GIORGETTI HA VINTO LA BATTAGLIA SULL’EMENDAMENTO “CALTAGIRONE” AL DDL CAPITALI. MA VINCERÀ LA GUERRA? – LA NORMA SULLA GOVERNANCE DELLE SOCIETÀ QUOTATE, CONCEPITA DA FAZZOLARI CON L’EDITORE DEL SUO GIORNALE PREFERITO (“IL MESSAGGERO”) VIENE RIMANDATA A UNA LEGGE DELEGA. DAL TESORO HANNO FATTO CAPIRE ALLA MELONI CHE IL PREMIO ALLE MINORANZE METTEVA A RISCHIO LA FIDUCIA VERSO L’ITALIA, ED ERA STATO ACCOLTO CON MOLTO SCETTICISMO DAGLI INVESTITORI. MEGLIO DISCUTERNE COI MERCATI...
-Estratto dell’articolo di Giuseppe Colombo per www.repubblica.it
Il passo indietro, dopo il blitz. Non una ritirata perché comunque Giorgia Meloni potrà dire che le regole per il rinnovo dei consigli di amministrazione delle società quotate comunque cambieranno. Ma la premier ha ben poco da festeggiare guardando a quello che c’è scritto nella riformulazione dell’emendamento che i relatori al disegno di legge Capitali hanno depositato in commissione Finanze, al Senato, dove è in esame il provvedimento che conterrà anche una norma sulla lista del cda.
[…] la missione che la presidente del Consiglio aveva affidato ai suoi […] puntava […] a smontare l’impianto in vigore oggi, che consente al management in carica di presentare all’assemblea la lista dei nuovi consigliere da eleggere. Tutto tranne che un disegno tecnico, quello di Palazzo Chigi. I paletti fissati da Fratelli d’Italia, con la sponda di FI, avrebbero impattato fortemente sugli equilibri di alcune delle partite più delicate che riguardano il capitalismo italiano. Si chiamano Mediobanca, Generali e Tim.
E questo perché la proposta di modifica riconosceva un premio considerevole alle minoranze: il 49% dei consiglieri alla lista sconfitta, nel caso in cui avesse raccolto più del 20% dei voti. Un super premio, considerato che, in caso di vittoria, la lista del cda avrebbe ottenuto appena il 50% più uno dei consiglieri.
Ma il piano originario di Meloni, che alcuni osservatori hanno letto come un sostegno alla battaglia di Francesco Gaetano Caltagirone per il controllo di Generali, prevedeva anche un quorum elevato (4/5) che di fatto limitava pesantemente il meccanismo di autoperpetuazione del cda uscente, una regola consolidata del mercato.
[…] Il passo indietro, dunque. La nuova versione dell’emendamento, sottoscritto sempre dai relatori, ha il parere favorevole del ministero dell’Economia. Questa volta sì, perché la prima versione non è stata mai digerita a via XX settembre. E il titolare del Tesoro Giancarlo Giorgetti, negli scorsi giorni aveva invitato – eufemismo – ad aspettare “la versione definitiva” del testo “che avrà il parere favorevole” del Mef.
[…] Anche se la questione viene rimandata dal governo a una sintesi parlamentare, dietro la lista della discordia c’è la traccia di una divergenza tra Palazzo Chigi e il Mef che, alla fine, ha portato la premier a dover prendere atto di una preoccupazione. Diffusa sul mercato, tra gli investitori, soprattutto internazionali, che hanno avvisato il Tesoro. Più o meno così: i paletti alla lista del cda minano la fiducia verso l’Italia. E mettono a rischio l’impegno sull’acquisto del debito.
Il nuovo emendamento, dunque. Il quorum per deliberare la presentazione della lista da parte del cda uscente scende da 4/5 a 2/3 degli amministratori: c’è un paletto, ma decisamente più morbido rispetto a quello iniziale.
Soprattutto […] niente più super premio a chi non vince: chi raccoglierà più del 20% dei voti avrà un numero di consiglieri assegnato in modo proporzionale ai consensi raccolti. Tra l’altro non tutte le liste di minoranza potranno ambire al cda per via di una soglia di sbarramento fissata al 3%.
Spetta ora alla commissione Finanze di Palazzo Madama dare il via libera alle modifiche. Le nuove regole entreranno in vigore nel 2025, in tempo per l'assemblea di Generali, che si terrà a maggio. Almeno questo c’è scritto nell’emendamento.
Ma i giochi sono aperti. E questo perchè c’è un altro emendamento al disegno di legge Capitali, presentato dal governo, che assegna allo stesso esecutivo una delega per riformare il Tuf. È il Testo unico per la finanza che risale al 1998, quando Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro, mise ordine alle normative che regolano i mercati e gli intermediari finanziari.
Il perimetro della delega, tra gli altri punti, tiene dentro anche l’elezione degli organi societari, oltre al voto multiplo, un’altra delle questioni che possono impattare sulle grandi partite del capitalismo nostrano.
Ha un vantaggio, la delega al governo per la revisione del Tuf: guarda al mercato. Gli operatori hanno accolto con entusiasmo la bozza dell’emendamento che annuncia la delega. Che avrà un anno di tempo per rimettere ordine a una normativa che […] “si è provato a storpiare con la versione iniziale dell’emendamento”. […]