TUTTE LE DOMANDE SUL VACCINO PER IL CORONAVIRUS – NELLA SECONDA METÀ DI GENNAIO SI DOVREBBE COMINCIARE CON LA SOMMINISTRAZIONE DELLE PRIME DOSI DI QUELLO DI PFIZER: 3,4 MILIONI IN TUTTO. POI ENTRO GIUGNO ARRIVERANNO 70 MILIONI DI DOSI DI QUELLO DI OXFORD/POMEZIA – NON SARÀ OBBLIGATORIO MA PER CHI LAVORA NEL “PUBBLICO SERVIZIO” SARÀ CONDIZIONE PER CONTINUARE A LAVORARE – L’IMMUNITÀ E GLI EFFETTI COLLATERALI: LE RISPOSTE DELL’INFETTIVOLOGO MASSIMO GALLI
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Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera”
Finalmente ci avviciniamo al momento in cui anche in Italia saranno somministrate le prime dose dei vaccini. Dalla seconda metà di gennaio, verranno distribuite le prime dosi del vaccino Pfeizer/Biontech, poi seguiranno altri prodotti ancora in via di sperimentazione.
Ma quali saranno i criteri e le priorità della somministrazione? E quali certezze abbiamo sull' efficacia e sui possibili effetti collaterali? Abbiamo provato a fare un quadro delle questioni principali e dello stato dell' arte, con l' aiuto del professor Massimo Galli, infettivologo dell' ospedale Sacco di Milano.
Che avverte: «Stiamo arrivando al dunque. Ricordiamoci che vaccinarsi sarà un dovere civico per tutti».
1 – Qual è il primo che arriverà in Italia?
Sono tre i vaccini contro il Covid in avanzato stato di sperimentazione. Quello prodotto da AstraZeneca, multi-nazionale svedese-britannica con sede a Londra, in collaborazione con lo Jenner Institute dell'Università di Oxford e con la Irbm di Pomezia; quello di Moderna, realizzato in collaborazione con il National institute of health (Nih); e quello prodotto da Pfizer/Biontech, che è l'unico che ha già concluso la fase III del-la sperimentazione e sarà il primo ad arrivare in Italia.
2 – Quando arriverà e quante dosi saranno somministrate?
Nella seconda metà di gennaio, secondo quanto prevede il commissario Domenico Arcuri, comincerà la somministrazione delle prime dosi di vaccino Pfi-zer: 3,4 milioni in tutto. Dovendosi ripetere due volte la vaccinazione, riguarderà 1,7 milioni di italiani.
È la quota stabilita da un accordo europeo. Solo per il vaccino Pfizer la Ue ha opzionato 200 milioni di dosi più altre eventuali 100, che per l'Italia ammontano a 27 milioni di dosi (il 13,51 % del totale). Per quanto riguarda gli altri vaccini, occorrerà aspettare la fine delle sperimentazioni. Secondo Arcuri, «una parte importante della nostra popolazione riceverà la somministrazione entro il terzo trimestre del prossimo anno». E il presidente Irbm di Pomezia Piero Di Lorenzo promette 70 milioni di dosi del vaccino di Oxford entro giugno.
3 – Come sarà distribuito e quali categorie avranno la priorità?
Le Regioni devono indicare entro oggi i presidi idonei per conservare il vaccino Pfizer, che deve restare a una temperatura tra -70 e -80 gradi. Secondo Arcuri, per la somministrazione bisogna considerare «esposizione al contagio» e «livello di fragilità».
Ma il commissario chiarisce che è solo un'indicazione e dovranno essere governo e Parlamento a decidere le priorità. Secondo Galli, bisognerebbe cominciare con «le persone incaricate di pubblico servizio», personale sanitario, ma anche forze dell'ordine e insegnanti, e con le persone più fragili, dunque malati e anziani. I medici in Italia sono 240 mi-la e gli infermieri 450 mila. Difficile una stima degli anziani nelle Rsa: i posti letto sono quasi 30o mila. Dunque un milione circa, su dosi disponibili per 1,7 milioni di persone.
4 – Sarà obbligatorio per tutti o solo per alcune categorie?
Il problema si pone per due ordini di motivi. Il primo è che non si sa se e quando saranno disponibili vaccini per tutti. Il secondo è che c'è una crescente quota di popolazione che non vuole vaccinarsi. Secondo il professore Galli, si potrebbe avere «un risultato importante già con una copertura del 60-80 per cento della popolazione». Quanto all'obbligatorietà, per l'infettivologo serve innanzitutto «persuasione».
Ma per le categorie del «pubblico servizio» il vaccino «andrà posto chiaramente come condizione per continuare a esercitare l'attività». Le difficoltà non mancano, se è vero che la vaccinazione degli ultrasettantacinquenni nell'ultimo anno è stata del 54%. Pesano le difficoltà organizzative e i pregiudizi, secondo Galli: «A causa di alcune leggende metropolitane, c'è stato un crollo delle vaccinazioni in diverse circo-stanze, nel 2009 e poi nel 2014-2015».
5 – C’è la possibilità di effetti collaterali gravi e duraturi?
Secondo il professor Galli, «l'effetto collaterale grave del non vaccino è il Covid». Detto questo, i criteri di sicurezza dei vaccini sono elevati: «Potrebbero emergere problemi di varia natura all'inizio, ma dubito che saranno rilevanti».
La rivista Science ha diffuso una ricerca secondo la quale sono stati rilevati «effetti collaterali intensi, ma non pericolosi e tutti di breve durata, in alcuni volontari delle sperimentazioni dei vaccini anti-Covid di Pfizer e Moderna». La frequenza sarebbe più alta rispetto ad altri vaccini, come quello per l'influenza.
Meno del 2% dei volontari ha avuto febbre alta tra 39 e i 40 gradi e con quello di Moderna il 9,7% ha riportato fatica, 1'8,9% dolori muscolari, il 5,2% dolori alle articolazioni e il 4,5% mal di testa. Dunque, effetti non invalidanti e rapidamente riassorbiti che non mettono in dubbio l'efficacia dei vaccini e la necessità di usarli.
6 – Quanto durerà l’effetto e il virus sarà debellato per sempre?
Domanda senza risposta certa, come spiega il professor Galli: «Ci sono evidenze che parlano di un calo abbastanza rapido di anticorpi in pazienti post Covid e di alcuni casi di reinfezioni. Ma dovrebbe rimanere presente anche un'immunità cellulare robusta».
La scienza non ha ancora risposte rispetto alla durata dell'immunità e a cosa succederà in caso di «genetic shift», mutazione genetiche. Non è escluso che la vaccinazione debba essere ripetuta periodicamente, magari ogni anno come accade con l'influenza, e che il vaccino cambi di volta in volta per adeguarsi al ceppo più presente. Ma che il vaccino possa debellare una volta per tutte il Covid è, per ora, solo una speranza. Del resto, tutti gli studi spiegano che viviamo in un'epoca in cui le pandemie sono dietro l'angolo e dobbiamo abituarci a pensare che i virus debbano essere combattuti di volta in volta.