IL MISTERO DEL MILIARDO DI EURO DI GIANNI AGNELLI IN SVIZZERA – I PM DI TORINO AVREBBERO TROVATO DOCUMENTI CONTABILI CHE SI RIFERISCONO AI FANTOMATICI FONDI DA 900 MILIONI DI DOLLARI. LA STESSA CIFRA SPUNTÒ IN UN’INDAGINE MILANESE DEL 2009, GRAZIE ALLA TESTIMONIANZA DI CARLO REVELLI (CUGINO DI MARGHERITA E FIGLIO NATURALE DI CARLO CARACCIOLO), CHE AVREBBE RIVELATO LA “VOLONTÀ DI OCCULTAMENTO” DELLA FAMIGLIA – L’“AGNELLO” JOHN ELKANN SI VESTE DA LUPO E, INSIEME AI FRATELLI LAPO E GINEVRA, QUERELA IL MARCHESE LODOVICO ANTINORI
1 – ELKANN QUERELANO LODOVICO ANTINORI, 'FALSITÀ E CALUNNIE'
(ANSA) - I legali di John, Ginevra e Lapo Elkann hanno ricevuto mandato di sporgere querela nei confronti del marchese Lodovico Antinori, uno dei principali imprenditori italiani del vino e per anni amico della famiglia Agnelli, per quanto ha dichiarato nell'intervista pubblicata oggi da Il Fatto Quotidiano in prima pagina e a pagina 16 con il titolo 'Marella fu forzata a Lauenen per case e eredità'.
La decisione di sporgere querela, che non è rivolta al quotidiano ma riguarda il solo intervistato - si apprende da fonti giudiziarie - si basa su affermazioni di Antinori che vengono giudicate dai legali dei fratelli Elkann false e calunniose.
Antinori, che dava in affitto a Marella Agnelli la propria dimora a Saanen, frazione di Gastaad, in Svizzera, sostiene che la vedova dell'Avvocato fu costretta a lasciare St. Moritz, luogo che amava, per trasferirsi a Lauenen: "una cosa voluta dai ragazzi per accomodarsi", afferma.
Alla domanda su chi l'avrebbe forzata Antinori risponde: "basta guardare a chi sono le residenze svizzere: quella grande di St Moritz a John Elkann, quella rossa di sotto a Lapo e lei l'hanno mandata a Lauenen perché la casa sarebbe diventata utile per la figlia Ginevra".
Sempre secondo Antinori, Marella "nel periodo di St. Moritz era vicina a quel che richiede la legge in fatto di residenza perché effettivamente lei ci stava bene e ci andava, mentre a Lauenen no, non l'amava e ci stava due mesi all'anno". Insomma, sostiene il marchese Antinori, "per me l'hanno forzata ad andarci".
2 – UN SUPER TESTIMONE RIVELÒ IL MILIARDO NASCOSTO IN SVIZZERA DA GIANNI AGNELLI
Estratto dell’articolo di Gaspare Gorresio e Gianluigi Moncalvo per “La Verità”
Margherita Agnelli in de Pahlen, nonostante il cognome paterno, ha un animo pugnace. Nelle lettere che scriveva ai custodi dell’eredità paterna, in particolare all’avvocato Franzo Grande Stevens e a Gianluigi Gabetti, si definiva semplicemente «una donna, casalinga per di più» e chiedeva che non si approfittasse della «debolezza del suo sesso» per farle subire «soprusi» e atteggiamenti «da gran cafone».
Ma dopo vent’anni di battaglie tutti hanno capito di che pasta sia fatta la «casalinga» di Ginevra. E adesso la Procura di Torino e la Guardia di finanza sembrano aver trovato le prove di quello che la signora va denunciando da anni, ossia che l’eredità del padre fosse molto più cospicua di quanto a lei, erede universale insieme con la madre Marella, fosse stato detto.
Gli inquirenti, scartabellando negli uffici torinesi della P fiduciaria, uno dei tanti veicoli, secondo l’accusa, utilizzati dagli Agnelli-Elkann per schermare i propri beni, avrebbero trovato documenti contabili sulla presenza di fondi per circa 900 milioni di dollari. Una cifra monstre di denaro più o meno contante che, come vedremo, ritorna nella nostra vicenda a partire dalla morte dell’Avvocato.
