IL TUMORE ALLA VESCICA È IL QUARTO PIÙ DIFFUSO DOPO I 50 ANNI, MA GLI ITALIANI NON LO CONOSCONO O LO SOTTOVALUTANO – PREVENIRLO È POSSIBILE, CON UNA DIAGNOSI EFFICACE – UN SONDAGGIO RIVELA CHE SEI INTERVISTATI SU DIECI NON HANNO MAI SEGNALATO CAMPANELLI D'ALLARME AL PROPRIO MEDICO – A RISCHIARE DI PIU’ SONO I FUMATORI E CHI ESAGERA CON L’ALCOL. ECCO COSA C'È DA SAPERE
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Con oltre 25.500 nuovi casi ogni anno in Italia, il tumore alla vescica è la quarta forma di cancro più frequente nel nostro Paese dopo i 50 anni: nonostante colpisca soprattutto gli uomini, i numeri sono in crescita nel sesso femminile.
Eppure è una malattia ancora poco conosciuta e sottostimata dalla maggioranza degli italiani, che non sanno come si possa prevenirlo e riconoscerne i primi sintomi. Come dimostrano i dati raccolti per il progetto «U-Change» con l’obiettivo di capire quanto ne sanno gli italiani sul tumore della vescica.
I sintomi
Un numero su tutti rende bene l'idea: il 61% degli interpellati non è mai andato dal proprio medico per segnalare segni o sintomi come sangue nelle urine o bruciore durante la minzione. «Il carcinoma uroteliale, chiamato più comunemente tumore della vescica, è una neoplasia maligna che ha origine dall’urotelio, la mucosa che riveste internamente la vescica e le alte vie urinarie che convogliano l’urina dal rene nella vescica, che è l’organo più colpito da questo tumore — spiega Sergio Bracarda, direttore del Dipartimento di Oncologia all'Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni —.
Nell'80% dei casi la neoplasia interessa gli uomini, ma i numeri fra le donne sono in aumento e la patologia, nel sesso femminile, viene spesso riconosciuta tardi, oltre ad avere caratteristiche di maggiore aggressività. Il sintomo caratteristico è la presenza di sangue nelle urine (ematuria), ma non vanno trascurati neppure stimolo frequente e urgenza di urinare, bruciore, dolore pelvico e dolore alla schiena. E le cistiti ricorrenti, sovente sottovalutate dai pazienti e dagli stessi medici». In assenza di cure tempestive, la malattia può diffondersi alla parete muscolare che la circonda l'urotelio e raggiungere i linfonodi o altri organi come polmoni, fegato, ossa. «Arrivare alla diagnosi velocemente è fondamentale — continua l'esperto —, perché influenza la sopravvivenza futura, così come l’approccio terapeutico che, a seconda dello stadio del tumore, prevede interventi anche combinati tra chirurgia, chemioterapia, radioterapia e immunoterapia».
Chi rischia di più: lavoratori e tabagisti
Dal sondaggio, condotto da Nume Plus e presentato durante il congresso dell'associazione PaLiNUro (Pazienti liberi dalle neoplasie uroteliali), emerge che il 34% dei connazionali non sa quale sia lo specialista che si occupa di questa patologia, soltanto il 52% riconosce come causa principale il tabacco (inoltre circa un quarto dei casi è attribuibile a esposizioni lavorative in settori dove vengono impiegati soprattutto gli uomini), mentre quasi il 50% è convinto che il principale fattore di rischio sia la predisposizione genetica.
«Il fumo di sigaretta è da solo responsabile della metà dei casi circa — sottolinea Bracarda, che è anche presidente di SIUrO, Società italiana di uro-oncologia —, ma ci sono anche altri fattori di rischio come quello professionale, per esempio l’esposizione a coloranti (responsabile di un altro 5-6% dei casi) e la dieta, in cui sembra chiamato in causa l’alcol. Tra i cancerogeni ambientali vanno poi ricordate la presenza di arsenico nell’acqua potabile, le amine aromatiche e i pesticidi agricoli».
La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è di circa l’80% negli uomini e del 78% nelle donne, un dato dovuto al fatto che due terzi delle forme sono non infiltranti, cioè non hanno invaso la parete muscolare e hanno quindi un decorso più favorevole e una possibilità di guarigione più alta. Oggi sono disponibili in Italia diverse nuove cure che puntano a tenere sotto controllo la neoplasia quando arriva in fase avanzata e metastatica.
Il progetto U-Change
Con l’obiettivo di analizzare l’attuale modello di cura per il tumore della vescica, identificarne le criticità e disegnare un futuro modello di cura è nato il progetto «U-Change», ideato e realizzato da Nume Plus di Firenze, con il contributo non condizionante di Astellas Pharma, cui hanno partecipato 21 esperti tra medici, pazienti e istituzioni.
«L'obiettivo era ambizioso: per la prima volta, mettere sullo stesso piano i diversi attori che intercettano il paziente colpito da carcinoma avanzato della vescica nelle varie tappe del suo viaggio — racconta Bracarda —. Tutto il panel degli esperti ha esplorato le diverse dimensioni, discutendo e concordando sia le attuali limitazioni dei modelli di cura, sia le proposte di miglioramento per la costruzione di un futuro modello di cura ancora più efficace».
«È necessario promuovere delle efficaci campagne informative per aumentare il livello di conoscenza sia dei fattori di rischio, sia delle nuove possibilità terapeutiche — conclude Edoardo Fiorini, presidente dell'Associazione PaLiNUro —. Il progetto “U-Change” conferma la necessità che società scientifiche e associazioni di malati coinvolgano le istituzioni e gli altri professionisti sanitari in campagne informative sull’importanza della diagnosi precoce, dei fattori di rischio e delle opportunità di terapie. Coniugi, partner e familiari sono spesso poco informati, addestrati e supportati nelle diverse fasi del percorso della malattia. È importante quindi fornirgli servizi di conoscenza della patologia, gruppi di ascolto, materiale educazionale».