LA PATRIMONIALE ESISTE GIÀ - L’ALIQUOTA DELL’IMU SULLA SECONDA CASA ARRIVA AL 185% DEL REDDITO - SUGLI INVESTIMENTI FINANZIARI IL PRELIEVO, TRAVESTITO DA IMPOSTA DI BOLLO, È SUPERIORE AL 6 PER MILLE - IL CUL DE SAC È SEMPRE LO STESSO: PIÙ CHE TASSARE CHI È GIÀ TAR-TASSATO BISOGNA STANARE CHI NON DICHIARA NULLA E SE LA GODE A SPESE DEGLI ALTRI - LA METÀ DEGLI ITALIANI PER LO STATO NON HA REDDITO E VIVE A CARICO DI QUALCUNO. CREDETE DAVVERO CHE SIANO TUTTI POVERI?
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Raffaele Rizzardi per https://24plus.ilsole24ore.com/
Quando non esistevano ancora i corsi di diritto tributario, le nostre università insegnavano scienza delle finanze, i cui principi non possono peraltro essere oggi ignorati. Uno degli assiomi era: l’imposta, anche se si chiama patrimoniale, può essere pagata solo con un reddito. Il caso più evidente riguarda gli immobili: non si possono certo versare i mattoni in esattoria. Il caso più significativo al riguardo è quello dell’Imu.
Il valore patrimoniale è, per legge, un multiplo della rendita catastale, e quindi la classificazione di questa imposta è del tutto ambivalente. Ben potremmo infatti qualificarla come reddituale. Al riguardo va chiarita anche la favoletta delle rendite catastali inferiori al rendimento degli immobili. Il legislatore ne è ben consapevole, e ha quindi aumentato i parametri del tributo.
L’incidenza dell’Imu su un appartamento
Per comprendere il problema bisogna fare un esempio concreto. Prendiamo un appartamento con rendita catastale di euro 721,39 x 1,05 (adeguamento generalizzato) = 757,46 x 160 (moltiplicatore della rendita per ottenere il valore patrimoniale = 121.193 x 1,10% (aliquota stabilita dal comune) = euro 1.333,12. Con un calcolo molto semplice (1.333: 721,39) si arriva all’equivalenza reddituale: l’Imu ha un’aliquota pari al 185% del reddito, cioè un’aliquota che andrebbe ben oltre l’esproprio se la rendita fosse aggiornata.
A proposito di Imu, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 262 del 4 dicembre scorso, ha sancito l’illegittimità del divieto di deduzione nel calcolo del reddito di impresa. E perché lo stesso principio non deve valere anche per un privato proprietario che concede l’immobile in locazione?
La fiscalità di un ufficio
Anche qui facciamo un esempio concreto: prendiamo un ufficio con rendita catastale di euro 4.462,19; calcoliamo l’Imu: valore patrimoniale 4.462,19 x 1,05 x 80 = 374.824 x 1,14% = 4.273,00. Il canone di locazione è di euro 15.292,00/anno, dedotta l’Imu al proprietario restano euro 11.019,00.
Trattandosi di un ufficio non è possibile optare per la cedolare secca, e il proprietario deve pagare l’Irpef su 15.292,00 in quanto l’Imu non è deducibile. Ad aliquota marginale del 43% sono euro 6.576. Aggiungiamo l’Imu e vediamo che la fiscalità complessiva ammonta a euro 10.849, cioè pari al 71% del canone di euro 15.292. Siamo sicuri che stiamo rispettando i principi costituzionali del tributo?
La patrimoniale sugli investimenti finanziari
Quanto alla patrimoniale sugli investimenti finanziari, tutti ricordano il 6 per mille prelevato dai conti correnti a settembre 1992. Ma oggi il prelievo, travestito da imposta di bollo, è sicuramente superiore.
Come aliquota siamo al 2 per mille, cioè ogni tre anni torniamo al 6 per mille del governo Amato. Ma la base imponibile dell’epoca riguardava solo i saldi dei conti correnti, mentre ora il calcolo va fatto sull’intera consistenza dei depositi titoli presso le banche, indipendentemente dal fatto che vi sia stato un rendimento o anche per un dossier in perdita.
Ben venga quindi una possibile riorganizzazione delle tassazioni sui redditi patrimoniali, o redditi passivi come vengono chiamati a livello mondiale, non dimenticando di considerare che l’insieme delle imposte oggi esistenti li colpisce già in modo più che significativo.
E non dimentichiamo l’insegnamento di Luigi Einaudi sulla doppia tassazione del risparmio: la patrimoniale colpisce allo stesso modo chi si è creato un patrimonio con l’evasione fiscale e chi lo ha costituito con i risparmi di una vita di lavoro (tar)tassato.