Vent’anni fa aveva suscitato in Margherita sospetti la lista delle società off-shore che le era stata consegnata, alla morte di Giovanni Agnelli, dal commercialista svizzero Siegfried Maron, il presunto gestore del tesoro nascosto in paradiso. Una rete con i nomi della Akyone foundation e di alcuni asset ad essa collegati: la Calamus, il Cs group, la Springrest, la Sigma e la Sikestone.
In tutto il valore degli «asset» veniva quantificato in circa 584 milioni di dollari. Ma questa pista si basava su un foglietto. In realtà a far alzare le antenne a Margherita era stato un alert molto più concreto e che portava a una filiale di Zurigo di Morgan Stanley. Qui, almeno dal 2002, risultavano accesi tre conti riconducibili a Gianni Agnelli, con sopra circa 411 milioni di euro.
Uno era intestato alla Sikestone, che per Maron, avrebbe avuto in pancia quasi 92 milioni. Margherita nel 2004 da uno di quei conti aveva ricevuto a titolo di eredità oltre 109 milioni di euro. Ma non aveva la minima idea dell’esistenza di quel rapporto bancario. Per questo i magistrati di Milano, che indagavano su una parcella pagata in nero dalla stessa «casalinga» miliardaria a uno dei suoi avvocati (che, a sua volta, accusava la sua cliente di estorsione), convocarono Margherita e questa, il 15 dicembre 2009, mentre parlava dei suoi sospetti sulla gestione del patrimonio paterno da parte di Franzo Grande Stevens, specificò: «Sono stata beneficiaria di un bonifico di oltre 100 milioni di euro provenienti da Morgan Stanley filiale di Zurigo. Quando ho richiesto presso la banca spiegazione sul conto di provenienza mi è stata negata ogni informazione».
La donna non pensava che sarebbe riuscita a cavare un ragno dal buco, sino a quando non intervenne una fortunata coincidenza. Infatti, la signora era molto legata a un cugino, figlio naturale di suo zio Carlo Caracciolo. Questa persona, di nome Carlo Revelli, aveva un fratello, Paolo, che aveva lavorato proprio per Morgan Stanley, sede di Londra.
«Era responsabile dei conti esteri Europa - Svizzera compresa -» spiegò Margherita agli inquirenti. «Paolo che sapeva del forte legame che esisteva con suo fratello Carlo, un giorno mi chiama da Londra e mi dice che ha un’importante notizia da darmi. […] Mi fa presente che presso Morgan Stanley Zurigo c’era un conto importante riconducibile alla famiglia e cioè a mio padre».
Per i pm milanesi la reticenza della banca, «che ha sempre negato l’esistenza di conti riferibili a Giovanni Agnelli, era dettata dalla volontà di occultare denaro che costituiva il provento di appropriazioni indebite commesse in danno di società e soci del gruppo industriale facente capo alla famiglia».
Per le toghe questa «volontà di occultamento […] è dimostrata in modo inconfutabile dalle dichiarazioni rese da Paolo Revelli, […] ». Revelli è stato sentito come testimone dalla Procura meneghina il 21 dicembre 2009. I magistrati nella rogatoria inviata ai colleghi svizzeri scrivono: «Va subito evidenziato che Revelli ha fatto presente che, specialmente nel passato, capitava che gli esponenti di grandi famiglie non figurassero come beneficiari economici dei conti che erano nella loro disponibilità. Ha aggiunto il testimone che in Morgan Stanley era noto, a tutti coloro che appartenevano alla sua divisione, che presso la filiale di Zurigo all’avvocato Agnelli era riferibile una provvista tra ottocento milioni e un miliardo di euro.
È verosimile che tale patrimonio fosse fiduciariamente intestato oltre che detenuto per il tramite di molteplici veicoli. Ma è certo - lo dice sempre il testimone - che ad occuparsene era Siegfrid Maron. Pur essendo ancora in corso accertamenti relativi alla formazione di questa enorme provvista, da collocarsi - stando alle dichiarazioni di Revelli e di Margherita Agnelli - soprattutto a partire dal 1998/1999, è certo che le somme derivino da rimesse provenienti dalle società italiane del gruppo industriale riferibile alla famiglia Agnelli, senza che di esse vi sia la minima traccia in contabilità».
Nella sua testimonianza Revelli ha spiegato: «Nel corso dei vari anni in Morgan Stanley sono venuto a conoscenza di vari conti di rilievo, tra i quali il conto presso la filiale di Zurigo dell’avvocato Giovanni Agnelli. Presso la banca il funzionario che se ne occupava era Adolf Brundler che era uno dei managing director della divisione di cui ho parlato prima […]. Gianni Agnelli era il beneficial owner del conto. Chi si occupava della gestione della posizione per conto di Gianni Agnelli era Siegfried Maron. Alla fine degli anni Novanta la consistenza di questo conto era tra gli ottocento milioni e il miliardo di dollari […]».
