Federico Rampini per “la Repubblica”
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È lungo 114 pagine l' elenco di prodotti cinesi sui quali da ieri sono scattati i nuovi dazi del 15% negli Stati Uniti. Dai televisori alle scarpe e articoli sportivi, il ventaglio copre 112 miliardi di importazioni annue. I dazi sono ormai l' arma principale che Donald Trump usa nella sua nuova diplomazia: un arsenale dirompente con cui vuole ridisegnare i rapporti di forze mondiali, le regole del gioco nell' economia globale.
È già possibile individuare vincitori e perdenti, in questo capitolo di storia delle relazioni internazionali? A sorpresa un vincitore del primo "round" è il mercato finanziario americano: Wall Street e il dollaro sono ai massimi. Quando il gioco si fa duro, quando l' incertezza aumenta, i capitali del mondo intero (cinesi inclusi) tendono ancora a rifugiarsi negli Stati Uniti.
L' elenco dei perdenti vede in testa le economie che più dipendono dalle esportazioni: Germania, Cina; seguirà inevitabilmente l' Italia. Il clima americano non è euforico, in realtà. La maggior parte degli esperti prevede che queste ultime raffiche di dazi colpiranno i consumatori, nella stagione in cui si concentrano le maggiori spese, fra la riapertura delle scuole e Natale.
Se l' escalation delle rappresaglie Washington-Pechino non viene interrotta da qualche tregua, a fine anno il 97% dei prodotti "made in China" (oltre 500 miliardi di dollari annui di importazioni) saranno soggetti a una tassazione doganale che pareggia quei superdazi da sempre applicati in Cina.
Finora gli allarmi sui prezzi per il consumatore americano si sono rivelati infondati, l' inflazione Usa resta sotto il 2% nonostante siano in vigore da oltre un anno altri dazi sui beni cinesi. Ma la U.S. Chamber of Commerce implora Trump di fermare la guerra commerciale: secondo questa organizzazione confindustriale, quando non è il consumatore a pagare i dazi sotto forma di rincari è perché sono le aziende a sacrificare i propri margini di profitto per non subire un calo di vendite; ma questo prima o poi si riflette in un taglio agli investimenti e all' occupazione.
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Segnali di difficoltà all' interno degli Stati Uniti ce ne sono già; a cominciare da quei settori che subiscono le rappresaglie cinesi, come gli agricoltori del Midwest (serbatoio di voti repubblicani). Però il verdetto dei mercati finanziari è positivo. A giugno è scattato un boom d' investimenti dal resto del mondo verso gli Stati Uniti: 64 miliardi di dollari è stato il flusso di capitali esteri. Gli indici azionari Usa segnano un rialzo del 17% dall' inizio dell' anno e surclassano il resto del mondo.
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Anche il dollaro è ai massimi storici, rasenta la parità con l' euro, ha superato i 7 renminbi cinesi. Le spiegazioni sono tante, i titoli pubblici americani oltre a essere i più liquidi e sicuri del pianeta danno un rendimento positivo, mentre gli interessi a lungo termine tedeschi sono negativi. Dietro c' è la performance delle economie reali. La Germania è in recessione e si ostina a non varare misure di sostegno alla crescita. Paese mercantilista che si fa trainare dagli altri e accumula avanzi commerciali, la Germania paga un prezzo alto in una fase di protezionismo.
L' Italia ne subisce il declino visto che le parti più sane della nostra economia sono strettamente integrate a quella tedesca. La Cina continua a crescere ma il suo più 6% del Pil è la velocità più bassa da trent' anni. Xi Jinping risponde colpo su colpo ai dazi di Trump, in quella che ormai è anche una sfida tra due sovranismi e tra due decisionisti dall' ego ipertrofico; ma la sua capacità di infliggere danno è molto inferiore a quella americana, viste le asimmetrìe tra una superpotenza esportatrice ed una importatrice netta.
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Il 30% delle imprese americane inoltre sta "rallentando, rinviando o cancellando" i propri investimenti in Cina, secondo un' indagine dell' US-China Business Council. Volenti o nolenti tutti si preparano ad una guerra di lungo periodo. Per motivi di sicurezza nazionale e timori di spionaggio Washington ha bloccato il completamento di una gigantesca infrastruttura telecom Usa-Cina: la nuova "autostrada a fibre ottiche" sotto il Pacifico, il Light Cable Network per il quale già sono stati posati 13.000 km di cavi da Los Angeles a Hong Kong. È un altro segnale della deriva geoeconomica dei continenti, la nuova guerra fredda in cui siamo di fatto entrati.
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