PERCHÉ A WALL STREET NON FREGA NULLA DELLA CRISI AFGANA? - LA BORSA NON HA FATTO UNA PIEGA DOPO IL DISASTROSO RITIRO DEGLI USA DA KABUL: EPPURE AI TEMPI DELL'INVASIONE IRACHENA DEL KUWAIT E DELL'11 SETTEMBRE CI FURONO DRAMMATICI CROLLI DEI MERCATI - OGGI È DIVERSO, ORMAI L'ECONOMIA DIGITALE VALE MOLTO PIÙ DELLA PRESENZA MILITARE: PER LA PROIEZIONE DELLA FORZA AMERICANA NEL MONDO CONTANO AZIENDE COME GOOGLE, FACEBOOK, APPLE, AMAZON, MICROSOFT...

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Mario Platero per "Affari&Finanza – la Repubblica"

 

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La Borsa tiene. Anche nel momento più buio della catastrofica ritirata americana dall'Afghanistan, il mercato e l'indice Dow Jones non hanno mostrato alcun interesse per la sconfitta che Washington ha subito per mano dei talebani e per il ridimensionamento geopolitico degli Stati Uniti.

 

joe biden wall street

Le cose andarono diversamente con l'attacco dell'11 settembre 2001 alle Torri gemelle, o con l'invasione irachena del Kuwait il 2 agosto 1990. Allora la crisi geopolitica davanti all'America aveva profonde ramificazioni, certamente politiche, ma anche e soprattutto economiche.

 

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Quella dell'11 settembre fu la catastrofe peggiore, storicamente senza precedenti. Si capiva che l'America aveva un nuovo nemico invisibile, il terrorismo. E che avrebbe perso il dividendo per la pace ereditato dalla vittoria contro l'Unione Sovietica nella Guerra Fredda.

 

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Con quell'orribile attacco di 20 anni fa, la Borsa fu addirittura chiusa fino al lunedì successivo. Il dollaro si indebolì e il prezzo dell'oro salì da 215 a 287 dollari in poche ore. La Fed emise un comunicato che garantiva liquidità illimitata. Ci volle qualche tempo prima di poter tornare a una parvenza di normalità.

 

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Anche perché ci fu un impatto diretto e immediato sull'economia americana: l'intero comparto delle linee aeree e dei trasporti, quello del turismo e quello assicurativo soffrirono enormemente.

 

Lo stesso, anche se in misura minore, capitò quando ci fu l'occupazione del Kuwait da parte dell'Iraq. L'indice Dow Jones perse il 6% nei tre giorni successivi all'attacco e ben il 21% dai massimi del 17 luglio precedente, quando si cominciò a capire che l'Iraq avrebbe potuto mettere a soqquadro il mercato del petrolio globale.

 

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Questa instabilità dei mercati non si è vista con la crisi afgana. Quando ci si è resi conto che il governo a Kabul sarebbe stato travolto in pochi giorni dai talebani, contro ogni promessa dell'amministrazione Biden, le previsioni catastrofiche per l'impatto che ci sarebbe stato sul piano geopolitico non hanno avuto nessuna conseguenza di mercato.

 

attentato all aeroporto di kabul

Abbiamo sì visto piccolissime correzioni al ribasso del Dow Jones in quei giorni. Ma non per le immagini, i titoli dei giornali, la percezione di disfatta per l'America. Le reazioni del mercato erano dovute esclusivamente a preoccupazioni per l'inflazione, all'incertezza sui tempi con cui la Fed avrebbe rallentato l'acquisto di bond dal mercato, all'attesa dei verbali degli incontri di luglio del Federal Open Market Committee.