[…] A questo punto Revelli approfondisce la figura di Brundler: «Lo conosco personalmente. Era il Ceo di Morgan Stanley Zurigo ed era il gestore anche del conto di Giovanni Agnelli. Egli era un managing director della divisione delle gestioni patrimonialie faceva capo ad Ernest Boles, mio collega a Londra».
Revelli racconta come fosse venuto a conoscenza del tesoretto segreto dell’Avvocato. Il punto di partenza è l’improvviso licenziamento di Brundler. Quando esplode il caso dell’eredità Agnelli, Revelli chiede a Boles perché l’ex referente di quella fortuna fosse stato mandato via. E il collega taglia corto: «Te lo racconto off the record».
Successivamente spiega a Revelli che «Brundler aveva inviato un fax a Maron nel quale confermava al commercialista che anche a richiesta degli eredi di Giovanni Agnelli egli avrebbe negato l’esistenza del conto». L’ex dirigente aggiunge davanti ai pm: «Il fax risultava in effetti inviato a Maron, ma non era evidentemente passato dall’ufficio legale della banca». Ma Morgan Stanley «non avrebbe mai fornito il benestare a un obbligo che la banca si assumeva di tacere agli eredi, anche a loro richiesta, un importante asset dell’eredità».
Destino vuole che Brundler commetta un errore e venga licenziato, che Revelli, qualche anno più tardi, chieda il motivo di quell’allontanamento e che lo possa così svelare a Margherita.
Ma qual è lo sbaglio che è costato il posto al bancario e ha aperto il vaso di Pandora dell’eredità di Gianni Agnelli? Lo riferisce sempre Revelli: «La disavventura di Brundler fu che dimenticò il documento nella macchina del fax. E quel documento fu recuperato da Sven Spiess che manco a farlo apposta era a capo della compliance (il settore che si occupa del rispetto delle normative, ndr). […] Fu quindi lo stesso Boles a licenziare Brundler. Di tutta questa storia evidentemente nulla emerge dagli atti del licenziamento».
La ricostruzione del testimone prosegue: «La data del fax di cui stiamo parlando è riferibile al febbraio del 2004. Il licenziamento di Brundler è di circa sei mesi dopo. Diventa effettivo nell’agosto del 2004 dopo una lunga trattativa con Morgan Stanley, conclusasi sostanzialmente con un accordo che prevedeva la confidenzialità delle circostanze per le quali Brundler lasciava la banca».
Nel verbale Revelli offre agli inquirenti qualche altro dettaglio: «Mi risulta personalmente che Brundler e Maron si sentissero quotidianamente. Giovanni Agnelli, come per altro capita per queste importantissime famiglie, non aveva un rapporto diretto con Morgan Stanley. Gabetti e Franzo Grande Stevens hanno avuto rapporti con Brundler, ma non so specificarli».
Il manager conclude: «Fino alla normativa internazionale sul money laundering (riciclaggio, ndr) capitava spesso che il reale beneficiario economico non risultasse nei documenti dell’apertura dei conti. Solo successivamente è stato necessario procedere alla identificazione del beneficial owner all’atto dell’apertura. Non posso dirlo con certezza, ma è molto probabile che in Morgan non vi fosse la firma di Giovanni Agnelli come beneficial owner. Egli poteva agire attraverso suoi fiduciari».
Alle luce delle dichiarazioni rese da Revelli, la Procura di Milano iscrisse sul registro degli indagati per il reato di riciclaggio Maron. Ma la rogatoria in Svizzera non ha dato risultati e il fascicolo è stato archiviato. Nel 2007 Morgan Stanley aveva risposto a uno dei consulenti di Margherita in questi termini: «La informiamo che ci è stato raccomandato dal titolare del conto, il quale ordinò il pagamento di 109.658.000 euro che fu effettuato in data 26 marzo 2004, di non rivelare nessun dettaglio ulteriore riguardante tale pagamento».
Il conto, a fine anni Novanta, conteneva, forse, 1 miliardo, nel 2002, 400 milioni. Nel frattempo molti soldi sarebbero stati spostati in Liechtenstein. Ma l’«occultamento» del patrimonio estero di Gianni Agnelli e dei suoi eredi, schermato con fiduciarie e società off-shore, potrebbe avere le ore contate.