TAMPONI, DAMOSE ‘NA MOSSA - CON GLI OSPEDALI E I LABORATORI PRESI D'ASSALTO, ORA SARÀ POSSIBILE FARE I TEST RAPIDI ANCHE NEGLI STUDI MEDICI PER SCONGIURARE IL COLLASSO IL SISTEMA SANITARIO - IL COMMISSARIO ARCURI ANNUNCIA L'ARRIVO 5 MILIONI DI KIT - GLI UOMINI DELLE ASL ADDETTI AL "CONTACT TRACING" SONO DISPERATI: PERCHÉ COME MOSTRANO I DATI DEL REPORT ISS E MINISTERO DELLA SALUTE, PER UN CASO POSITIVO SU TRE NON SI RIESCE PIÙ A RISALIRE ALL'ORIGINE DEL CONTAGIO...

-


Paolo Russo per “la Stampa”

 

tamponi drive in 1

Con la curva dei contagi che sale, cresce anche la domanda di tamponi. Ne sanno qualcosa le migliaia di italiani intrappolati nella propria auto dalle 5 alle 8 ore in fila per fare il test ai drive in. E chi va in ospedale aspetta fino a sette giorni per la risposta. Perché oltre il fuoco di 120-130 mila tamponi al giorno i nostri laboratori pubblici collassano. Ma in soccorso arrivano ora i medici di famiglia, con un piano per eseguire i tamponi rapidi nei loro studi, che ha già ottenuto la benedizione del Ministro Speranza.

 

A spiegarcelo è Pierluigi Bartoletti, vicepresidente dell'Ordine dei medici di Roma e vicesegretario vicario della Fimmg, la federazione dei medici di famiglia. Prima di tutto i test dei quali stiamo parlando sono quelli antigenici, che si eseguono sempre con il fastidioso bastoncino nel naso e nella gola, ma che danno una risposta sul posto in meno di 30 minuti, «grazie a un apparecchio di 20 centimetri per 20, concesso in comodato d'uso dalle aziende. Unico costo i 6 euro del kit composto da tampone, provetta e reagente, che è nulla rispetto ai 90 euro del tampone classico molecolare».

 

tamponi drive in a roma

«Con questo tipo di test - spiega sempre Bartoletti - fino a oggi abbiamo riscontrato pochissimi casi di falsi negativi e tutti con carica antigenica molto bassa e per questo poco o nulla contagiosi». Proprio oggi il commissario Arcuri chiuderà la gara per l'acquisto di 5 milioni di test rapidi.

 

«Ma siamo pronti a riaprirla e chiuderla entro due settimane per aumentare gli ordini e dare così piena attuazione al piano di approvvigionamento degli studi di medici di famiglia e pediatri» fanno sapere dalla struttura commissariale. Ma dove si potranno fare i test? «Non nei singoli studi medici ma in quelli dove lavorano in forma associata, le cosiddette Ucp, unità di cure primarie o Case della salute», precisa Bartoletti. In tutto circa seimila maxi-ambulatori sparsi in tutta Italia. Pronte a partire subito ci sono già Lazio, Piemonte, Veneto ed Emilia, ma appena arriveranno i rifornimenti promessi da Arcuri le altre seguiranno a ruota. Nel frattempo però sui tamponi è la solita babele regionale.

 

fila per i tamponi al drive in roma

Il 50% delle provincie non consente ai medici di famiglia di prescrivere direttamente quelli molecolari classici, costringendo i cittadini a passare prima per la Asl con ulteriore perdita di tempo. Alcune regioni, come Piemonte, Campania e Lombardia hanno chiesto una mano ai privati, mentre il Lazio ha detto che quei laboratori non offrono sufficienti garanzie.

 

Ma la giungla è anche nelle diverse strategie adottate per dare la caccia al virus. Secondo i dati del rapporto Altems dell'Università Cattolica, che verrà presentato oggi, ad aver fatto più tamponi nella settimana dal 30 settembre al 6 ottobre è il Lazio, con 9,3 persone testate ogni mille abitanti, seguito da Basilicata (8,7), Toscana (8,3), con il Piemonte (4,1) sotto la media italiana di 6,10 e relegate in fondo alla classifica Sicilia (4,0), Marche (3,9) e Puglia (3,6).

 

tamponi drive in

Non per questo chi più cerca trova. Secondo i grafici di Altems Lombardia, Molise e Basilicata a fronte di un maggior numero di tamponi della media scovano meno contagiati di Piemonte, Valle d'Aosta e Campania che poco cercano e molto trovano. «Le strategie sembrano basate più sulla capacità di fare test che sulla loro reale necessità. La risposta non è né razionale, né ottimale», sentenzia Americo Cicchetti, direttore di Altems. Mentre per il virologo Andrea Crisanti, «anziché i test ai contatti stretti dei positivi previsti dal contact tracing, quando ci sono casi e il virus può circolare bisognerebbe fare come al Senato il network tracing, testando l'intera comunità a rischio».

 

tamponi

Intanto gli uomini delle Asl addetti al contact tracing sono con la lingua di fuori, perché come mostrano i dati del report Iss e ministero della Salute, per un caso positivo su tre non si riesce più a risalire all'origine del contagio. E chi non sa di essere contagioso finisce inconsapevolmente per dare una mano al virus.