“È STATA SUZANNE HEYWOOD, PUPILLA DI JOHN ELKANN, A COSTRUIRE LA TRAPPOLA IN CUI È CADUTO ANDREA AGNELLI” – GIGI MONCALVO RICOSTRUISCE IL SILURAMENTO DEL PRESIDENTE DELLA JUVENTUS: “NON SI È DIMESSO, È STATO ‘DIMESSO’, LO HANNO COSTRETTO AD ANDARSENE, SI È TROVATO IN MINORANZA NEL CONSIGLIO (SI PARLA DI SEI VOTI CONTRO, UN INDECISO A TUTTO, PAVEL NEDVED, E SOLO DUE A FAVORE, LO STESSO AGNELLI E IL SUO FEDELE FRANCESCO RONCAGLIO). SI ERA PRESENTATO PIENO DI CERTEZZE E SICURO DI SFANGARLA UN'ALTRA VOLTA. CONTAVA SUL FATTO CHE IL CUGINO JOHN ELKANN NON VOLESSE AFFONDARE IL COLPO DECISIVO. MOLTI DEI CONSIGLIERI COVAVANO DENTRO DI SÉ DA MESI, FORTI DI AUTOREVOLI PARERI LEGALI, IL TIMORE DI FINIRE NEI GUAI CON LA MAGISTRATURA PER AVER ‘ACCOMPAGNATO’ ANDREA NELLE SUE ‘ACROBAZIE’ ED ERANO PRONTI AD ABBANDONARLO…”
Gigi Moncalvo per “La Verità”
A guidare le operazioni è stata una donna. Si chiama Suzanne Heywood, è managing director di Exor e presidente di Cnh Industrial Nv. È la nuova luce della pupille di John Elkann. Sul sito della Juventus è indicata come «amministratore» del club. In realtà da pochi mesi è il braccio armato di Jaky e plenipotenziaria per gli affari anche della Juve, che ormai era diventato un ex-assett.
È nata a Southampton, in Inghilterra, e ha conseguito un master in Scienze presso l'Università di Oxford e un dottorato di ricerca presso l'Università di Cambridge dopo un'infanzia trascorsa a navigare intorno al mondo su una barca. Suzanne ha iniziato la sua carriera professionale nel Tesoro del Regno Unito.
Nel 1997, è entrata a far parte di McKinsey & Company, dove ha ricoperto posizioni sempre più importanti, tra cui senior partner e co-leader della linea di servizi globali di McKinsey sul cambiamento del modello operativo per diversi anni, lavorando a lungo su questioni strategiche. Suzanne è anche membro del consiglio di amministrazione del settimanale inglese The Economist.
È stata lei a costruire la trappola in cui è caduto Andrea Agnelli. Diciamolo subito: l'ex presidente della Juve non si è dimesso, è stato «dimesso», lo hanno costretto ad andarsene, si è trovato in minoranza nel consiglio (si parla di sei voti contro, un indeciso a tutto, Pavel Nedved, e solo due a favore, lo stesso Agnelli e il suo fedele Francesco Roncaglio).
Secondo una ricostruzione di buona fonte, l'ex presidente della Juve si era presentato pieno di certezze e sicuro di sfangarla un'altra volta. Contava sul fatto che il cugino John Elkann - il vero proprietario della Juve -, non volesse affondare il colpo decisivo. Si basava su questa errata convinzione: «Fino a che non sarà terminata l'inchiesta della Procura della Repubblica, Jaki non avrà il coraggio di farmi fuori: sarebbe ingiusto e di cattivo gusto colpevolizzarmi e non credere nella mia innocenza fino a prova contraria e fino all'eventuale rinvio a giudizio o all'esito dell'eventuale processo. Sarebbe una sorta di dichiarazione di colpevolezza ancor prima del termine delle indagini».