 

attentato all aeroporto di kabul 3

Chiariti quei pochi elementi sul fronte economico e finanziario interno, l'indice Dow Jones è tornato ai massimi storici in pochi giorni. Su questa apparente dicotomia ho sentito un ceo che di crisi se ne intende, John Varley, che fu amministratore delegato globale di Barclays Bank fra il 2006 e il 2011 e che seguì passo passo il dramma della crisi finanziaria e del fallimento di Lehman Brothers: «Non c'è dubbio che quando seguivo mercati in crisi per via di una incertezza geopolitica o finanziaria, tutte le lucine di allarme segnavano rosso, tutte, sia che si trattasse dell'attacco alle due Torri che della crisi del 2007-2009 che ho vissuto in prima persona. Oggi, sul piano economico finanziario nessuna della lucine segna rosso. Il risultato è chiaro: questa crisi segna una profonda differenza di vedute fra la politica nel senso lato del termine e l'economia e la finanza».

 

joe biden piange dopo l attentato all aeroporto di kabul

Difficile dare una spiegazione di questa divaricazione. Di certo si tratta di una prima volta. È la prima volta che assistiamo a un "decoupling" totale fra politica ed economia su un fatto che ha una dimensione epocale.

 

Ho sentito in questi giorni molti protagonisti di Wall Street: molti pensano che la bolla della crisi si stia gonfiando sia per questioni interne che internazionali. Sul piano interno i repubblicani ne vogliono approfittarne per affossare Biden, su quello internazionale, dall'Unione europea a Paesi come Russia e Cina ne approfittano per ridimensionare l'ingerenza americana.

 

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Gli analisti politici si muovono in parallelo. Ma il loro modo di pensare poggia su un vecchio modello di analisi, in cui contavano i "boots on the ground". Oggi conta l'economia digitale. Per la proiezione della forza americana nel mondo oggi contano aziende come Google, Facebook, Apple, Amazon, Microsoft che insieme capitalizzano poco meno del 50% dell'intera economia europea.

 

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Contano le battaglie contro gli hackers che potrebbero paralizzare un'intera economia. E conta il ruolo di executive illuminati che si sostituiscono alla politica sul piano della responsabilità sociale. Contano imprenditori privati come Elon Musk, Jeff Bezos, Richard Branson, che per primi hanno aperto l'economia spaziale allo sviluppo privato, un terreno su cui la Cina resta indietro.

 

La conclusione è che l'economia e i mercati, cinicamente ma in modo pragmatico, riducono la crisi di oggi a uno sviluppo deplorevole e orrendo per la popolazione civile, ma slegato dall'economia e dalla finanza.

 

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Sbagliano? Secondo John Micklethwait, direttore globale di Bloomberg news e autore del libro "The Wake Up Call" sulla necessità di rafforzare le funzioni statali nel post Covid, Wall Street sbaglia. Accetta l'idea del decoupling ma ritiene che presenti importanti elementi di miopia: «C'è sicuramente un "decoupling" fra politica e mercati focalizzati solo su tassi di interesse vicino allo zero e sui profitti aziendali. C'è chi pensa che la forza dell'economia digitale sia sufficiente a proteggere l'egemonia globale americana e dunque ignora completamente l'Afghanistan. Secondo me sbagliano: la forza dell'economia digitale non può da sola compensare due rischi altissimi impliciti per l'America nella crisi afgana: l'importanza di non poter continuare a proiettare - anche nel mondo di oggi - una forte presenza militare, e quello di indebolire il soft power che include la statura morale, con cui l'America ha accumulato consensi nel mondo».

GOOGLE FACEBOOK SI DIVIDONO IL MONDO

 

È ovvio che se accettiamo il presupposto di un'equazione a tre, le ultime due variabili restano importanti guardando al futuro. Soffriranno davvero nel lungo termine per la dinamica della crisi afgana? Se così sarà il loro indebolimento rischierà di danneggiare un ordine economico sia globale che interno che oggi non sembra poter soffrire dalla catastrofica crisi a Kabul.

 

Ma siamo anche in un'era in cui l'accelerazione dei cambiamenti sociali, tecnologici ed economici prevale su tutto. Per questo non sono in pochi a dire che il mercato potrebbe anche azzeccarci quando sconta sviluppi futuri che ancora non appartengono alla logica dei nostri giorni.