Eugenio Occorsio per Affari&Finanza – la Repubblica
Man mano che vengono elaborati, i dati del 2017 confermano che è stato l' anno di una significativa rivoluzione nell' economia digitale e multimediale: non solo la pubblicità su Internet ha scavalcato quella televisiva su scala mondiale con 88 miliardi di dollari di giro d' affari (+21,4% sull' anno precedente contro il -2,6% della tv che è scesa a 70 miliardi), ma anche in Italia a ben guardare è vero che il web è ancora il secondo mezzo con il 30% del totale del mercato contro il 50% della televisione, con riferimento agli investimenti pro capite il sorpasso è avvenuto.
«Se guardiamo al rapporto fra investimenti pubblicitari web e utenti web giornalieri, scopriamo che il valore è di 100 euro mentre l'analogo rapporto investimenti/ spettatorie per la tv è di 80 euro», spiega Carlo Noseda, che oltre ad essere amministratore delegato di M&C Saatchi Italia è dal 2014 presidente per il nostro paese dello Iab (International advertising bureau), la più importante associazione nel campo della pubblicità digitale che rappresenti l' intera filiera del mercato della comunicazione interattiva.
«Pensi,a riprova di come cresce rapidamente questo mercato, che venti anni fa ogni individuo online valeva in termini di investimenti pubblicitari 5,7 euro, e 50,7, la metà di oggi, nel 2011».
Cosa comporta la nuova realtà?
«È l' ulteriore conferma che il mercato digitale ha un ruolo decisivo per l' economia italiana, con un valore di 58 miliardi che arrivano considerando l' indotto a 80 miliardi e un'occupazione di 600mila persone. La sola pubblicità digitale è cresciuta nel 2017 del 12% fino a 2,7 miliardi, e le prospettive per l' anno in corso sono altrettanto favorevoli. Però, nel momento in cui prendiamo atto di questi importanti fatti, ci sono misure da prendere subito».
Quali misure?
«Intanto occorre prendere atto che il 71% del fatturato pubblicitario online, e ben il 90% del fattore di crescita, finisce a due player, Google e Facebook. È una situazione evidentemente da riequilibrare, e la misura più urgente è ristabilire l' equità fiscale».
È l'antica questione del fatturato realizzato in Italia ma contabilizzato in Paesi a fiscalità più favorevole, tipo Irlanda e Lussembrugo? Non era già stata denunciata e risolta?
«Denunciata sì, eccome. Ma risolta non ancora. Ci sono grandi disparità fra imprese nazionali e competitor stranieri. Bisogna riconoscere con la massima chiarezza la creazione del valore e dove esso viene tassato. Non mettiamo in discussione la capacità di innovazione degli over the top mondiali, ma se queste aziende pagano poche tasse hanno più risorse da destinare alla ricerca e altri investimenti a differenza delle aziende italiane. E questo non è giusto. Chiediamo regole fiscali chiare e uguali per tutti. E, con l' occasione, sarebbe auspicabile mettere in campo incentivazioni di qualche tipo, anche minimamente influenti sul bilancio dello Stato, a favore delle aziende italiane».
Venendo a un altro argomento scottante, la privacy, in primavera contemporaneamente è entrata in vigore la direttiva europea Gdpr ed è esploso il caso Cambridge Analytica. Quali iniziative avete in corso al proposito?
«Premesso che uno scandalo della portata di Cambridge Analytica (87 milioni di utenti Facebook "violati", ndr) mette in evidenza la difficoltà di un colosso del web come Facebook nel garantire la tutela dei dati dei propri utenti, ossia le fondamenta su cui si basa la legittimità del social network stesso, il possesso di dati sensibili che tracciano l' identikit online di miliardi di persone porta inevitabilmente una maggiore responsabilità sociale da cui i big del settore non possono sottrarsi, e anzi dovrebbero curare con più attenzione.
Questa vicenda ha minaccato di ripercuotersi sull' intera industria della pubblicità digitale. La direttiva Gdpr è un buon inizio, non a caso nasce non in America ma in Europa dove c' è maggiore sensibilità sul tema, che potrebbe portare un nuovo rinascimento del web. Purché sia applicata integralmente e correttamente. Un framework, una cornice, comune e condivisa sulla trasparenza nell' utilizzo dei dati da parte delle società diviene ancora più urgente.
Come associazione a livello europeo, stiamo portando avanti il Gdpr Transparency & Consent Framework, in grado di fornire a editori, inserzionisti e aziende adtech strumenti comuni con cui riconoscere e comunicare il consenso del consumatore per la pubblicazione di contenuti e pubblicità in linea con il Gdpr, impedendo così ai player di utilizzare i dati degli utenti per scopi diversi da quelli inizialmente dichiarati. In questo modo si dovrebbe garantire una maggiore tutela sia nella fase di raccolta, che di utilizzo dei dati degli utenti. Una prospettiva nobile, che vorremmo fosse sposata diligentemente da tutti gli operatori, grandi o piccoli che siano ».
Quali altre misure avete in cantiere per valorizzare la portata del digitale nell' economia?
«La prossima iniziativa sarà il lancio di "Iab Quality Index" una sorta di rating, di bollinatura, sui siti stessi che accolgono la pubblicità online, da quelli delle aziende editoriali a quelli delle associazioni o di chiunque altro.
Con la collaborazione di alcuni partner tecnologici abbiamo predisposto un paniere di parametri di affidabilità, che gli utenti pubblicitari potranno consultare al momento di assegnare i budget, dall' affollamento pubblicitario alla garanzia che quel sito, anche inavvertitamente, non "gonfi" la propria audience con l' ausilio di software-robot che si fingono utenti "autentici". Il tutto andrà a integrarsi con l' Audiweb, che calcola quantitativamente le pagine viste e il parco utenti, cercando di fare un' analisi qualitativa ancora più approfondita».