E invece John non solo ha impugnato il «coltello» ma questa volta non è nemmeno andato, come all'inizio dell'estate scorsa, alla Mandria chiamato da Allegra Agnelli, la vedova di Umberto, che era interceduta positivamente a favore del figlio Andrea il cui destino era già segnato.
Questa volta John ha lasciato le sue impronte: dopo aver suggerito ai suoi consiglieri come comportarsi, e aver fatto piazza pulita, «Agnelkann» - come vorrebbe essere chiamato - con la pistola ancora fumante ha fatto subito nominare dal cda un suo uomo di fiducia ed ex compagno al Politecnico, Maurizio Scanavino, già a capo di Gedi, direttore generale.
In più, dato che una spa non può restare senza un consigliere, ha «ordinato» a un altro suo uomo, Maurizio Arrivabene, di restare in carica. E il cda ha subito eseguito (tra l'altro nei giorni scorsi l'entourage di John aveva fatto circolare la voce che proprio Arrivabene e Andrea sarebbero stati mandati a «risanare», pensa te, la Ferrari).
Andrea non si sarebbe mai aspettato un «golpe» di questo genere. Era entrato in consiglio baldanzoso come sempre e sicuro di far approvare il suo piano («Nuovo progetto di bilancio») da inviare a Procura della Repubblica, Consob e Deloitte & Touche (la società di revisione, ovviamente pagata dalla Juventus) per confutare le accuse di aver truccato i bilanci, reso false comunicazioni al mercato nascondendo le perdite prima con plusvalenze fittizie e poi con manovre poco trasparenti sugli stipendi dei calciatori e infine con false fatturazioni per «ripagare» alcuni procuratori sportivi per le loro trattative sui calciatori minorenni.
Agnelli in sostanza con questo piano di fatto riconfermava di voler portare avanti, anzi di inasprire, il suo braccio di ferro con la magistratura e farsi forte di un voto unanime del cda. Non gli era bastato capire la determinazione dei pm allorché avevano chiesto addirittura il suo arresto, scongiurato dalla decisione del gip di non convalidare la misura cautelare.
Lunedì Andrea, inoltre, intendeva ottenere l'appoggio del cda anche per ragioni finanziarie di carattere personale. Attraverso le sue società londinesi possiede un bel pacchetto di azioni del club (le ha prese in quota a poco più di 1 euro e ora valgono poco più di 20 centesimi, con una perdita di quasi l'80%) e per salvare il gruzzoletto aveva bisogno di allungare i tempi della sua permanenza.
Possibile che Andrea non avesse capito che era riuscito ad accentrare e fare suo il settore tecnico-sportivo della Juve ma aveva consentito a John di avere in pugno la maggioranza del cda (almeno quattro membri su nove e altri due pronti a saltare sul suo carro) visto che è lui, attraverso la Exor, ad aver aperto e ad aprire il portafoglio ormai da cinque anni a questa parte?
Le cose per Andrea si sono subito messe male, nel pomeriggio di lunedì. Molti dei consiglieri covavano dentro di sé da mesi, forti di autorevoli pareri legali, il timore di finire nei guai con la magistratura per aver «accompagnato» Andrea nelle sue «acrobazie» ed erano pronti ad abbandonare un presidente che li aveva sempre tagliati fuori dalle decisioni. In queste occasioni è importante trovare chi ha il coraggio di aprire il fuoco. Ci hanno pensato tre donne sotto la regia-ombra (ma non tanto) di Suzanne Heywood.
Ad aprire le ostilità è stata Daniela Marilungo, 52 anni, bolognese e con un curriculum di grande prestigio: ha lavorato alla Commissione europea, a Goldman Sachs e Merril Lynch, l'Abi (Associazione bancaria italiana) l'ha incaricata di curare le relazioni con l'Ue, ha vinto il premio come «Best european lobbist» (un riconoscimento tanto caro a gente come John). Marilungo deve aver pensato: «Perché devo rischiare di sporcare il mio curriculum? Ne vale la pena?».
