strategia: «Il risultato lo facciamo arrivare al medico di famiglia, ma non alla Asl e poi sarà lui a decidere cosa fare». A Bologna è difficile trovare un laboratorio compiacente, a Sassari e Palermo s' indignano per la proposta: «Fare i test deve servire a difendere la nostra isola».