1 - ALITALIA, DI MAIO CONTRO ATLANTIA "NON SI BARATTANO I MORTI DEL MORANDI"
Rosaria Amato per “la Repubblica”
La scadenza per la presentazione delle offerte vincolanti per Alitalia è passata senza che si profili alcuna soluzione per la compagnia area italiana. Da oggi ogni momento è buono per una nuova proroga, l' ottava. Due o tre settimane, forse più, per definire una situazione che appare di stallo dopo il passo indietro, nei giorni scorsi, di Atlantia e la presa d' atto di Ferrovie che non ci sono ancora le «condizioni necessarie per il consorzio».
Ad animare l' ennesima giornata del conto alla rovescia verso il nulla sono arrivate le parole di Delta, che ha riconfermato il proprio interesse «di vecchia data nel partecipare al rilancio di Alitalia», impegnandosi «a mantenere una forte partnership tra le due compagnie aeree». «Il nostro interesse e la nostra visione sono stati ben espressi alle Ferrovie dello Stato (Fs) e al ministero dello Sviluppo economico e siamo pronti a investire fino a 100 milioni di euro per una partecipazione del 10% in Alitalia», ribadisce il vettore statunitense. Nulla di nuovo, ma una conferma della serietà delle proprie intenzioni.
La giornata di impasse registra anche un intervento di tutt' altro tenore di Luigi Di Maio, che si scaglia contro Atlantia accusandola di essersi «fatta avanti» solo per tutelarsi rispetto alla tragedia di Genova: «Il ponte Morandi, e i loro morti, non si barattano con nessuno. Su Alitalia c' è stato sicuramente un comportamento poco serio. Prima Atlantia, del gruppo Autostrade, ha fatto di tutto per entrarci e ora dicono che non ci sono le condizioni». Da Atlantia nessuna risposta, anche perché Di Maio, in quanto ministro degli Esteri, non ha ora alcun ruolo nel dossier Alitalia.
In apparenza rassicurante invece l' intervento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Ci impegneremo perché ci sia una soluzione industriale. Un salvataggio rabberciato con le toppe lascia il tempo che trova e non offre opportunità di sviluppo ». Parole che lasciano intendere che in questa nuova fase delle trattative il governo voglia assumere un ruolo di protagonista, auspicato, sostengono fonti vicine al dossier, anche dai possibili partner.
In particolare i dubbi di Lufthansa, che ha espresso maggiori perplessità, potrebbero essere fugati da assicurazioni concrete da parte dell' esecutivo. «È anche un problema di politica nazionale. Non è solo una questione di immagine la compagnia di bandiera», sottolinea infatti Conte.
Intanto i sindacati di categoria Cgil, Cisl, Uil e Ugl confermano lo sciopero indetto per il 13 dicembre.
2 - IL BIVIO DEI BENETTON INGRESSO NELLA COMPAGNIA O RISCHIO CONCESSIONI
Ettore Livini per “la Repubblica”
I Benetton si presentano all' ultimo miglio della partita Alitalia tenendo il coltello dalla parte del manico (il loro "sì" è decisivo per salvare la compagnia) ma con un delicatissimo dubbio strategico: come salvare le concessioni autostradali - a rischio ritiro dopo la tragedia del Ponte Morandi - senza mettere nei guai Fiumicino.
L' altro gioiello di famiglia che rischia di pagare un pedaggio salatissimo all' eventuale crac dell' ex compagnia di bandiera.
Atlantia, dal suo punto di vista, ha giocato fin qui la sua partita senza sbagliare un colpo: ha lasciato che la politica si incartasse nel tentativo - inutile - di trovare un compratore per la società. A luglio scorso, con l' operazione salva-Alitalia in altissimo mare, la famiglia di Ponzano Veneto ha fatto "outing": candidandosi a togliere le castagne dal fuoco all' esecutivo Conte 1 sul fronte aeronautico con il chiaro obiettivo di ridurre al minimo i danni su quello delle Autostrade, la vera gallina dalle uova d' oro del gruppo.
L' obiettivo è stato in parte già raggiunto: la minaccia di ritiro tout court delle concessioni - cavallo di battaglia dei cinque stelle - è stata ridimensionata da Giuseppe Conte, presentando il programma del governo giallorosso, in una più morbida «revisione». I Benetton - per evitare sorprese - vorrebbero mettere subito nero su bianco nei dettagli i termini di questo compromesso prima di aprire il portafoglio per Alitalia (sono stati già soci in passato perdendo oltre 100 milioni).
Ma le trattative stanno andando per le lunghe e la dinastia veneta, guarda caso, ha frenato sull' ipotesi di ingresso con il 35% nella compagnia. «Il permanere della situazione di incertezza su Autostrade per l' Italia - ha ammesso Atlantia in una lettera al Mise di inizio ottobre esplicitando il do ut des - non consentirebbe di impegnarsi in un' operazione complessa» come quella di Alitalia. E il passo indietro annunciato alla vigilia del termine per la vendita dell' aerolinea è la conferma implicita che di certezze, sul fronte dei caselli, non ce ne sono ancora.
Il rischio per i Benetton è che la linea dura si trasformi ora in un boomerang. Il fallimento di Alitalia non sarebbe indolore per i conti del gruppo. Atlantia controlla tramite Adr il 100% di Fiumicino.
E la ex compagnia di bandiera, per quanto un po' malmessa, garantisce il 40% del traffico sullo scalo della Capitale dove fa volare oltre 16 milioni di passeggeri l' anno. L' eventuale crac della società aprirebbe quindi una voragine nei ricavi dell' aeroporto. E per compensare buchi di questo tipo - come dimostra l' esperienza di Malpensa tradita da Alitalia nel 2007 - ci vogliono almeno 10 anni.
La famiglia veneta però non sembra aver dubbi: il gioco, anche se assomiglia un po' a un rischiatutto, vale la candela. I profitti delle Autostrade sono troppo importanti per il gruppo. Le casseforti dei Benetton hanno incassato dal 2012 1,7 miliardi di dividendi grazie ai pedaggi raccolti ai caselli, soldi che servono a compensare le perdite della moda. Mentre Aeroporti di Roma, malgrado il netto miglioramento di servizi e risultati, è ben lontano da quella redditività. Risultato: Atlantia, numeri alla mano, ha alzato in questi giorni le barricate attorno alle concessioni. Pronta ad affrontare il rischio di vedere Fiumicino orfana di Alitalia.