Ai suoi rilievi, che ha voluto fossero messi a verbale e diffusi pubblicamente in un comunicato ufficiale, si sono subito accodate Assia Grazioli Venier e Caitlin Mary Hughes, che non si intendono di calcio ma hanno seguito i suadenti e delicati «suggerimenti» di John, che li aveva a suo tempo indicate in quel posto. Assia, comunque, è una investor nel calcio femminile americano (possiede quote della squadra Washington Spirit) ed ha convinto della validità di questo business le figlie di Bush e di Clinton.
Inoltre è stata consulente di Spotify (il principale sponsor del Barcellona) e fondatrice del Muse Capital, un fondo che investe su start-up tecnologiche. Caitlin Mary Hughes (moglie di Saverio Grazioli Venier, un executive coach, e quindi cognato di Assia, visti i cognoni?) a sua volta è amministratore delegato del famoso gruppo Magnum, il nome più famoso tra le agenzie fotografiche del mondo. Inoltre ha lavorato a Bbc Europe ed è tesoriere della David Nott Foundation che si occupa di medici e infermieri nelle zone di guerra.
La vera first lady della Juve, Suzanne Heywood, insieme alle sue tre «scudiere» (altro che la turca moglie di Andrea; Evelina Christillin, la regina delle Madamin; e le signore Pirlo e Storari!), hanno fatto capire coi loro voti che Andrea non aveva capito nulla di come si stessero mettendo le cose. A quel punto i voti contrari sono saliti a quattro con quello di Enrico Vellano, chief financial officer di Exor, il manager cui John ha affidato un portafoglio di nove miliardi di investimenti da fare nel mondo.
Paolo Garimberti, detto «l'ardito» per il coraggio che ha sempre mostrato al servizio della Juventus (sia in Rai che, soprattutto a Repubblica), si è subito accodato. Arrivabene ha farfugliato qualcosa e ha recitato la parte di colui che pur prendendo le distanze dalle parole accusatorie della Marilungo metteva anche la sua possente mano e il suo vocione al servizio di John. Pavel Nedved tentennava e pensava allo stipendio e alla fine rimaneva sospeso.
Con Andrea restava solo il fido Francesco Roncaglio. Finale: sei a due (o sei a due e mezzo). John assapora la vittoria e sembra dimenticare i guasti che ha procurato alla Juve quando la gestì direttamente (tramite Blanc e Cobolli Gigli) nei famigerati anni dopo Calciopoli (o Farsopoli). Ora alla Juventus è giunta l'ora dei contabili, dei commercialisti, degli esperti di bilanci, dei «risanatori» o presunti tali.
Alla faccia dei risultati sul campo, della competenza calcistica, delle esigenze sportive, della necessaria resurrezione tecnica, senza rispetto dei milioni di tifosi attesi da un futuro che sarà, ahimè, avaro di soddisfazioni. Per porre fine alla gestione di Andrea Agnelli, ormai inguaribilmente affetto dal disturbo noto come «perdita della trebisonda», John ha messo in atto la sua resa dei conti personale, con la speranza di riuscire a far tornare anche gli altri, di conti, quelli veri.
Il nuovo «ministro della sanità» è Gianluca Ferrero, che in Famiglia - da Gianni Agnelli in giù - hanno sempre chiamato «il contabile» poiché si occupava, insieme a suo padre Cesare (scomparso alla fine di luglio) di tutte le faccende fiscali, dalla compilazione della denuncia dei redditi in giù. Anche se, o lui o suo padre, in un Modello unico di Marella Agnelli, dopo la morte dell'Avocato, «dimenticarono» di compilare il quadro Rw in cui occorre denunciare i beni posseduti all'estero e i redditi da essi derivanti. Ma questo ormai non ha più importanza, se non per confermare che Gianluca Ferrero è un perfetto e impeccabile esecutore, sempre e comunque, ma le direttive le dà Suzanne Heywood, beninteso dopo averne parlato con John.