UN NATALE IN BIANCO – L'INGORGO DI 60 NAVI PORTACONTAINER CHE SI È CREATO DAVANTI AI PORTI DI LOS ANGELES E LONG BEACH RISCHIA DI FAR PASSARE UN NATALE SENZA REGALI PER GLI AMERICANI – BIDEN HA INCONTRATO I GRANDI DISTRIBUTORI COMMERCIALI E LE AUTORITÀ PORTUALI DELLE DUE CITTÀ CALIFORNIANE MA A POCO PIÙ DI DUE MESI A NATALE, QUELLO CHE NON È STATO GIÀ SPEDITO DALL'ASIA DIFFICILMENTE ARRIVERÀ ENTRO METÀ DICEMBRE – E IN EUROPA LA SITUAZIONE NON È TANTO MIGLIORE…
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Massimo Gaggi per il "Corriere della Sera"
Non è solo la crisi dei camionisti in Gran Bretagna che costringe l'esercito di Sua Maestà a occuparsi della distribuzione dei carburanti alle pompe di benzina.
O un problema di insufficiente produzione di microchip nelle fabbriche asiatiche che rallenta l'attività delle industrie dipendenti, in tutto il mondo, dai microprocessori: computer, cellulari e videogiochi, ovviamente, ma anche auto, elettrodomestici, apparecchiature sanitarie e tutto ciò che diventa «intelligente» con l'inserimento di sensori.
NEW YORK
I colli di bottiglia causati dalla Covid economy sono ormai innumerevoli, diffusi in tutto il mondo e coinvolgono tutti i punti delle catene logistiche alle quali è affidato il trasporto di prodotti, semilavorati e materie prime: disponibilità di container, di navi da trasporto, congestione dei porti, carenza di camion e camionisti, limiti della capacità dei depositi. Su tutto, poi, il fenomeno della carenza di mano d'opera che emerge ovunque nei settori più disparati.
La conseguenza che spaventa di più gli americani in questi giorni è la prospettiva di un Natale senza regali sotto l'albero (o con le poche cose che si riescono a rimediare). Prospettiva terrificante per i bambini che aspettano giocattoli tecnologici, ma anche per le imprese, visto che per molti settori il periodo delle Feste garantisce la metà delle vendite annuali.
Abbiamo scritto la scorsa settimana dei timori dello stesso Joe Biden, già alle prese con un crollo dei suoi indici di popolarità, davanti alla prospettiva di un «Grinch che ruba il Natale». Sameera Fazili, la vicedirettrice del Consiglio Economico della Casa Bianca, incaricata dal presidente di affrontare il problema, gli ha già fatto presente che ci vorrebbe un miracolo.
Ieri Biden è sceso in campo in prima persona incontrando grandi distributori commerciali privati come Walmart e Target, compagnie di navigazione, autorità portuali di Los Angeles e Long Beach e i sindacati dei lavoratori portuali, spinti dalla Casa Bianca a raggiungere un accordo per far lavorare i due scali californiani (il 40% dei container che entrano ogni anno negli Usa passa da qui) 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in modo da smaltire l'ingorgo di 60 gigantesche navi portacontainer che si è creato davanti ai due porti.
L'accordo è fatto, ma non basterà a risolvere il problema: mancano poco più di due mesi a Natale e i tecnici del settore dicono che quello che non è stato già spedito dall'Asia oggi, difficilmente arriverà sugli scaffali dei negozi occidentali per metà dicembre. Catene logistiche che un tempo funzionavano con la precisione di orologi, con le fabbriche senza più la necessità di avere scorte di magazzino perché alimentate con le tecniche del cosiddetto «just in time», sono state devastate dall'emergenza coronavirus: negli ultimi 12 mesi i ritardi medi nello sbarco di merci che attraversano il Pacifico è passato da 13 ore a 13 giorni.
E le diverse evoluzioni della domanda di diversi Paesi, ha creato enormi squilibri: spedire un pacco da Los Angeles a Shanghai costa 7 volte di più che spedire lo stesso pacco nella direzione opposta. Le grandi catene di supermercati Usa - Costco, Target, Walmart, Home Depot - alla disperata ricerca di spazi di carico, vanno a caccia di navi portacontainer da affittare direttamente.
Il problema non è solo il Pacifico: il costo dei noli dall'Estremo Oriente all'Europa è aumentato in pochi mesi di sette volte, tanto che Ikea ha cominciato a far arrivare in Europa merci ordinate in Cina attraverso tortuosi percorsi ferroviari. Né si tratta solo di trasporto: l'Occidente, che si sta proteggendo meglio dal virus, ha ricominciato a consumare mentre in Asia la variante Delta fa ancora strage causando chiusure di fabbriche, dal Vietnam, all'Indonesia, alla Malaysia.
Anche il Giappone fatica a ripartire mentre la Cina ha chiuso alcune fabbriche e porti e rallenta tutto imponendo quarantene alle navi in arrivo. A quelli del Covid si aggiungono i problemi ambientali: la Cina, soffocata dallo smog, ha imposto limiti ai consumi elettrici delle sue province. Risultato: quella dello Shaanxi, grande produttrice mondiale del magnesio, minerale essenziale per l'industria delle batterie, ha ordinato alle sue miniere di sospendere momentaneamente l'estrazione per non superare i limiti energetici consentiti.
In Europa le cose vanno meglio ma non troppo: in Germania mancano 80 mila camionisti, mentre vendita e produzione di auto sono calate, nei mesi estivi, del 30% circa. Problema comune a tutti. Secondo la società di consulenza Alix Partners, specialista di ristrutturazioni aziendali, quest' anno verranno prodotte 7,7 milioni di vetture in meno per difficoltà relative alla pandemia: il 10% della produzione mondiale.
Insomma, il problema va ben oltre il Natale, anche come tempi di recupero: il Fondo monetario ha appena rivisto al ribasso le previsioni di crescita fatte a luglio proprio per l'impatto della variante Delta e per i colli di bottiglia logistici. Un punto in meno per la crescita Usa: dal 7 al 6%. L'America rallenta più dell'Europa (e dell'Italia) perché è maggiore la dipendenza dai microprocessori e tutti i luoghi dove si producono (Taiwan, Malaysia, Giappone, Texas) sono stati duramente colpiti dalla pandemia.
Ma forse pesa anche l'assenza di ammortizzatori come la cassa integrazione: quando licenzi i dipendenti in esubero è difficile andare a recuperali un anno dopo: sono finiti altrove. E se ne trovi altri devi addestrarli.